Italia-Libia, l'accordo della Vergogna compie cinque anni
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Italia-Libia, l'accordo della Vergogna compie cinque anni

Cinque anni di finanziamenti a quei criminali in divisa inquadrati nella cosiddetta Guardia costiera libica. Cinque anni di lacrime di coccodrillo, di promesse non mantenute

Italia-Libia, l'accordo della Vergogna compie cinque anni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

31 Gennaio 2022 - 17.46


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Cinque anni sono passati dalla firma di quell’”Accordo della Vergogna”. Cinque anni di stragi in mare, di migliaia di esseri umani morti annegati, morti di freddo, morti per torture. Cinque anni di finanziamenti a quei criminali in divisa inquadrati nella cosiddetta Guardia costiera libica. Cinque anni di lacrime di coccodrillo, di promesse non mantenute (leggi corridoi umanitari), di diritti umani calpestati. Cinque anni che hanno visto cambi di maggioranze, di primi ministri, di ministri dell’Interno, senza che nulla, in tema di respingimenti e di criminalizzazione delle Ong salva vite, sia cambiato. Cinque anni che hanno rimpinguato gli affari dei trafficanti di esseri umani, in combutta con insospettabili colletti bianchi. Cinque anni di tagli alla cooperazione internazionale, di sostegno a signor nessuno o signori della guerra spacciati per statisti che avrebbero stabilizzato la “nuova Libia”.  Cinque anni di narrazione farlocca venduta come verità   (l’”invasione” di migranti). Cinque anni documentati mirabilmente da Oxfam.

L’Accordo della Vergogna

 Dal 2017, oltre 80 mila migranti riportati nell’inferno dei centri di detenzione dalla cosiddetta Guardia Costiera libica,di cui oltre 1.200 minori solo l’anno scorso.  In questi cinque anni, più di 8 mila persone hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo centrale; 1.500 – di cui 43 bambini – nel 2021.

 È il triste bilancio che Oxfam denuncia a cinque anni dalla firma dell’accordo Italia-Libia sul contenimento dei flussi migratori. Un patto costato ai contribuenti italiani – solamente per le missioni militari ad esso collegate – ben 962 milioni di euro (di cui 207,4 nel 2021), ma che non è servito a fermare le morti in mare. Anzi ha impedito alle associazioni umanitarie di prestare soccorso, mettendo ancora più a rischio la vita dei migranti. 

“Il nostro Paese continua a rendersi complice, finanziando la Guardia Costiera o altre autorità libiche palesemente conniventi con i trafficanti di esseri umani. – afferma Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Dalla firma dell’accordo l’Italia haspeso la cifra record di 962 milioni euro  per bloccare i flussi migratori in Libia e finanziare le missioni navali italiane ed europee.Una buona parte di questi soldi – più di 271 milioni di euro – sono stati spesi in missioni nel paese, contribuendo a determinare le condizioni per una sempre più lucrosa industria della detenzione, fatta di tratta di esseri umani, sequestri, abusi di ogni genere.  Su 32 mila migranti riportati indietro dalla Guardia Costiera libica solo l’anno scorso, al momento si ha notizia di 12 mila persone che si trovano in 27 centri di detenzione ufficiali, mentre degli altri 20 mila si sono perse le tracce”.

In Libia si assiste a una macroscopica e perdurante violazione dei diritti umani, che come denunciato dalle Nazioni Unite, non avviene soload opera di gruppi armati o trafficanti libici e internazionali, ma con la complicità di funzionari della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (DCIM) del Ministero dell’Internolibico. Episodi di gravissime violenze e di stupri sono stati recentemente documentati nella struttura carceraria di Mitiga, così come in altri centri di detenzione ufficiali gestiti a Zawiyah, Tripoli e dintorni .

“Ci chiudevano in una stanza, spogliavano di tutto e picchiavano con un tubo di plastica”

Saif (nome di fantasia), minore non accompagnato arrivato nel nostro Paese a maggio 2021 e accolto oggi da Oxfam, dopo un viaggio dal Bangladesh durato 2 anni, racconta come in Libia sia stata la polizia di frontiera a sequestrargli il passaporto facendolo comunque entrare nel Paese.

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“A pochi giorni dall’arrivo, dopo avermi tenuto nel garage di una casa dove erano rinchiuse altre decine di migranti, mi hanno portato a Tripoli nel bagagliaio di una macchina per 37 ore con un po’ di pane e acqua”, ricorda. I trafficanti hanno poi preteso altri soldi alla famiglia per la restituzione del passaporto, mentre Saif ha dovuto lavorare in un cantiere edile. Dopo due settimane un altro gruppo armato lo ha rapito chiedendo un nuovo riscatto.

“I miei carcerieri mi costringevano a telefonare a casa e se non riuscivo a parlare con nessuno mi picchiavano”, continua. A costo di un ennesimo sacrificio, la famiglia riuscirà a pagare il riscatto e Saif potrà raggiungere l’Italia solo dopo due tentativi falliti e nuove richieste di denaro, anche da parte della polizia libica: “al mio secondo tentativo la Guardia Costiera libica ha bloccato il gommone a 14 ore dalla partenza. – racconta ancora Saif – Ci hanno portato in una prigione dove stavamo in 56 in una stanza con la luce sempre accesa. In una settimana ci hanno portato da mangiare solo 2 volte. Mi hanno rinchiuso in una stanza, rubato le poche cose di valore che avevo, preso a schiaffi e picchiato con un tubo di plastica”.

Per pagarsi la fuga verso l’Italia, costata 1.000 dollari, Saif ha lavorato per tre mesi in una fabbrica di cuscini. 

Oltre 32 milioni alla guardia costiera libica negli ultimi 5 anni, l’appello al Governo italiano per fermare questa vergogna 

“Chiediamo al Governo italiano e al Parlamento, come si possa ancora ritenere la Libia un porto sicuro per lo sbarco dei migranti. -conclude Pezzati – In totale 32,6 milioni di euro sono stati destinati alla Guardia Costiera libica dal 2017 dai Governi che si sono succeduti, di cui 10,5 milioni solo nel 2021 (con un aumento di mezzo milione). Facciamo appello perciò al Parlamento e al Governo affinché siano revocati gli stanziamenti per il 2022 diretti alla Guardia Costiera libica, che solo quest’anno ha intercettato e riportato in questo inferno il triplo dei migranti, rispetto allo scorso anno. Serve un’inversione di rotta, una gestione lungimirante dei flussi e non la mera chiusura delle frontiere delegata a paesi come la Libia o la Turchia”.

Nel frattempo, nonostante le promesse, non è stato fatto nessun progresso in materia di tutela dei diritti umani.

“Nonostante le numerose visite in Libia dei Ministri Di Maio e Lamorgese ci saremmo aspettati significativi progressi riguardo nuove e solide garanzie sul rispetto dei diritti umani dei migranti detenuti illegalmente nel Paese, ma a quanto pare nessun passo è stato fatto nemmeno dal Governo Draghi. – continua Pezzati – Sarà importante capire se il segretario del Pd Enrico Letta, ad un anno dalla sua elezione, continuerà a seguire la linea Gentiloni-Minniti o sarà capace di superarla. Bisogna tener conto di quello che succede nei paesi di origine, generare, strutturare ed ampliare vie di accesso legali nel nostro territorio, promuovere politiche di accoglienza e integrazione. In questa direzione, il coinvolgimento anche del Movimento 5 Stelle, sarebbe essenziale per offrire un’alternativa alla vergognosa gestione dei flussi migratori dalla Libia”.

 Oxfam chiede quindi un deciso cambio di rotta a partire da una serie di interventi diretti a: interrompere l’accordo Italia-Libia, subordinando qualsiasi futuro accordo alla fine della fase di transizione politica nel paese, nonché alle necessarie riforme che eliminino la detenzione arbitraria e prevedano adeguate misure di assistenza e protezione, in particolare per migranti e rifugiati; non rinnovare le missioni militari in Libia, in particolare quella diretta al supporto della cosiddetta Guardia Costiera libica, chiedendo con forza la chiusura dei centri di detenzione nel Paese nord-africano; approvare un piano di evacuazione delle persone detenute illegalmente in Libia; superare la legge Bossi-Fini ed estendere i canali di ingresso regolari per i migranti in Italia e in Unione europea; favorire l’istituzione di una missione navale europea con chiaro compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare; promuovere, in sede europea, l’approvazione di un meccanismo automatico per lo sbarco immediato e la successiva redistribuzione delle persone in arrivo sulle coste meridionali europee, sulla base del principio di condivisione delle responsabilità tra stati membri su asilo e immigrazione; riconoscere il ruolo fondamentale delle organizzazioni umanitarie nella salvaguardia della vita umana in mare e porre fine ad azioniche hanno il chiaro intento di limitare la loro iniziativa come le ispezioni (Port state control – PSC) e fermi amministrativi; ridurre al minimo i tempi di attesa per la concessione di un porto sicuro, al fine di non infliggere più estenuanti attese a persone già fortemente provate da lunghe permanenze in mare, in situazioni precarie o scampate a naufragi.

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Scenario destabilizzante

La Libia sta entrando in una nuova fase pericolosa, in cui, di fronte allo sfumare della transizione democratica, il rischio di un nuovo conflitto tra le fazioni armate si sta facendo sempre più grande.È quanto afferma unrapporto del Carnegie Middle East Center.firmato da Frederic Wehrey e Emadeddin Badi, i quali spiegano che, con il rinvio delle elezioni fissate per il 24 dicembre 2021, le milizie libiche stanno già effettuando dimostrazioni di forza. La mobilitazione che ha interessato Tripoli alla fine di dicembre è stata condotta, ad avviso dei due autori, per far leva sul Governo di Unità Nazionale (GNU) e sulle altre istituzioni sovrane del paese, ora che il voto è stato posticipato senza una data precisa.Il rinvio delle elezioni, inoltre, ha portato ad una serrata competizione tra figure politiche di spicco a capo dei gruppi armati, le quali stanno cercando di stringere alleanze personali per dividersi il potere. Ciò, sottolineano Wehrey e Badi, potrebbe prendere forma attraverso la contrattazione, ma anche, in maniera più preoccupante, attraverso dimostrazioni di forza. Tra queste figure, le più polarizzanti sono il generale Khalifa Haftar e il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, entrambi candidati presidenziali. Saif al-Islam, nello specifico, gode dell’appoggio dei simpatizzanti dell’ex regime, noti come “I verdi”. Come Haftar, il secondogenito di Gheddafi sta sfruttando la nostalgia di molti cittadini di un’autorità stabile. Un’altra figura polarizzante è il premier del GNI, Abdulhamid Dbeibah che, da quando ha assunto la carica di premier, nel febbraio 2021, ha visto crescere la propria influenza. Secondo Wehrey e Badi, è probabile che Dbeibah cerchi di rimanere al potere, scatenando dissenso e, probabilmente, violenze tra i suoi oppositori, mentre è al lavoro per trincerarsi militarmente nella capitale. Occorre ricordare che Dbeibah si è candidato alle presidenziali dopo aver promesso che non l’avrebbe fatto, e ha ottenuto il sostegno popolare attraverso una classica tattica populista di erogazione di contanti.Infine, il ministro dell’Interno dell’ex governo di Tripoli, Fathi Bashaga è un’altra figura polarizzante. Originario di Misurata, è stato lodato dagli interlocutori occidentali come “il più pragmatico” dei candidati alla presidenza. Nelle ultime settimane, ha stretto un’intesa con il Haftar.

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Le prospettive di stabilità e unità sono ulteriormente complicate dalla presenza di migliaia di combattenti e mercenari stranieri, sponsorizzati soprattutto dalla Turchia e dalla Russia che, nel corso del conflitto si sono affermati come intermediari sul campo, insieme agli Emirati Arabi Uniti e all’Egitto. Questa influenza straniera, unita a una crescente distensione tra gli ex rivali in Medio Oriente, potrebbero fungere da freno allo scoppio del conflitto nel 2022. Tuttavia, spiegano Wehrey e Badi, senza una chiara tabella di marcia che ridefinisca il modo in cui la Libia riguadagnerà la legittimità popolare, questo momentaneo riavvicinamento regionale non garantirà una stabilità a lungo termine.Nel frattempo, all’indomani del rinvio delle elezioni, i gruppi armati e i loro sostenitori politici sembrano elaborare le proprie strategie, sfruttando l’attuale limbo per impegnarsi in molteplici binari di dialogo, sia in Libia sia nelle capitali straniere. Mentre colloquiare è certamente meglio che combattere, gli autori del report avvisano che questi incontri personalizzati non dovrebbero in alcun modo essere interpretati come la creazione delle basi per un accordo istituzionale duraturo. Si tratta soltanto di tentativi per “dividere il bottino” degli incarichi nel settore della sicurezza e altri organi statali.

Dieci anni  di impunità

In Libia, l’impunità regna sovrana da 10 anni. Nel 2012 una legge ha concesso piena immunità ai membri delle milizie per le azioni commesse al fine di “proteggere la Rivoluzione del 17 febbraio”. Il sistema giudiziario libico non funziona ed è inefficace: giudici e procuratori rischiano di essere sequestrati e assassinati semplicemente per il fatto di svolgere il loro lavoro. L’accertamento delle responsabilità resta una chimera, anche per i crimini commessi durante il regime di Gheddafi. Come il massacro del 1996 nella prigione di Abu Salim. I tentativi di portare di fronte ad un Tribunale i funzionari agli ordini di Gheddafi sono stati caratterizzati da gravi violazioni dell’equità dei processi, da torture e sparizioni forzate

La Libia entrata nell’undicesimo anno post-Gheddafi, è un Paese senza pubblici poteri riconosciuti e credibili. Intanto la società civile libica, secondo diversi segnali colti da operatori umanitari, tende a percepire e valutare la situazione che si è creata in modi molto diversi: c’è chi crede di assistere ad una cospirazione internazionale – come del resto la cronaca degli avvenimenti ci conferma – che ha lo scopo di ridisegnare i perimetri di influenza nella regione. C’è poi chi invece ritiene che la “rivoluzione” di 10 anni fa, di fatto, ha raggiunto i suoi scopi. Altri ancora tendono a giudicare solo in base a quello che oggettivamente oggi si vede: un Paese allo sbando, insicuro, senza istituzioni e pubblici poteri riconosciuti solidi e credibili.

A chi ci governa non è consentito dire “non sapevamo”. Oxfam è lì a ricordarlo con puntualità, meticolosità, coraggio civile. Così come non è consentito a chi ha responsabilità istituzionali – governo, parlamento etc…sostenere che non esistono alternative alla esternalizzazione delle frontiere. Prendessero le proposte di Oxfam, e del mondo solidale che fa onore all’Italia, e le mettessero in pratica. Se ne hanno la volontà e il coraggio politico. E un briciolo di umanità. Cosa che dubitiamo. 

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