Migranti, la morte della Regina Elisabetta e quella dei 4 bambini siriani
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Migranti, la morte della Regina Elisabetta e quella dei 4 bambini siriani

La dipartita di Sua Maestà britannica ha riempito pagine e pagine dei giornali italiani – più ancora di quelli britannici -, ore di trasmissioni televisive, in attesa della diretta a reti unificate dei solenni funerali, lunedì prossimo.

Migranti, la morte della Regina Elisabetta e quella dei 4 bambini siriani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Settembre 2022 - 18.14


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Con tutto il rispetto per la defunta Sua Maestà la Regina Elisabetta II. La sua dipartita ha riempito pagine e pagine dei giornali italiani – più ancora di quelli britannici -, ore di trasmissioni televisive, in attesa della diretta a reti unificate dei solenni funerali, lunedì prossimo. Una morte regale, dopo oltre 70 anni di regno, ma pur sempre la morte di una signora di 96 anni che si è spenta serenamente nel suo letto nel castello di Balmoral. Della morte per fame e per sete di quattro bambini siriani nessuno ha sentito la necessità non dico di una puntata di qualche salotto mediatico ma almeno di un’apertura di telegiornale o della prima pagina di un quotidiano. E questa è una vergogna assoluta. Una vergogna che la stampa mainstream condivide con una classe politica capace solo, e nel migliore dei casi, versare lacrime di coccodrillo per quei corpicini senza vita. 

Non è un “dramma”. E’ un crimine

Scriveva ieri Alessandra Ziniti su Repubblica: “Ci sono 80 bambini su quel barcone con 250 migranti a bordo che da tre giorni invoca aiuto in zona Sar maltese. Ottanta bambini che da tre giorni non hanno più un goccio d’acqua nè cibo e rischiano di morire di sete come già accaduto negli ultimi giorni ad altri quattro bimbi su altre imbarcazioni. Tutte lasciate andare alla deriva nel Mediterraneo senza che nessuno risponda alle richieste di soccorso. 

Neanche l’onda di indignazione e l’orrore per la straziante morte  di quattro bambini e di tre donne ha fatto sì che qualcuno si sia mosso in soccorso di questi altri 250 profughi, partiti anche loro dal Libano su quella che si preannuncia come la nuova tratta della morte,  e in mare da otto giorni. Sulla barca una bambina di tre mesi sarebbe già morta stando a quanto affermato da un uomo che si è messo in contatto due giorni fa con la Ong Alarm phone che continua a rilanciare alle autorità di tutte le zone Sar le richieste di Sos.

Questa mattina l’ultimo contatto tra Alarm phone e i migranti che hanno raccontato di aver visto passare nelle vicinanze il cargo MorningCarol che sarebbe andato oltre senza fermarsi e senza prestare alcun tipo di soccorso. Alcune persone si sarebbero anche gettate in acqua nell’inutile tentativo di raggiungere la nave. “Non hanno niente da bere, la situazione è disperata”, ribadisce Alarm phone. I profughi, quasi tutte famiglie siriane ed afghane, sono rimasti senza carburante con la barca alla deriva tre giorni fa e da due giorni hanno esaurito anche le scorte di acqua e di cibo. I maltesi continuano a non rispondere alle richieste di aiuto e nessun mezzo si è avvicinato anche solo per lanciare delle bottiglie di acqua.  “Ho parlato questa notte con alcuni di loro – dice l’attivista Nawal Soufi che la scorsa settimana ha dato la notizia della morte della piccola Loujin ci sono 80 bambini che stanno morendo di sete, i genitori non hanno altro da fare che bagnare loro le labbra con l’acqua del mare e alcuni di loro non resistono ad ingerirla accelerando purtroppo il processo di denutrizione. Stanno lasciando morire ottanta bambini sotto gli occhi dell’Europa. Nessuno può dire di non sapere”. In direzione dell’imbarcazione si sta muovendo la nave di una Ong tedesca Humanity 1 ma è ancora molto lontana”. 

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La rivolta del mondo solidale

“Accogliamo con profondo sgomento questa nuova tragedia che vede ancora una volta i bambini vittime dell’indifferenza. Chi scappa da conflitti, violenze e povertà estreme non può continuare a perdere la vita nel Mediterraneo. Rinnoviamo ancora una volta l’appello alle istituzioni italiane e dei Paesi europei per la creazione di un sistema strutturato e coordinato di ricerca e soccorso in mare e per l’attivazione di canali sicuri e legali di accesso. Inoltre, è necessario garantire che le navi che operano nel Mar Mediterraneo, anche mercantili o di organizzazioni non governative, non incontrino alcun ostacolo quando soccorrono e sbarcano le persone in difficoltà”. Così Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro, commentando la notizia della morte di 6 persone, tra cui bambini, adolescenti e donne, su un barcone giunto a Pozzallo. Save the Children, nell’ambito del suo impegno in frontiera a sostegno dei bambini con le famiglie e dei minori soli che arrivano via mare, in collaborazione con Unicef, è presente all’hotspot di Pozzallo per l’assistenza e la protezione dei sopravvissuti.

“Il Mediterraneo torna ad essere una tomba, un cimitero, questa volta di due bambini in fuga annegati, insieme a un giovane e a due adulti”. Lo denuncia Migrantes, la Fondazione della Cei presieduta da mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara. “Erano siriani e nessuno – osserva Migrantes – può negare che avevano diritto alla protezione internazionale. Non sappiamo ancora se esiste un legame familiare tra queste persone. Immagini drammatiche che chiedono un rinnovato impegno e non un blocco delle azioni di salvataggio in mare; chiedono un’azione congiunta tra le navi di soccorso delle Ong e le navi e gli aerei militari dei Paesi europei; chiedono un’azione europea in Libia per prevedere canali umanitari e legali per chi abbia diritto a una forma di protezione internazionale. Troppe parole si spendono mentre troppi morti si accumulano in fondo al mare. La Fondazione Migrantes auspica da subito un permesso di protezione internazionale per i 26 sopravvissuti; un rinnovato impegno politico e civile a favore di chi chiede e ha diritto a una protezione internazionale, perché questo diritto non finisca in fondo al mare, negato, con nuove vittime innocenti. Una democrazia non può accettare che diritti fondamentali, come il diritto d’asilo, siano calpestati e ignorati”. La richiesta all’Europa è di predisporre “un dispositivo di ricerca e soccorso in mare” ed “evitare ritardi eccessivi nell’assegnare i porti. Va trovata, in maniera dialogante, una via che possa essere sostenibile. Il fatto di ritardare il permesso agli sbarchi, se non è dovuto a motivi tecnici, è solo una cattiveria gratuita, visto che prima o poi li fanno sbarcare”.

Anche la Comunità di Sant’Egidio chiama in causa la comunità internazionale. L’Europa, in particolare, che «non può voltare le spalle di fronte a migranti che muoiono di fame e di sete, far finta di niente, accettare questi eventi come “normali”, quasi un prezzo da pagare per continuare a illudersi che il problema non riguardi anche noi». L’invito, al contrario, è ad «agire con urgenza: salvare, prima di tutto, in mare, senza rimpallarsi accuse tra Stati sul controllo delle acque territoriali. Ma anche trovare soluzioni, che riguardano il modello dei corridoi umanitari (che mette insieme l’accoglienza con l’integrazione), quote di reinsediamento per i profughi richiedenti asilo e ingressi regolari per motivi di lavoro (di cui l’economia italiana ha estremante bisogno). Stare a guardare non solo è colpevole – proseguono – ma nuoce a tutti perché divora il futuro del nostro continente, che crediamo possa e debba trovare le energie per reagire a tanta disumanità». Le tragedie del mare «sono tutte terribili ma non sono tutte uguali – evidenziano ancora da Sant’Egidio -. Quelle di questi giorni, con la morte di alcuni bambini e dei loro genitori per fame e sete, raccontano di una vera e propria tortura subita da vittime innocenti di situazioni insostenibili che costringono alla fuga dal proprio Paese: le guerre, i disastri ambientali, il terrorismo, la negazione di un futuro vivibile. Sempre peggio perché i viaggi sono sempre più difficili e rischiosi, le rotte più lunghe e complicate per sperare di sopravvivere. Quella che impone ai migranti che partono dal Libano di puntare verso la lontanissima Italia, perché i confini europei più vicini a loro sono off limits, è inaccettabile», concludono. Per Oliverio Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana, «la modalità con cui sono morti questi bambini ha un tratto simbolico. Dà la dimensione di quello che sta accadendo: oggi, nel 2022, vedere nel Mediterraneo, alle porte dell’Europa, dei bambini che muoiono di sete e di stenti è qualcosa di insopportabile dal punto di vista emotivo e assurdo per l’assenza di risposte e diverse richieste di aiuto rimaste inascoltate».

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 “La classe politica, tutta, deve dire nettamente che i bambini e le bambine non possono morire in mare” chiede il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini. “I partiti lascino per un giorno l’agenda – aggiunge – e pensino che tragedie atroci come questa, che avvengono da anni, non possono essere tollerate. Riteniamo necessario rafforzare il soccorso in mare perché è un modo fondamentale per evitare morti come queste”.

“Se i conflitti non si combattono solo con le armi ma con scelte politiche sbagliate, nel Mediterraneo è in corso una guerra subdola, silenziosa e senza munizioni che non offre riparo o sponda nemmeno ai bambini. Non meno deplorevole di tutte le altre guerre, questa si consuma, da decenni, ai confini dell’Europa nell’indifferenza senza scrupoli di governi che si rimbalzano persino la responsabilità di un salvataggio in mare”. Lo afferma in una nota Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli. “Ancora dei rifugiati, questa volta sei siriani, tra cui due bambini di uno e due anni, un adolescente e tre adulti, morti presumibilmente di fame e di sete su un barcone alla deriva per quasi una settimana”.  

Le Acli continuano a chiedere, anche dopo questa ennesima tragedia, una ripresa del pattugliamento delle rotte marittime e del rafforzamento della ricerca e dei soccorsi in mare, capaci di aiutare chiunque sia in difficoltà, secondo il diritto internazionale. “Nessuna vita, ancor più quella dei bambini e dei neonati, può essere interrotta per semplice indifferenza – continua Russo. –  Secondo le Nazioni Unite, quest’anno più di 1.200 migranti sono morti in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa. Persone che si aggiungono alle altre migliaia annegate nei precedenti anni”.

“Anche in questa circostanza ci chiediamo cosa è rimasto di una civiltà, che accetta la morte per sete e fame di bambini e neonati per paura di aprire i propri confini? Come per il teologo Bonhoeffer, siamo convinti che la cifra della civiltà e il senso morale di un popolo come di una comunità nazionale e internazionale, si misuri anche dalla sua capacità di accogliere i bambini”, conclude Russo.

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In occasione delle elezioni politiche le Acli chiedono che non si perda, sul tema dell’accoglienza e del rispetto dei diritti umani, l’opportunità di chiarire le posizioni in una fase storica in cui è in gioco il ruolo determinante dell’Italia nella costruzione della pace tra i popoli”.

“Nulla è cambiato. Riceviamo ogni giorno decine di denunce sul destino di chi torna in Siria, che abbiamo documentato nel nostro report periodico”. La Comunità Papa Giovanni XXIII è impegnata da anni insieme ad altre organizzazioni per l’attivazione di corridoi umanitari per i profughi. “Finché questa pratica non verrà implementata e adottata dalla maggioranza dei governi europei – dice il presidente Paolo Ramonda – non potremo dare alternative alle persone che ne hanno bisogno e diritto. La guerra in Ucraina, con la sua conseguente crisi umanitaria, ha mostrato quanto accogliere i rifugiati sia giusto e possibile. L’Italia e l’Europa – conclude – possono riappropriarsi del proprio ruolo di guida nella tutela dei diritti umani, come auspicato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950”. 

“Ci sono decine e decine di imbarcazioni che spariscono nel nulla, inghiottite dalle onde”, racconta a Bianca Senatore de l’Espresso  un altro degli attivisti di Alarm Phone. «E fare un calcolo è molto difficile. Quante persone muoiono senza che nessuno lo sappia?». “Perché se non c’è nessuno a raccontarlo – rimarca Senatore –  è come non fosse mai accaduto. Ma se invece quelle persone in pericolo si vedono e però si ignorano, allora quello è un reato. Ed è disumanità. «È necessario fare di più per ampliare i canali sicuri e regolari e crearne di nuovi», ha sottolineato ancora l’Unhcr, «per fare in modo che le persone in fuga da guerre e persecuzioni possano trovare sicurezza senza mettere ulteriormente a rischio le loro vite».

Una fuga infinita

Sono finora 65.578 le persone migranti sbarcate sulle coste da inizio anno. Nello stesso periodo, lo scorso anno furono 42.057 mentre nel 2020 furono 21.042. Il dato è stato diffuso dal ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina. Negli ultimi due giorni sono state 1.062 (995 ieri e 67 oggi) le persone registrate in arrivo sulle nostre coste che hanno fatto salire a 7.327 il totale di quelle arrivate via mare in Italia da inizio mese. L’anno scorso, in tutto settembre, furono 6.919, mentre nel 2020 furono 4.386.
Dei quasi 65.600 migranti sbarcati in Italia nel 2022, 13.980 sono di nazionalità tunisina (22%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Egitto (12.549, 19%), Bangladesh (9.581, 15%), Afghanistan (5.210, 8%), Siria (4.122, 6%), Costa d’Avorio (2.073, 3%), Eritrea (1.645, 3%), Iran (1.508, 2%), Pakistan (1.465, 2%), Guinea (1.458, 2%) a cui si aggiungono 11.987 persone (18%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.

Ma di tutto questo non troverete traccia nelle prime pagine dei giornali, tanto meno nei dibattiti elettorali. Mentre per Elisabetta II…

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