Migranti, la storia di Abdul e quel "patto infame
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Migranti, la storia di Abdul e quel "patto infame

La storia di Abdul dovrebbe essere letta e meditata da tutti i parlamentari che avrebbero potuto cancellare o modificare  quel “patto infame” – il Memorandum Italia-Libia – che domani 2 Novembre sarà automaticamente rinnovato per altri tre anni.

Migranti, la storia di Abdul e quel "patto infame
Migranti in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Novembre 2022 - 16.11


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La storia di Abdul e quel Memorandum della vergogna. Domenico Quirico è un grande inviato di guerra. Uno di cui l’Italia dovrebbe andare fiera. Domenica le guerre le ha raccontate dal campo. La morte l’ha vista negli occhi, la sofferenza l’ha vissuta sulla propria pelle. Domenico Quirico ha scritto una storia tragicamente emblematica. Con dolore, commozione e con il consueto rigore analitico che è da sempre nelle sue corde. La storia di Abdul dovrebbe essere letta e meditata da tutti i parlamentari che avrebbero potuto cancellare o modificare  quel “patto infame” – il Memorandum Italia-Libia – che domani 2 Novembre sarà automaticamente rinnovato per altri tre anni.

La storia di Abdul

Scrive Quirico: “Cerco un ragazzo di 17 anni, con i capelli crespi e scuri, gli occhi sono dilatati dal dolore. Si può guardare attraverso quegli occhi come se non finissero mai. È magro e sottile come la sua gente. Conosco il luogo in cui è nato, i luoghi della sua infanzia e adolescenza: il Tigrai con le ambe e le valli dove il verde si rannicchia succhiando la vita. So anche il suo nome: Abdul Razaq. Lo immagino camminare attraverso montagne e deserti, lo vedo coperto di polvere su pick up che corrono su piste segnate dall’usura dell’uomo. È uno di coloro per cui non c’è nulla che li aspetti, in nessun luogo, che devono portare tutto con sé, che sono dispersi come le perline di una catenella che si sia sfilata. Migranti. La distanza tra il Tigrai un piccolo pezzo di mondo calpestato dall’odio e dalla fame, è di alcune migliaia di chilometri. Non so quanto tempo un ragazzo di 17 anni impieghi a percorrere questo abisso.

Mesi? Forse anni? Vogliano concedergli mesi per cercare i soldi con cui pagare le tappe successive del viaggio o soltanto per riposare un po’. Non so quanto arrivare in Libia gli sia costato. I prezzi della tratta variano dipende alla domanda e dalla offerta. È il capitalismo signori, il libero mercato: droga uomini merci che differenza fa? Forse mille euro, forse di più. Non lo so. So che il suo cammino è terminato, in un posto che si chiama Janzur, Libia. No. Abdul Razaq non ha compiuto l’ultimo balzo con il gommone o la barca, il dettaglio che lo fa diventare per noi qualcosa. Da respingere o da salvare. In questo caso lo avrei trovato a Lampedusa o sulla nave di qualche organizzazione umanitaria che incrocia sulla rotta della morte. Bandiere scolorite dei diritti dell’uomo, la svendita di un continente, marea montante del fango, da dieci anni, popoli respinti lentamente al macello. Un burocratico, mediocre avvilente crepuscolo degli dei.  In fondo Abdul non è nemmeno un migrante, si è fermato prima, è niente.

È finito nel setaccio che abbiamo preparato per quelli come lui, oggetti senza valore in sé ma che si possono far fruttare. Sta sperimentando la soluzione che abbiamo inventata dall’altra parte del mare per risolvere il problema della migrazione, quella che ci dà fastidio, perché arriva da quell’insopportabile, puzzolente Sud del mondo. Mi piacerebbe parlare con lui: che cosa pensa, che cosa sente, che cosa sa, cosa confessa a se stesso e cosa non vuole rivelare per pudore e per dolore a sé e agli altri. Invece mi devo accontentare di un video: disumano o semplicemente troppo umano? Vi compare solo un ragazzo tigrino che viene torturato lungamente, implacabilmente in una luce pallida, malata, gialliccia da mani senza volto con scariche elettriche al collo al petto in tutto il corpo. Vogliono soldi dalla sua famiglia, da chiunque, diecimila dollari per liberarlo o forse solo per non torturarlo più. Non so se basteranno per far sì che salga su un barcone diretto in Italia.  Speri febbrilmente che il video finisca e ti prende la paura, aspra, inspiegabile, come se quando la sequenza si chiude dovessi trovare sfasciato il mondo.

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Conosco i luoghi, le prigioni per i migranti, gli uomini feroci a cui noi, noi persone civili che amiamo la pace e odiamo l’ingiustizia diamine!, li abbiamo consegnati da anni. Avrei molte cose da raccontare, posso immaginare molte cose ma non voglio ricordi. Da anni ho deciso di non scriver più di migranti perché per raccontare gli esseri umani, le loro tragedie e non fare letteratura bisogna meritarselo: e io, noi che abbiamo fatto per meritarcelo? Violo la mia promessa per Abdul Razaq: voglio guardarlo negli occhi, sentire la sua voce che non sia quel lamento di bestia torturata. Ma so che la pietà è una cosa da tempi tranquilli. Guarderemo il video. Si farà il possibile, se si può… seppelliamo i morti e divoriamo la vita. Ne avremo, noi, ancora bisogno”. 

Un solo commento: grazie Domenico.

L’appello-denuncia  di Save the Children

Lo riportiamo di nuovo. Per non dimenticare il crimine che si sta riproponendo.

“Il 2 novembre si rinnoverà automaticamente il Memorandum Italia-Libia, con cui i Paesi sulle due sponde del Mediterraneo si impegnano ufficialmente in “processi di cooperazione, contrasto all’immigrazione illegale e rafforzamento della sicurezza delle frontiere”. Questo è ciò che, in teoria, l’accordo tra Italia e Libia dovrebbe prevedere, ma ciò che avviene ormai da 5 anni sotto gli occhi di tutti si traduce in un crimine contro l’umanità.

È inaccettabile per l’Italia rinnovare gli accordi con un Paese dove permangono e si sono acutizzate continue violazioni dei diritti umani e dei diritti dell’infanzia.

Cos’è il memorandum Italia-Libia?

Il trattato è un documento d’intesa tra i due Paesi firmato per la prima volta il 2 febbraio 2017, sotto il governo Gentiloni. L’accordo, con durata di tre anni e rinnovo automatico, prevede che il governo italiano fornisca aiuti economici e supporto tecnico alle autorità libiche per ridurre i flussi migratori, ai quali viene affidato la sorveglianza del Mediterraneo attraverso la fornitura di motovedette, di un centro di coordinamento marittimo e di attività di formazione. Ma le parole sulla carta non corrispondono alla realtà.

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Omissione di soccorso, respingimenti, detenzioni arbitrarie, stupri e violenze: ecco a cosa sono sottoposti i migranti e rifugiati in Libia e non possiamo restare in silenzio di fronte a tutto questo. È chiaro a chiunque cosa avviene ogni giorno nel Mediterraneo e nei centri di detenzione in Libia, ma l’attenzione da parte della politica e delle Istituzioni è nulla, anzi sembra remare contro. L’Italia e l’Unione Europea continuano a impiegare in Libia sempre più risorse pubbliche e a considerare la Libia un Paese con cui poter stringere alleanze, all’interno di un complesso sistema basato sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere, che delega ai Paesi di origine e transito la gestione dei flussi migratori, con il sostegno economico e la collaborazione dell’Unione Europea e degli Stati membri. La guerra in Ucraina ha dimostrato che in Europa un’altra accoglienza è possibile ma anche mostrato la ferocia di un doppio standard per chi arriva dal Mediterraneo.

Diritti negati di comune accordo 

Come già detto, e purtroppo più volte visto, il Memorandum non si limita a creare progetti di cooperazione bilaterale. L’accordo prevede infatti il sostegno alla cosiddetta Guardia Costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento: continuare a supportarla, non solo equivale a contribuire direttamente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione, definiti ufficialmente “centri di accoglienza”, dove le persone vedono quotidianamente calpestati i propri diritti, sottoposte a trattamenti inumani e degradanti.

Dal 2017 all’11 ottobre 2022 quasi centomila bambini, donne e uomini sono stati intercettati in mare dai dalla Guardia Costiera Libica, per poi essere riportate in un Paese che non può essere considerato sicuro. Essere una persona migrante in Libia significa infatti essere costantemente a rischio: di essere arrestato, detenuto, abusato, picchiato, sfruttato. Significa vedersi spogliati di ogni diritto e non ricevere alcuna tutela.

Tutto ciò si inserisce in un quadro politico particolarmente instabile, in cui le violenze contro la popolazione crescono di anno in anno, così come gli sfollati. Sono numerosi i report delle Nazioni Unite, confermati anche dalle testimonianze dei migranti che riescono a lasciare il Paese, che riportano come episodi di violenza, torture e riduzione in schiavitù siano all’ordine del giorno nei centri di detenzione in Libia. In più, vengono confermate la commistione delle autorità libiche con le milizie, e il loro coinvolgimento nel sistema di detenzione arbitraria, sfruttamento e abuso dei migranti e dei richiedenti asilo. In questo scenario è sempre più difficile tracciare i fondi e i mezzi inviati grazie al nostro Memorandum. 

Un rinnovo inaccettabile  

La Libia è un Paese che presenta situazioni di insicurezza e instabilità verso il quale non vanno in nessun modo sostenuti rimpatri o trasferimenti, inclusi quelli dei minori. È evidente che riformare o migliorare il sistema Memorandum ed in generale di blocco delle partenze dalla Libia vorrebbe dire continuare a mantenere intatte le condizioni affinché proseguano le violazioni ai danni di donne, uomini, bambini e bambine. Sussiste infatti, un’impossibilità strutturale di apportare qualsiasi forma di miglioramento delle condizioni di vita delle persone migranti in Libia, a cui si aggiunge un inadeguato accesso dei richiedenti asilo e rifugiati alla protezione internazionale.

Il Memorandum Italia-Libia non sta ponendo nessun limite alle violazioni dei diritti delle persone migranti, al contrario crea proprio le condizioni per il loro proseguimento, agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura consumate regolarmente e tali da costituire crimini contro l’umanità, così come definito dalla Missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite.

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È urgente che l’Italia è l’Europa riconoscano le proprie responsabilità e non rinnovino gli accordi con la Libia”.

Così Save the Children. La risposta italiana? Il rinnovo triennale del patto infame. 

Nome:#nonsonodaccordo.

Scrive su Vita Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci: “Nei giorni scorsi, il Rappresentante Speciale per la Libia del Segretario Generale dell’ONU, Abdoulaye Bathily, parlando davanti al Consiglio di Sicurezza ha ribadito, dopo una visita in Libia, che “le violazioni contro migranti e richiedenti asilo continuano nell’impunità. La detenzione arbitraria continua come pratica comune.” Bathily ha denunciato il ritrovamento di 11 corpi di migranti carbonizzati all’indomani degli scontri tra bande rivali di trafficanti di esseri umani a Sabratha, invitando le autorità libiche ad “adottare misure immediate e credibili per affrontare la terribile situazione dei migranti e rifugiati e smantellare la relativa tratta e le reti criminali”.

Nulla di nuovo potremmo dire. È stato il procuratore capo della Corte Internazionale dell’Aia Karim Khan, nei mesi scorsi a parlare più volte di crimini contro l’umanità, compiuti in Libia da soggetti che si muovono tra istituzioni governative e milizie che controllano il territorio. Eppure il prossimo 2 febbraio, se il governo italiano non interverrà entro il 2 novembre (tre mesi prima della scadenza) il Memorandum d’Intesa Italia Libia verrà rinnovato automaticamente per i prossimi 3 anni.

Il nostro governo, con una continuità straordinaria dal centro sinistra di Gentiloni e Minniti, al governo 5Stelle-Lega, di Conte e Salvini, a quello di unità nazionale con Draghi Lamorgese, ha fatto finta di non vedere quello che succedeva e ha continuato a sostenere, politicamente e finanziariamente, con strumenti e formazione del personale, violenze, stupri, riduzione in schiavitù e omicidi. Con un forte sostegno dell’Unione Europea. Crimini commessi con continuità e davanti agli occhi del mondo intero, testimoniati da soggetti indipendenti, dalle stesse vittime e da istituzioni delle Nazioni Unite e dell’Europa.

Eppure l’Italia continua, anche in queste ore con il primo intervento del nuovo Ministro dell’Interno Piantedosi, a sostenere che sia giusto considerare la Libia un approdo sicuro e la cosiddetta guardia costiera libica, un soggetto al quale affidare la sicurezza e la protezione dei naufraghi che fuggono proprio dall’inferno libico.

Non in nostro nome:#nonsonodaccordo. Così in piazza dell’Esquilino centinaia di persone hanno voluto testimoniare la loro contrarietà al sostegno di crimini contro l’umanità dei quali il nostro governo e l’UE sono di fatto mandanti.

Continueremo fino al 2 e anche oltre denunciare questa tragedia di cui siamo responsabili come Paese e come Europa e chiederemo ai partiti del centro sinistra di cambiare radicalmente rotta, chiedendo la cancellazione del Memorandum e investendo sui diritti e l’uguaglianza per stranieri e rifugiati, impendendo che tutta l’Europa diventi come l’Ungheria di Orban”.

Quel patto infame sarà rinnovato per tre anni. Gridiamolo in tanti il 5 Novembre a Roma: Not in my name!

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