L'Iran riapre l'ambasciata a Riad e "vara" il missile ipersonico
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L'Iran riapre l'ambasciata a Riad e "vara" il missile ipersonico

Riapre l’ambasciata nel Regno Saud. Presenta il nuovo missile ipersonico. Rinsalda i suoi legami con la Russia. L’Iran batte tre colpi a livello internazionale. E sono tre colpi pesanti.

L'Iran riapre l'ambasciata a Riad e "vara" il missile ipersonico
Il presidente Ebrahim Raisi
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6 Giugno 2023 - 19.42


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Riapre l’ambasciata nel Regno Saud. Presenta il nuovo missile ipersonico. Rinsalda i suoi legami con la Russia. L’Iran batte tre colpi a livello internazionale. E sono tre colpi pesanti.

Riapre l’ambasciata

L’Iran riaprirà la propria ambasciata in Arabia Saudita dopo sette anni.  Lo ha annunciato un portavoce del ministero degli Esteri iraniano, spiegando che martedì verrà riaperta l’ambasciata del paese nella capitale saudita Riad, mentre mercoledì saranno riaperti anche il suo consolato a Gedda e il suo ufficio di rappresentanza all’Organizzazione della Cooperazione islamica, l’organizzazione internazionale che riunisce più di 50 paesi a maggioranza musulmana. La riapertura dell’ambasciata iraniana in Arabia Saudita è stata annunciata a circa tre mesi dallo storico accordo  con cui i due paesi avevano comunicato di voler ristabilire le proprie relazioni diplomatiche, interrotte dal 2016.

Annota il Post: “L’Iran, governato da una teocrazia sciita, e l’Arabia Saudita, governata da una monarchia assoluta sunnita, sono due dei principali paesi del Medio Oriente: per anni hanno avuto rapporti conflittuali e per la loro grandezza e importanza spesso sono stati considerati come i principali antagonisti in molti avvenimenti della regione. La rottura delle relazioni diplomatiche era avvenuta sette anni fa, quando l’Iran aveva richiamato il proprio ambasciatore dopo che l’Arabia Saudita aveva condannato a morte l’importante religioso sciita Nimr al Nimr. Al tempo in Iran ci furono enormi proteste, e l’ambasciata saudita a Teheran fu incendiata.

Nell’accordo dello scorso marzo Arabia Saudita e Iran si erano impegnati a riaprire le proprie ambasciate, a riattivare un accordo di sicurezza reciproca che era stato sospeso dopo la rottura dei rapporti diplomatici e a concordare i princìpi di rispetto della sovranità degli stati e di non interferenza negli affari interni. Non è comunque chiaro quanto i due paesi si riavvicineranno per davvero. Al momento non ci sono notizie sulla riapertura dell’ambasciata saudita in Iran”.

La “conquista” ipersonica

La forza aerospaziale delle Guardie rivoluzionarie iraniane ha presentato un nuovo missile ipersonico, denominato “Fattah” (Conquista) . Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Irna, alla cerimonia era presente il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Con lui, il comandante in capo dei Pasdaran, Hossein Salami e altri ufficiali di alto rango. Secondo quanto riportano i media iraniani il nuovo missile ha un raggio d’azione di 1.400 chilometri e sarebbe in grado di bypassare e  distruggere sistemi di difesa aerea.

L’agenzia di stampa Fars sostiene che il missile è in grado di raggiungere velocità elevate e di “eseguire varie manovre all’interno e all’esterno dell’atmosfera terrestre”.

Lo scorso 25 maggio, l’Iran aveva presentato la quarta generazione di un altro missile balistico Khorramshahr, denominato Kheibar. Secondo i dati riferiti dall’agenzia di stampa ufficiale Irna, il nuovo missile a combustibile liquido, con una gittata di 2.000 chilometri, sarebbe stato in grado di raggiungere Israele.

 A braccetto con Bashar

Un mese fa, da un lancio Ansa: “Il presidente iraniano Ebrahim Raisi e il capo di Stato siriano Bashar al-Assad hanno siglato a Damasco circa 15 documenti di cooperazione, tra cui uno a lungo termine sul “programma di cooperazione globale e strategica”. Nel corso dell’incontro, Raisi ha sottolineato che l’Iran continuerà a sostenere e aiutare la Siria per contribuire alla realizzazione di una pace duratura e della stabilità nel Paese e sarà al fianco dei “fratelli” siriani nella loro lotta contro il terrorismo e per lo sviluppo del Paese. Assad, da parte sua, ha invitato l’Iran a svolgere un ruolo maggiore nell’instaurazione della pace e della sicurezza in Siria.  Il “programma di cooperazione globale e strategica” comprende relazioni economiche e commerciali, tra cui la creazione di una banca comune e di una compagnia assicurativa comune, ha riferito l’Irna. Fino alla creazione della banca congiunta, una banca operativa fornirà scambi finanziari facili per conto dell’Iran e della Siria, al fine di facilitare le transazioni finanziarie per gli uomini d’affari dei due Paesi. Il programma di cooperazione prevede anche la visita annuale di 50.000 pellegrini iraniani in Siria, sotto forma di tre o cinque voli settimanali entro due mesi.

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L’asse ferroviario Mosca-Teheran-Pechino

Di grande interesse è il report di Federico Sangalli per Notizie Geopolitiche: “Le ultime settimane hanno visto l’attenzione mediatica catalizzata dalla riunione del G7 a Hiroshima, in Giappone, dove i leader delle sette maggiori economie occidentali hanno rilanciato la loro unità contro la Russia e la Cina. Ha fatto notizia anche il “contro-vertice” a Xi’an della Cina assieme ai paesi centroasiatici, un modo per ribadire la propria proiezione di forza nella regione. Ma, oscurato dalla concomitanza con gli altri summit, negli stessi giorni si è tenuto anche un altro vertice potenzialmente molto rilevante per gli equilibri mondiali.


Il 17 maggio scorso infatti il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo iraniano Ebrahim Raisi hanno sottoscritto un accordo per la realizzazione di una nuova arteria ferroviaria che dovrà collegare le città di Rasht e Astara, nel nord dell’Iran. Un’intesa apparentemente secondaria che tuttavia assume una nuova rilevanza se letta alla luce delle intenzioni esplicitate durante il vertice, cioè di fare di questa iniziativa il primo passo per rendere operativo l’International North-South Transport Corridor (Instc), un complesso progetto infrastrutturale teso a collegare le città russe ai porti dell’Oceano Indiano, e che è stato accompagnato dalla proclamazione di una “amicizia senza limiti” russo-iraniana che ha riecheggiato quella già ostentata da Mosca e Pechino.


La proposta del “Corridoio Nord-Sud” risale al 2002, quando Russia, Iran e India sottoscrissero il primo accordo in materia per la realizzazione di una rotta commerciale lunga 7,200 chilometri che connettesse quel vasto spazio compreso tra Mosca e Mumbai. Negli anni successivi altri dieci paesi vi hanno aderito, attirati dalla prospettiva di sviluppo infrastrutturale e dalle opportunità di riportare la regione compresa tra il Caucaso e il Pamir al centro delle rotte commerciali internazionali.


Le potenze fondatrici hanno intrapreso poi iniziative autonome per rafforzare l’impianto dell’accordo. Nel 2003 l’India ha per la prima volta proposto di sviluppare il porto iraniano di Chabahar. L’iniziativa è stata congelata dopo l’imposizione delle sanzioni occidentali a Teheran per le sue controversie nucleari ma, in un segno di crescente autonomismo, nel 2016 i due paesi hanno sottoscritto un accordo formale per lo sviluppo del porto di Chabahar, che dal 2018 è passato sotto supervisione indiana, e della rete ferroviaria iraniana. Nel 2011 invece, su iniziativa iraniana, sono stati i paesi dell’Asia Centrale a sottoscrivere l’Accordo di Ashgabat, mirato a sviluppare le reti di comunicazione centroasiatiche con finalità molto simili a quelle dell’Instc.


All’origine di queste iniziative sembra esserci una solida convergenza di interessi coincidenti. Per l’India, per esempio, il rafforzamento dei legami con l’Iran e i paesi centroasiatici offre la possibilità di un accerchiamento strategico del proprio rivale storico, il Pakistan, mentre la creazione di un corridoio economico russo-indiano compenserebbe quello sino-pakistano creato da Pechino nell’ambito della Nuova Via della Seta. Non solo, ma la realizzazione di un punto di appoggio stabile all’imbocco del Golfo Persico permette a Nuova Delhi un accesso più rapido e sicuro alle risorse petrolifere della regione, essenziali per il suo rapido sviluppo economico.
Per Teheran invece queste strategie servono a rompere l’assedio sanzionatorio con cui l’embargo occidentale cerca da decenni di spezzarne l’attivismo politico. L’espansione dei rapporti con Russia e India non solo garantisce un accesso a tecnologie e risorse altrimenti fuori dalla portata iraniana ma permette anche di proiettare l’influenza persiana oltre i suoi confini settentrionali. Mettendo in sicurezza la regione caspica, Teheran si copre le spalle rispetto invece alla pressione del proprio nemico storico, quella superpotenza navalista americana che esercita ancora una presenza nel Golfo Persico.

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Per Mosca infine il “triangolo strategico” sino-russo-indiano, con la successiva aggiunta dell’Iran, è centrale nella strategia per recuperare un ruolo imperiale fin dall’enunciazione della Dottrina Primakov nel 1996. Il collegamento con l’Oceano Indiano realizzerebbe una delle direttrici imperiali storiche del Cremlino, vincendo, con un secolo e mezzo di ritardo, il Grande Gioco che a fine Ottocento contrappose la Russia alla Gran Bretagna, in seguito parzialmente ripreso con gli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. L’integrazione con Nuova Delhi e Teheran offre poi a Mosca uno sbocco su dei popolosi mercati ora che l’accesso a quelli europei è stato reciso dalla crisi ucraina.


Si tratta di immagini suggestive, che però necessiteranno di grandi investimenti e di un progetto di lungo periodo portato avanti con impegno costante per poter vedere la luce. Allo stadio attuale non è ancora possibile certificare il successo o il fallimento dell’Instc né il suo esatto grado di avanzamento. Tuttavia, se l’impatto futuro di questi progetti resta speculativo, il loro rilancio in questo frangente storico è già oggetto di dibattito.
Da un lato molti analisti hanno sottolineato come la tempistica dell’annuncio, a ridosso del summit di Xi’an convocato da Xi per mostrare la sua crescente influenza in Asia Centrale, sia stato un modo da parte del Cremlino per ribadire la propria autonomia strategica, mostrando una politica estera indipendente capace di tessere legami senza dover far affidamento sull’ingombrante alleato cinese. Lo sviluppo dello storico legame Mosca-Nuova Delhi servirebbe dunque a presentare una Russia imperiale capace di conservare una sua sfera di influenza e un ruolo da attore principale senza doversi ridurre al rango di comprimario che alcuni osservatori gli preannunciano alla luce della crescente dipendenza dall’economia di Pechino.


Dall’altro però è difficile scorgere qualche seria contraddizione tra le iniziative russe e quelle cinesi. La visione dell’Instc di creare una rete infrastrutturale solida in Iran e in Asia Centrale non solo non ostacola ma ben si coniuga con l’analogo sforzo cinese nella regione nell’ambito della Nuova Via della Seta. In altre parole, una eventuale, futura ferrovia che collegasse il Mar Caspio con il Golfo Persico non trasporterebbe solo le merci da e per la Russia, via Baku, ma anche quelle da e per la Cina, attraverso i “5 Stan”. In generale, questa coincidenza di interessi fa sì che entrambe le potenze desiderino per la regione un assetto molto simile.


Il caso nel Kazakhstan è indicativo in tal senso: all’inizio del 2022 il grande stato centroasiatico fu scosso da forti proteste contro la corruzione, represse con l’assistenza militare russa. Così facendo però Mosca mise anche in sicurezza anche i grandi investimenti che la Cina aveva compiuto nel paese, che sono anzi aumentati dopo la stabilizzazione. Il fatto che questo sia avvenuto prima dell’invasione dell’Ucraina sembra mostrare come russi e cinesi abbiano, con i dovuti distinguo, trovato un equilibrio regionale che prescinde dai legami di dipendenza venutisi a creare dopo lo scoppio della crisi ucraina.

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Tracciando idealmente su una cartina il “Corridoio Nord-Sud” russo-iraniano e la direttiva “est-ovest” della Nuova Via della Seta cinese, le due linee si incrocerebbero lungo le coste del Mar Caspio, a non molta distanza da quella Samarcanda che nel settembre 2022 ospitò il summit in cui andò plasticamente in scena, per la prima volta dallo scoppio della guerra in Ucraina, la famigerata “amicizia senza limiti” russo-cinese. Questo incrocio sembra riconsacrare l’Asia Centrale al suo antico ruolo di crocevia dei commerci e cuore delle rotte mercantili euroasiatiche.


Non è un caso se questo sembra essere proprio il fine dei progetti geoeconomici della Cina quanto della Russia. MacKinder teorizzò lo scontro per il controllo dell’Eurasia tra la superpotenza navalista, incentrata sul dominio dei mari, e una serie di grandi potenze terrestri euroasiatiche. Queste ultime cercherebbero di unificare la massa euroasiatica per non dover dipendere dal controllo delle rotte marittime da parte della potenza navalista, la quale detiene un indubbio vantaggio: quasi quattro quinti della popolazione mondiale – e, con essa, larga parte dei suoi centri economici e militari – si trovano in zone prossime alle coste e dunque esposte agli interventi navalisti.
L’Asia Centrale è una delle poche regioni al mondo a non soffrire di questa condizione, trovandosi a migliaia di chilometri dall’oceano più vicino e affacciandosi su un mare (il Mar Caspio), chiuso e dunque non accessibile alla potenza navalista. Se l’intersezione dovesse realizzarsi, essa sottrarrebbe il fulcro del commercio mondiale al controllo del monopolista del potere marittimo, permettendo alle grandi potenze euroasiatiche, come appunto la Cina e la Russia, di scambiarsi grandi quantità di beni e servizi senza che la potenza avversaria – cioè gli Stati Uniti – possa interferire. Se dunque certamente la proclamazione di una “amicizia senza limiti” tra Mosca e Teheran serve alla Russia per ribadire i suoi legami con i vicini di fronte alla crescente influenza cinese, allo stesso tempo questo non appare come un particolare segno di ostilità alle iniziative cinesi nella regione, anzi. Sia l’Instc sia la Nuova Via della Seta hanno come obiettivo primario quello di “saltare” Suez e con esso il potere di controllo americano sui mari, attraverso l’infrastrutturazione dell’Asia Centrale e il potenziamento delle rete di trasporto della regione.


Le quattro potenze coinvolte in questo intreccio, cioè Russia, Cina, Iran e India, non hanno alcuna visione ideologica comune ma semmai una coincidenza di interessi che ne fa quello che Samuel Huntington definì una “coalizione anti-egemonica”, mossa primariamente dalla volontà di negare agli Stati Uniti il ruolo di egemone a cui Washington aspira dalla caduta dell’Urss. Questo scenario è ancora ben lungi dal realizzarsi ma il vento in Eurasia sembra spirare ormai in questa direzione. All’Occidente non resta che prenderne atto e cercare di elaborare una risposta che il mondo ancora attende”.

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