Sigfrido Ranucci, volto simbolo del giornalismo investigativo Rai, è finito ufficialmente nel mirino della nuova governance della TV pubblica. Una direzione che sempre più osservatori chiamano “Tele Meloni”, per l’allineamento crescente agli interessi del governo. Proprio nel giorno in cui l’indice Qualitel – il sondaggio ufficiale che misura la soddisfazione degli spettatori e che la Rai è tenuta a realizzare per contratto – ha certificato Report come il programma di informazione più apprezzato dagli italiani, a Ranucci non è arrivato un ringraziamento, ma un provvedimento disciplinare.
A raccontarlo è lo stesso giornalista, con un post che sa di denuncia ma anche di orgoglio. «Pensavo che mi avessero convocato per rassicurarmi sul fatto che le puntate di Report non verranno tagliate e che i compensi della mia squadra fossero salvi, anche solo per gratitudine per la qualità del lavoro svolto», scrive Ranucci, riferendosi a un incontro con il direttore Paolo Corsini. Ma, aggiunge, «invece no. Era semplicemente un provvedimento disciplinare a firma dell’AD Giampaolo Rossi e del direttore delle Risorse Umane, Felice Ventura».
Secondo il provvedimento, Ranucci avrebbe partecipato senza autorizzazione alla trasmissione Otto e mezzo di Lilli Gruber lo scorso 6 maggio. Accusa che il giornalista respinge, spiegando di aver ricevuto proprio da Corsini il via libera telefonico per intervenire e promuovere la seconda parte della stagione di Report. Nello stesso elenco di contestazioni, gli viene poi imputato di aver presentato il suo libro La Scelta (Bompiani) a Mestre, dove in un’intervista ha parlato del calo della libertà di stampa in Italia e del fatto che sempre meno persone si informano. Una riflessione generale, precisa, «che non si riferiva alla Rai, ma al contenuto del libro stesso». Infine, viene accusato di essere intervenuto telefonicamente a Piazza Pulita per difendere Report e il collega Giorgio Mottola da accuse di manipolazione.
Un quadro che, letto così, sembra più una rappresaglia che un atto di giustizia interna. E il giornalista non si sottrae: «Se devo prendermi un provvedimento per aver promosso e difeso la squadra e un marchio storico della Rai come Report, e per aver tutelato la libertà di stampa, lo accetto con orgoglio».
Ma il contesto rende il provvedimento ancora più inquietante. L’azione disciplinare arriva infatti subito dopo due attacchi politici pesanti: un’interrogazione parlamentare di Forza Italia sull’inchiesta di Report dedicata al generale Mario Mori e alla Commissione Antimafia, e la denuncia del sottosegretario meloniano Giovanbattista Fazzolari per la puntata sul potere finanziario di Mediobanca. Il sospetto che la linea del fuoco sia dettata più da logiche di potere che da regolamenti aziendali si fa quindi molto concreto.
Con questo provvedimento, la nuova Rai manda un messaggio chiaro: anche chi lavora al suo interno non può sentirsi al sicuro se osa toccare i nervi scoperti del potere. Ma Ranucci, da giornalista, non si piega. E risponde con i fatti, gli ascolti e la fiducia del pubblico.