Steve McCurry a Palazzo Pigorini: l’intimità del mondo nello sguardo di un maestro
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Steve McCurry a Palazzo Pigorini: l’intimità del mondo nello sguardo di un maestro

È raro che una città riesca a trasformare una mostra in un vero evento culturale condiviso. Parma, grazie alla collaborazione tra ARTIKA, Orion57 e il Comun

Steve McCurry a Palazzo Pigorini: l’intimità del mondo nello sguardo di un maestro
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Maria Calabretta Modifica articolo

9 Dicembre 2025 - 23.08


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È raro che una città riesca a trasformare una mostra in un vero evento culturale condiviso. Parma, grazie alla collaborazione tra ARTIKA, Orion57 e il Comune, lo fa con straordinaria naturalezza ospitando, dal 22 novembre 2025 al 12 aprile 2026, una grande esposizione dedicata a Steve McCurry, maestro indiscusso della fotografia contemporanea.

Fin dall’ingresso nel Palazzo Pigorini si percepisce che non si tratta di una semplice rassegna ma di un percorso immersivo in cui lo spazio, le fotografie e lo sguardo del visitatore si intrecciano in una narrazione viva e coinvolgente. E allora, entrare nella sede espositiva significa attraversare una soglia che è architettonica e profondamente emotiva: il palazzo, con i suoi pavimenti policromi, i soffitti decorati e l’atmosfera discreta di dimora vissuta, non funge da semplice contenitore ma diventa una sorta di camera di risonanza per le immagini del fotografo americano.

La curatrice, Biba Giacchetti, grande esperta e conoscitrice dell’opera di McCurry, coglie e amplifica questa vocazione, impostando un allestimento che è un dialogo serrato e rispettoso tra luogo e opere. Le fotografie rispettano lo spazio e lo spazio le lascia vivere: si equilibrano, si sfiorano, si amplificano a vicenda.

La scelta di rinunciare a qualunque ordine cronologico o geografico permette alle immagini di disporsi secondo affinità di atmosfera, risonanze emotive ed echi tematici che costruiscono un diario di viaggio fatto di intuizioni, incontri, sguardi, lampi di vita.

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Tra queste affinità emergono alcuni nuclei particolarmente intensi, come l’intera sezione dedicata alla Cina: dai monaci del monastero di Labrang avvolti nel vento, alle lettrici solitarie nei vicoli di Pechino, fino alle iconiche strade di Shanghai. E poi l’amata India, con i cantieri in demolizione delle navi di Alang, i mercati di Jaipur che esplodono di colori, i volti segnati del Kashmir immersi nella neve, l’Afghanistan con i suoi bazar, i bambini di Kabul, i pastori del Nuristan, lo Sri Lanka dei pescatori su palafitte.

Un viaggio che dà corpo al titolo della mostra, “Orizzonti lontani”, e che restituisce l’ampiezza geografica e umana del suo lavoro. Palazzo Pigorini diventa così la casa del mondo: muovendosi tra le sale si ha la sensazione di entrare in una sorta di abitazione segreta della memoria umana, dove la stratificazione storica del luogo dialoga con la forza documentaria e antropologica delle fotografie.

La coesistenza di bellezza e dolore, di raffinatezza estetica e potenza testimoniale è ciò che rende McCurry un autore unico, capace di conciliare la fotografia a colori con una narrazione profonda delle complessità del reale. Non stupisce che i capolavori più celebri, come il ritratto della ragazza afghana, convivano con scatti meno noti, talvolta inediti, che rivelano un McCurry più meditativo e silenzioso.

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Tra questi colpisce lo scatto straordinario del cavallo che attraversa un antico colonnato, catturato dopo giorni di attesa. Un luogo che McCurry racconta di aver fotografato a lungo perché le due colonne, la luce e le ombre dei mattoni gli ricordavano le torri gemelle. È una fotografia che esiste quasi come un soffio: se il cavallo non fosse apparso in quell’istante, quell’immagine non sarebbe mai esistita.

La sua pazienza, però, trova la sua espressione più autentica nei ritratti: “Ho imparato a essere paziente. Se aspetti abbastanza, le persone dimenticano la macchina fotografica e la loro anima comincia a librarsi verso di te”. Instancabile viaggiatore, ha fatto del movimento una filosofia di vita: “Il solo fatto di viaggiare e conoscere culture diverse mi dà gioia e una carica inesauribile”.

Accanto a questa dimensione contemplativa emerge poi la sezione dedicata alla lettura, dove trovano spazio alcuni dei suoi scatti più poetici, come le giovani donne immerse in un libro mentre il mondo attorno scorre. Queste immagini sono come piccole camere di quiete all’interno della mostra.

Vi è poi il nucleo dedicato alla sofferenza e alla testimonianza, dove ritornano scatti potentissimi come la sequenza dedicata all’11 settembre, con i simboli della dignità ferita, i vigili del fuoco coperti di polvere, detriti che sembrano galleggiare in un silenzio irreale. È una sequenza in cui la tragedia si deposita lentamente, lasciando emergere il peso morale del dopo.

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La narrazione è accompagnata da didascalie lunghe e curate e da un’audioguida attivabile tramite QR code che aggiunge una voce discreta ma precisa, capace di contestualizzare senza invadere. Si percepisce che molte delle opere appartengono a grandi progetti narrativi dell’artista, spesso confluiti in libri che hanno segnato la sua carriera e che qui ritrovano un nuovo respiro, quasi un nuovo capitolo.

Tra questi progetti compaiono anche alcune serie meno note, come gli sguardi dell’America Latina, i bambini di Cuzco, le donne che portano il mercato sulle spalle in Guatemala, e le immagini dedicate alle minoranze del Sud-est asiatico.

La mostra nel suo complesso si trasforma in un’esperienza più che in una visita: un attraversamento di volti, storie, emozioni in cui il visitatore è chiamato a sostare, a riconoscersi, a lasciarsi intercettare dall’umanità degli altri. La forza dell’esposizione sta proprio in questo: nella capacità di far vibrare insieme un palazzo storico e la potenza di uno sguardo che continua, dopo decenni, a restituirci il mondo in tutta la sua fragilità e meraviglia.

Si esce da Palazzo Pigorini con la sensazione di aver condiviso uno spazio intimo con l’umanità intera: un’occasione rara.


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