Libia, un giornalista coraggioso e un politico millantatore
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Libia, un giornalista coraggioso e un politico millantatore

Da Radio Radicale Sergio Scandura ha raccontato, documentato, rivelato le peggiori nefandezze commesse nel Mediterraneo e nei lager libici. E poi c'è chi...

Libia, un giornalista coraggioso e un politico millantatore
Sergio Scandura
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Agosto 2022 - 17.49


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Sergio Scandura è tra i pochi giornalisti italiani – in un podio con Francesca Mannocchi, Nancy Porsia e Nello Scavo – che la Libia conosce come le proprie tasche. Sergio, colonna di Radio Radicale, è un giornalista d’inchiesta, uno dei pochi rimasti in circolazione. Ed è uno spirito libero di quelli che non fa sconti a nessuno. Da Radio Radicale ha raccontato, documentato, rivelato le peggiori nefandezze commesse nel Mediterraneo e nei lager libici. E, altra medaglia al merito, Sergio ha una memoria (oltre che un archivio) di ferro. Non penso di fargli dispetto se rendo pubblica una sua considerazione, amara quanto vera, di qualche giorno fa.

La seguente: “Possibile che nessuno, a parte Radio Radicale ancora ieri, smonti il bluff del dimezzamento sbarchi del 2019 di Salvini? Insomma. C’era la guerra in Libia, peraltro scoppiata dopo la fallimentare conferenza di Palermo sulla Libia imbastita da Conte (1). I miliziani che curano i traffici di mare e terra erano tutti impegnati a combattere contro LNA (fu l’unico momento unificante dei palermitani e corleonesi di Tripolitania). Le partenze erano rare, non ci si poteva spostare manco da un km all’altro per quanti check point c’erano lungo le strade. Si organizzavano arsenali accanto ai centri di detenzione, se non in alcuni casi perfino dentro. Si usavano i migranti nella logistica, per pulire armi o trasportarli, in casi altri seppur in numero minore, anche come combattenti (sudanesi). Nel luglio del 2019 a Tajoura abbiamo avuto dozzine di migranti morti in un centro di detenzione a causa di un bombardamento, poi il resto della guerra con centinaia di cadaveri poi rinvenuti nelle fosse comuni a Tarouna e il resto delle vittime che ogni guerra produce. No. Salvini non ha dimezzato gli sbarchi per via di una bacchetta magica in quel 2019: vanta (e spaccia) solo il risultato su una tragedia”.

Così è. E Globalist raccoglie l’invito di Scandura. Noi ci stiamo. 

Il blocco che divide

E ci siamo già stati sul tema del “blocco navale”. Tema che scuote lo stesso centrodestra. Come resoconta anche l’Ansa:  “L’ipotesi di fermare i flussi migratori con il blocco navale crea qualche dissapore tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. L’ex ministro della Gioventù rilancia con forza questa soluzione.Mossa accolta da qualche mugugno da parte della Lega, che, sul dossier immigrazione, fa capire di non apprezzare troppe invasioni di campo. “Noi al governo – trapela dal partito verde – abbiamo già azzerato gli sbarchi e dimezzato i morti coi decreti sicurezza, che fra due mesi riproporremo identici. Possiamo quindi vantare risultati concreti, riconosciutici in tutta Europa, e ogni suggerimento degli alleati sarà per noi prezioso”. Una precisazione che cade all’indomani della due giorni del segretario leghista a Lampedusa, da dove ha rilanciato la sua candidatura alla futura guida del Viminale.

Nel mezzo Forza Italia. Fonti del partito azzurro bollano come “una sciocchezza” la proposta ‘sic et simpliciter’ del blocco navale, che, in effetti, se fosse un atto unilaterale del solo governo italiano, sarebbe un atto di guerra. Ma al contempo ricordano come questa ipotesi vada inserita come addendum in una strategia globale europea contro l’immigrazione. La stessa impostazione, ricordano le stesse fonti, è infatti descritta nel programma della coalizione, in cui si parte dai decreti sicurezza e che parla di blocco navale solo nell’ambito di un’azione coordinata dell’Unione europea e con il consenso dei paesi di origine. Detto questo l’asse Pd-Azione è andata all’attacco della leader di Fratelli d’Italia: la dem Chiara Gribaudo definisce questa idea “una fandonia folle e inapplicabile”. Netta anche Laura Boldrini: “Meloni – si chiede l’ex Presidente della Camera- sa che per il diritto internazionale è considerato un atto di guerra? Sa che servirebbero più navi di quante ne dispone la Marina militare? Sa che i morti supererebbero i respinti? Nessuna idea seria?”. Anche Osvaldo Napoli (Azione), sostiene che quello di Meloni “è un tipico esempio di populismo, cioè promettere qualcosa che non si realizzerà mai perché non dipende solo dalla volontà di un Paese ma dalla somma delle volontà di 27 Paesi + uno, cioè la Libia. E nessun Paese europeo si è mai detto disponibile al blocco navale”. A sostegno della validità di questa ricetta contro i clandestini, Meloni cita oggi un articolo del quotidiano fondato di Antonio Gramsci del lontano 2017: ” “UE: Blocco navale in Libia contro le morti in mare”. Questo il titolo – scrive Meloni su Facebook – scelto dall’Unità il 26 gennaio 2017 per sintetizzare le proposte della Commissione europea per “fermare i flussi migratori”. Il Blocco navale europeo in accordo con le autorità del nord Africa che da anni propone Fratelli d’Italia altro non è che l’attuazione di quanto proposto dall’Unione Europea già nel 2017 e ribadito numerose altre volte. Chi oggi blatera che “il Blocco navale non si può fare perché è un atto di guerra” dimostra – conclude Meloni – la sua totale ignoranza sul tema immigrazione”.

Quanti “ignoranti”

Generali, ammiragli, analisti militari, esperti di diritto internazionali, ex ambasciatori. E’ lungo e autorevole l’elenco degli “ignoranti” che contestano le asserzioni della pretendente premier di Fli. 

“Il blocco navale che chiede Fratelli d’ Italia è una missione militare europea, fatta in accordo con le autorità del Nord Africa, per impedire ai barconi di partire in direzione dell’Italia.  È l’unica misura seria per contrastare il business dell’immigrazione clandestina e fermare una volta per tutte le morti in mare. Ma capisco sia un discorso troppo difficile da comprendere per i paladini dell’accoglienza a tutti i costi”. Così su Facebook la presidente di Fratelli d’ Italia, il 10 maggio 2021.

Ora, per implementare il blocco navale – rileva un report del Geopolitical Center – dovrebbero  essere impiegati almeno 5000 uomini sul terreno, a difesa delle struttura strategiche, 4/6 droni da media e bassa quota per la sorveglianza delle coste, una nave con funzioni di comando e capacità di appoggio aereo per la quale immaginiamo la portaerei Cavour, due cacciatorpediniere per la protezione aerea nel caso in cui un Mig libico volesse compiere un attacco contro la nostra portaerei, una decina di unità minori, corvette e pattugliatori per imporre fisicamente il blocco navale e chiare regole di ingaggio, onde evitare che i nostri uomini diventino bersagli impotenti di terroristi e scafisti. 

Se si vuole stabilizzare per davvero la Libia, dice a Globalist il generale Fabio Mini, ex comandante Nato, ora brillante saggista, servirebbero ”come minino 50 mila uomini per controllare il territorio, fermare le auto, sorvegliare gli spostamenti, schedare le persone”. E occorrerebbe mettere in conto almeno 50 morti a settimana.

Gli fa il generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano nella missione di pace “Libano 2” e delle Forze Terrestri Alleate del Sud Europa. “Voler considerare la Libia di oggi come se si trattasse di una nazione organizzata su principi di carattere politico e strategico tradizionali, è una bestemmia – annota Angioni -. L’attuale confusione esistente in quest’area nordafricana a noi particolarmente conosciuta non consente di esprimere sulla Libia di oggi qualsiasi considerazione logica e avveduta. A regnare oggi in Libia è il caos, un caos armato, è la confusione, l’illecito, la malvagità, gli interessi più abietti che possono essere presi in considerazione in una comunità umana. La tragedia della Libia coinvolge esseri umani che con la Libia non hanno nulla a che fare e che anzi sarebbero ben felici di non essere in quel territorio, in quell’inferno.  Purtroppo per l’umanità, la Libia è la meta di decine di migliaia di persone dell’Africa disperate al punto di essere disposte a correre il rischio di essere uccise pur di avvicinarsi all’Europa. La Libia – rimarca il generale Angioni – è ancor oggi una ‘palestra’ di arroganza nella quale agiscono attori esterni che conducono una guerra per procura. Pensare di poter affrontare questa situazione con qualche nave è una sciocchezza, una pericolosa sciocchezza. Sarebbe auspicabile che un organismo sovranazionale, come l’Onu ad esempio, imponesse con decisione la propria presenza non tanto per risolvere la drammatica situazione che segna la Libia ma almeno per ridurre il numero delle vittime”.

“Un blocco navale, in assenza di una risoluzione Onu o della richiesta del Paese interessato, è un’azione di guerra. Si fa contro un nemico. Sarebbe controproducente. Siccome in nessun caso viene meno il dovere di salvare le vite dei naufraghi, i barconi punterebbero contro le navi del blocco”. Lo afferma al Corriere della Sera, il generale Claudio Graziano, a quei tempi Capo di Stato Maggiore della Difesa. 

Impossibile pensare di attuare un blocco navale davanti alle coste libiche: una soluzione “irrealizzabile” sia da un punto di vista giuridico che tecnico-logistico, oltre che dai costi elevati, e che “riporterebbe l’Italia nella stessa situazione dei respingimenti del 2009”, per i quali il nostro Paese è stato condannato della Corte di Strasburgo. A dirlo all’Adnkronos è Fabio Caffio, ammiraglio in congedo e tra i massimi esperti di diritto internazionale marittimo, che sottolinea come, “in assenza di accordi con i Paesi costieri africani, una interdizione navale come quella proposta da Maroni comporterebbe una violazione della convenzione di Ginevra”. D’altronde, spiega Caffio, “basterebbe non avere la memoria corta e guardare al passato recente per capirlo. Nel 2009, quando proprio Maroni era ministro dell’Interno, l’Italia, grazie ai rapporti stretti con Gheddafi, firmò un accordo di cooperazione che prevedeva i respingimenti”, con i libici che, oltre a pattugliare le loro acque territoriali, “si impegnavano a riprendere indietro i barconi intercettati in quelle internazionali”. In osservanza del diritto del mare che obbliga al soccorso, “i migranti venivano fatti salire sulle navi italiane, con l’intenzione però di riportarli indietro”. In quelle circostanze, “si dovette ricorrere, in alcuni casi, a forme di coercizione perché i migranti si ribellavano al ritorno in Libia”.

Da quei frangenti, continua Caffio, “nacque il caso Hirsi Jamaa -uno dei migranti respinti nel maggio del 2009 che presentò ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo- che terminò poi con la condanna al nostro Paese, una vicenda che ha danneggiato gravemente la nostra immagine, facendoci apparire una sorta di ‘Stato canaglia’ che non rispetta i diritti umani”. Se fino al 2011 c’erano dei dubbi sull’applicabilità in alto mare, è quindi ormai chiaro che i respingimenti sono “in netto conflitto con la convenzione di Ginevra del ’51”, mentre i libici che potrebbero farlo nelle loro acque territoriali “non prendono una posizione in merito” e il mutato quadro politico, seguito alla morte di Gheddafi ha causato una sospensione di fatto degli accordi italo-libici. 

Le considerazioni di Caffio sono dell’11 giugno 2015. L’intervista di Graziano del 21 giugno dello stesso anno. Sembrano di oggi.

Poi, ci sarebbe una “quisquilia” per la sovranista Meloni: lo statuto delle Nazioni Unite. Il blocco navale è disciplinato dall’articolo 42 dello statuto delle Nazioni Unite ed è un’azione militare finalizzata a impedire l’accesso e l’uscita di navi dai porti di un Paese o di un territorio. Esso non è consentito al di fuori dei casi di legittima difesa. Inoltre “Il blocco dei porti o delle coste di uno Stato da parte delle forze armate di un altro Stato” è definito come un vero e proprio atto di aggressione, anche in assenza di dichiarazione di guerra, dall’art. 3, lettera C) della Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 3314 (XXXIX) del 14 dicembre 1974. I criteri per attuarlo sono stabiliti dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e 1977 sui conflitti armati via mare.  
1)Prima di attuare il blocco navale la forza militare che lo attua deve comunicare alle nazioni terze non belligeranti la definizione geografica della zona soggetta al blocco stesso; 2) il blocco navale deve essere imparziale nei confronti delle nazioni non belligeranti; 3) una volta attuato consente la possibilità di catturare qualsiasi imbarcazione mercantile che violi il blocco e il suo deferimento a un apposito tribunale delle prede; 4) consente, altresì, la possibilità di attaccare qualsiasi imbarcazione mercantile nemica che opponga resistenza al blocco navale; 5) l’obbligo da parte della forza militare che attua il blocco di permettere il passaggio di carichi contenenti beni di prima necessità e medicinali per la popolazione locale. Per impedire l’avanzata delle navi con a bordo i migranti, le imbarcazioni militari di vedetta devono attuare delle manovre strategiche (spesso utilizzate in tempi di guerra), una di queste è la navigazione a cerchi concentrici che restringe sempre più il raggio di navigazione della nave clandestina.

In tutto questo, cosa fa il centro-centro e il centrosinistra? Litiga, rivendica l’Agenda Draghi, si vanta di essere filoatlantico e sorvola sulle stragi di migranti che si susseguono nel Mediterraneo. Che tristezza, caro Sergio. Come siamo messi….

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