Nel mondo c'è un pessimo clima. La denuncia di Oxfam e un rapporto Onu
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Nel mondo c'è un pessimo clima. La denuncia di Oxfam e un rapporto Onu

 In poco più di 100 giorni, dalla chiusura della Cop 26 sul clima, l’1% più ricco della popolazione mondiale è stato responsabile dell’emissione in atmosfera di circa 1,7 miliardi di tonnellate di CO2

Nel mondo c'è un pessimo clima. La denuncia di Oxfam e un rapporto Onu
Manifestazione contro i cambiamenti climatici
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Febbraio 2022 - 16.49


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Che nel mondo tiri una brutta aria lo si capisce guardando alla guerra in Ucraina. Ma che il clima sia pessimo lo si capisce ancor di più da quanto denunciato da Oxfam.

Un clima pessimo

 In poco più di 100 giorni, dalla chiusura della Cop 26 sul clima, l’1% più ricco della popolazione mondiale è stato responsabile dell’emissione in atmosfera di circa 1,7 miliardi di tonnellate di CO2. Più di quanto l’intero continente africano, abitato da 1,4 miliardi di persone, ne emetta in un anno.

È l’allarme lanciato da Oxfam in occasione della pubblicazione del nuovo rapporto del Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), che valuta l’impatto globale alla crisi climatica e la capacità di adattamento delle comunità più vulnerabili.

 “Le immani sofferenze denunciate nel report dell’IPCC, devono essere un campanello d’allarme per tutti  –  afferma Nafkote Dabi, portavoce di Oxfam sui cambiamenti climatici – I più poveri del pianeta subiscono duramente le conseguenze dei cambiamenti climatici, pur non essendone responsabili. Per questo, i paesi ricchi devono farsi carico morale ed economico di sostenere l’adattamento delle comunità più vulnerabili a eventi climatici sempre ormai estremi e imprevedibili”.

 Un bilancio desolante e drammatico, che vede i più ricchi del pianeta continuare a produrre livelli altissimi di emissioni, incuranti di quanto poco manchi per raggiungere il punto di non ritorno, ossia l’aumento delle temperature globali oltre 1,5°C. 

Da qui l’appello di Oxfam perché i Governi adottino un sistema di tassazione che renda sempre più costoso e non conveniente l’uso di mezzi di trasporto di lusso estremamente inquinanti, come aerei privati e mega yacht.

 Miliardi di persone hanno bisogno di aiuti immediati per resistere alla crisi climatica

“Tragicamente le persone che vivono nei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici, non avevano bisogno del report dell’IPCC per rendersi conto di quanto stia accadendo nella loro vita.  A pagare il prezzo più alto sono per esempio i piccoli allevatori della Somalia che hanno visto morire di sete le loro greggi, le famiglie nelle Filippine che hanno perso la loro casa, spazzata via da un ciclone poco prima di Natale – aggiunge Dabi – Indipendentemente dalla rapidità con cui i governi e le aziende hanno ridotto le emissioni di carbonio, è ormai troppo tardi per concentrarsi solo sulla mitigazione della crisi climatica. Miliardi di persone hanno bisogno ora di sistemi di allerta precoce, accesso alle energie rinnovabili e una migliore produzione agricola, non dopo che avremo tenuto sotto controllo le emissioni”.

Quei miliardi mancanti

Ad oggi, solo un quarto di tutte le risorse per il clima destinate ai paesi vulnerabili riguarda l’adattamento. L’accordo raggiunto da COP26, che ne prevede il raddoppiamento a 40 miliardi di dollari entro il 2025, segna un passo in avanti, ma ancora insufficiente. L’Onu stima infatti che per l’adattamento ai paesi in via di sviluppo servano 70 miliardi l’anno.

“I paesi ricchi, in gran parte responsabili della crisi climatica, devono fare di più per sostenere le comunità più povere che lottano per soddisfare i bisogni più basilari. – conclude Dabi – Dobbiamo compiere ogni sforzo per favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici, rendendo la Terra un luogo dove sia ancora possibile intervenire. Un innalzamento incontrollato delle temperature provocherà solo l’ineluttabile:morti, case sommerse, terre sterili e migrazioni di massa.”

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L’emergenza in Africa meridionale …

L’Africa meridionale è in questo momento una delle aree del mondo più colpite e meno preparate a resistere all’impatto dei cambiamenti climatici. Nelle ultime settimane la tempesta tropicale “Ana” ha causato decine di vittime e ridotto ai minimi termini i mezzi di sussistenza di oltre 1 milione di persone in Malawi e Mozambico, distruggendo centinaia di ettari di raccolti. 

Uno scenario in cui le aree urbane – in cui si stanno trasferendo milioni di persone ridotte alla fame nelle zone rurali – sono sempre più esposte all’impatto di cicloni e inondazioni. In quartieri sempre più densamente popolati, un singolo evento può mettere completamente in ginocchio le infrastrutture essenziali, le capacità di rifornimento idrico, i servizi sanitari, la disponibilità di beni di prima necessità e cibo. Basti pensare che secondo le stime entro il 2030 metà della popolazione africana vivrà in aree urbane, mentre entro il 2050 (a fronte di un aumento del 60% degli abitanti totale del continente) saranno 1,23 miliardi gli africani a vivere nelle città.

 E l’azione di Oxfam

Un’emergenza a cui Oxfam, insieme a UN Habitat, sta rispondendo in 4 città di Malawi, Mozambico, Isole Comore e Madagascar per sostenere la capacità di resilienza di oltre 350 mila persone con interventi mirati a rafforzare il sistema delle infrastrutture come, ad esempio, la riabilitazione e il rafforzamento dei sistemi di drenaggio; la costruzione di sistemi di protezione per le sponde fluviali per prevenire esondazioni, avviata nei giorni scorsi a Zomba in Malawi. Fondamentali anche gli interventi sugli strumenti di allerta precoce, come la riabilitazione della Radio a Chockwe in Mozambico, cruciale per l’allerta in caso di calamità naturali. In Madagascar Oxfam collabora anche per la protezione delle mangrovie, essenziali per proteggere le coste da inondazioni. 

Cosa dice l’Ipcc

“L’aumento delle condizioni meteorologiche e climatiche estreme” – fra cui ondate di caldo, siccità e inondazioni – “ha avuto alcuni impatti irreversibili poiché i sistemi naturali e umani sono spinti oltre la loro capacità di adattamento”, causando “una moria di massa in specie come alberi e coralli”.

Questi eventi meteo estremi hanno “impatti a cascata sempre più difficili da gestire” e hanno “esposto milioni di persone a una grave insicurezza alimentare e idrica, soprattutto in Africa, Asia, Centro e Sud America, nelle Piccole Isole e nell’Artico”.Lo affermano gli scienziati Onu esperti in cambiamento climatico (Ipcc) nella seconda parte dedicata a “Impatti, adattamento e vulnerabilità” del Sesto rapporto di valutazione che sarà completato entro fine anno. 
 L’Ipcc fornisce ai leader politici valutazioni scientifiche periodiche sul cambiamento climatico, le sue implicazioni e rischi e propone strategie di adattamento e mitigazione.  “Per evitare una perdita crescente di vite umane, biodiversità e infrastrutture, urge un’azione ambiziosa e accelerata per adattarsi ai cambiamenti climatici, riducendo nel contempo in modo rapido e profondo le emissioni di gas serra” avvertono gli scienziati secondo cui “le città, dove vive più della metà della popolazione mondiale, sono al centro degli impatti e dei rischi dei cambiamenti climatici ma sono anche una parte cruciale della soluzione”. Ma “qualsiasi ulteriore ritardo nell’azione globale concertata con il coinvolgimento anche le comunità locali mancherà una finestra breve e che si chiude rapidamente per garantire un futuro vivibile”. Che è garantito anche dalla natura la quale ha un “potenziale non solo per ridurre i rischi climatici, ma anche per migliorare la vita delle persone”: ecosistemi “sani sono più resistenti ai cambiamenti climatici e forniscono servizi vitali come cibo e acqua pulita”

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Greenpeace all’arrembaggio

“Gli esperti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) hanno consegnato ai governi di tutto il mondo “il più completo rapporto di valutazione degli impatti climatici mai realizzato” per Greenpeace, “è un’analisi dura, ma bisogna affrontare i fatti con onestà se vogliamo trovare soluzioni all’altezza della sfida che ci attende”, dichiara Kaisa Kosonen di Greenpeace Nordic.

“Dobbiamo agire più rapidamente – aggiunge – e con più coraggio, a tutti i livelli, e non lasciare indietro nessuno. I diritti e i bisogni delle comunità più vulnerabili devono essere posti al centro dell’azione climatica. È arrivato il momento di agire e restare uniti. Questo rapporto è un avvertimento serio che si scontra con la finzione ecologica in voga in Italia. Le rinnovabili sono bloccate e si continua a puntare sul gas fossile, che oggi è la principale fonte di emissioni, o addirittura a ipotizzare di riaccendere le centrali a carbone. Una trappola ” dichiara Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia che chiede di abbandonare subito ogni investimento nei combustibili fossili e proteggere il 30% degli ecosistemi terrestri e marini entro il 2030. “Agire subito è vitale – continua – perché gli eventi climatici estremi impattano già anche il nostro territorio, come mostra la terribile siccità di questi mesi, mettendo a rischio l’agricoltura italiana”.

Antonio@Greta

“Di rapporti ne ho letti tanti – ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres – ma nessuno come questo. E’ una raccolta della sofferenza umana e un atto d’accusa schiacciante per il fallimento dei leader nell’affrontare i cambiamenti climatici. I colpevoli sono i più grandi inquinatori del mondo, che incendiano la sola casa che abbiamo”.

Totale sintonia tra il numero uno del Palazzo di Vetro e Greta Thunberg . “I fatti sono innegabili” ha commentato la giovane attivista svedese su Twitter. “Questa abdicazione alla leadership è criminale. I maggiori inquinatori del mondo sono colpevoli di dare fuoco alla nostra unica casa”.

Così le 4 grandi sorelle del petrolio e gas stanno devastando l’ecosistema.

Un vero e proprio “terrorismo ambientale”.

L’azzeramento delle emissioni globali di CO2 in atmosfera entro il 2050, fissato negli obiettivi globali ed europei, potrebbe richiedere un piano di riforestazione di almeno 1,6 miliardi di ettari, una superfice 5 volte più grande dell’India e superiore all’estensione di tutti i terreni agricoli esistenti sul Pianeta. Un piano irrealistico e pericoloso, basato su impegni difficilmente misurabili di governi e aziende: se l’approccio rimane quello attuale, l’uso intensivo della terra a scopo di compensazione da parte dei grandi inquinatori porterà all’aumento della fame e delle disuguaglianze nel mondo.  

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È l’allarme lanciato sempre da  Oxfam in un altro  rapporto pubblicato alla vigilia del vertice di Glasow sui cambiamenti climatici. . L’analisi mostra quanto urgente sia contrastare il caos climatico con un reale taglio delle emissioni, rinunciandoall’uso di vaste aree di terra, per piantare alberi in grado di compensare le emissioni di gas serra in atmosfera. Solo così si potranno salvare dalla fame le comunità di piccoli agricoltori e indigeni nei paesi più poveri, già messe in ginocchio da eventi climatici sempre più estremi e imprevedibili, che causano carestie e migrazioni forzate.   

 Ridurre le emissioni di CO2 del 45% entro il 2030, adesso siamo fermi all’1%

Siamo ancora molto lontani dal fare ciò che è necessario per raggiungere il primo obiettivo chiave: contenere l’innalzamento delle temperature globali entro 1,5°C di qui al 2030. Per centrarlo occorrerebbe l’impegno reale dei paesi che inquinano di più, ad abbatterele emissioni globali di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2010; ma i piani attualmente in essere porteranno un taglio di appena l’1% entro il 2030.

“Quella che viene definita neutralità climatica, non potrà essere raggiunta senza una vera riduzione delle emissioni, la graduale eliminazione dei combustibili fossili e decisi investimenti nella produzione di energia pulita, lungo le filiere di produzione. –  rimarcava Elisa Bacciotti, responsabile delle campagne di Oxfam Italia – Purtroppo ad oggi molti dei tanti impegni che vengono sbandierati sono solo una distrazione, rispetto a un’azione incisiva di contrasto agli impatti sempre più devastanti, anche in Europa, della crisi climatica. Ridurre i livelli di CO2 in atmosfera attraverso la riforestazione è solo una parte della soluzione, e gli attuali piani di compensazione prevedono una quantità di terra che semplicemente non abbiamo a disposizione. Continuando su questa strada si potrebbe assistere all’accaparramento di terre coltivabili da cui dipende la sussistenza di intere comunità e a violazioni dei diritti umani. L’unica strada praticabile, per non giocare col presente e futuro prossimo del pianeta e quindi di noi tutti, è il taglio immediato di miliardi di tonnellate di anidride carbonica che continuano ad essere prodotte da Paesi e aziende”.

Il rischio di un aumento esponenziale dei prezzi dei beni alimentari globali

Oxfam ha recentemente denunciato come i prezzi alimentari globali siano aumentati del 40% nell’ultimo anno (il più alto degli ultimi 10 anni), riducendo alla fame 20 milioni di persone, con un aumento di sei volte del numero di persone sull’orlo della carestia in meno di 12 mesi. Se utilizzati su larga scala, piani di compensazione delle emissioni di CO2, ad esempio attraverso la piantagione di massa di alberi, potrebbero causare un aumento dei prezzi alimentari globali dell’80% entro il 2050.

Davvero un clima pessimo. E gli inquinatori del mondo continuano ad agire indisturbati. 

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