Juan vuole “tornare” ma l’Italia non lo vuole
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Juan vuole “tornare” ma l’Italia non lo vuole

“Dalle Ande alle Alpi” in un viaggio da libro "Cuore” al contrario, di un giovane argentino di origini piemontesi e che rischia di spezzarsi nella cavillosità della burocrazia. Un dramma di molti Italo-Argentini

Juan vuole “tornare” ma l’Italia non lo vuole
Juan nella sua nuova famiglia
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11 Aprile 2024 - 17.54 Culture


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di Lorenzo Lazzeri

Juan è un tranquillo giovane laureato argentino e, come tanti nel suo paese, condivide radici italiane. Il suo sogno è quello di conoscere il mondo, scoprire quali possibilità di crescita esistono al di fuori del suo Paese. Nasce da una famiglia profondamente cattolica, tanto che i suoi genitori decidono di chiamarlo Giovanni Paolo, come il Papa da poco eletto quando lui è nato.

Con saldi principi e qualche vestito nello zaino parte alla volta del Centroamerica dove, nel suo peregrinare, incontra un ragazzo “differentemente giovane”, che stava utilizzando le sue ferie per fare volontariato in ambito interculturale. Costui, un Ispettore della Polizia Italiana, diventerà per lui una figura chiave anche grazie all’alchimia speciale che nasce e si consolida tra di loro.

A distanza di qualche anno, Juan riparte, questa volta per l’Europa. Nel cuore, però, c’è l’Italia perché vuol vedere la patria dei suoi avi che vuole sentir vibrare nelle sue corde, ma rimane bloccato in Francia. I confini sono chiusi per lui come per altri, c’è la guerra contro il “Virus”. Non potendo rientrare nemmeno nel suo paese, e dovendo sopravvivere in qualche modo, Juan si lascia andare alle opportunità che gli si offrono. Sono opportunità di sfruttamento, ma ha bisogno di vivere e lavora nelle campagne, una volta per la vendemmia e l’altra per la raccolta di ortaggi, ma anche nei fangosi fondali marini per raccogliere ostriche. Finalmente, dopo più di un anno, riesce a tornare in Argentina, nel suo cuore, però, rimane l’Italia.

Lentamente, convinto dagli amici e da quel “poliziotto italiano”, in lui prende sempre più corpo l’idea del trasferimento in Italia che già immaginava quando si era trovato bloccato in Francia al tempo del Covid. Juan inizia la difficile raccolta dei documenti, viaggiando in varie parti dell’Argentina, per ricostruire e documentare la genealogia della famiglia e del suo sangue. Scopre così di essere discendente italiano diretto da entrambe le linee, maschile e femminile e, con documenti che superavano quelli necessari, si prepara a partire per l’Italia sperando di scavalcare le lunghe e impossibili file gestite da bagarini consolari argentini affidandosi alla burocrazia, quella italiana, con il supporto di quell’amico italiano.

È proprio allora che l’Ispettore italiano, in accordo con la compagna, gli apre braccia e porta di casa comprendendo le difficoltà a cui sarebbe potuto andare incontro al suo arrivo. Per Juan era già pronta una stanza tutta per lui e per tutto il tempo necessario, insieme al calore di un’amicizia senza limiti di tempo. Quanto Juan arriva è festa grande a casa dell’amico e della sua compagna, Juan sente di essere benvenuto e si accorge anche di quanto la sua nuova famiglia cerchi di adeguarsi alle sue esigenze di vegetariano.

Nei giorni seguenti Juan espleta immediatamente le pratiche necessarie per la sua regolarizzazione come italo-argentino e procede con la pratica di riconoscimento della cittadinanza per Jus Sanguinis, forte della documentazione completa che si era portata con sé, come fosse un tesoro.  Dopo i primi riscontri positivi in Comune, tutto sembra andare per il verso giusto e trascorre intere giornate a migliorare il suo italiano, imparare i piatti della cucina italiana, scoprire Alberto Sordi, Amici Mei, i film che raccontano l’Italia e divora libri dell’ampia biblioteca della casa. Termina addirittura la formazione online dei suoi colleghi in Argentina, che lo avrebbero sostituito nel suo lavoro, concludendo così la sua ultima collaborazione a un progetto per una casa protetta per donne maltrattate.

Una mattina arriva la doccia fredda e quando i suoi “nuovi familiari” tornano a casa lo trovano in stato di stress, un insieme di rabbia e sconforto, che gli fa tremare la voce e riempire gli occhi di lacrime. La brutta notizia era che l’anagrafe del Comune gli stava negando la presa in carico della pratica. La motivazione era perché la moglie del suo antenato di cui egli porta ancora il cognome, aveva il nome storpiato nelle trascrizioni documentali e trascritto nella versione spagnola, “Catterina, Catalina”. Un errore che non estendendosi all’avo non avrebbe precluso il suo diritto alla continuità di sangue.

Allora Juan si è dovuto accorgere che le tribolazioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana, che pensava di aver superato affidandosi alla burocrazia italiana e all’amico, stavano invece per iniziare. Il risultato, in fondo, era lo stesso di quelle decine di migliaia di italo-argentini che, come ogni anno, tentano di ottenere il passaporto italiano, cercando di prendere appuntamento per espletare la pratica presso i consolati d’Italia in Argentina dove i posti per gli appuntamenti vengono venduti cari da approfittatori senza scrupoli.

Il poliziotto “amico” guarda le carte e promette a Juan di andare in fondo alla vicenda perché secondo la legge basta solo la consanguineità di un discendente e, in questo caso il padre, e che allora la nazionalità della moglie sarebbe stata indifferente. Iniziano le corse nei vari uffici, Prefettura, Comune, l’amico cerca di comprendere meglio i meccanismi di legge e la giurisprudenza, parla con il Sindaco di residenza per attenzionarlo riguardo quell’anomalia. Sì, certo, sono possibili ricorsi, ma l’amico sa bene che i tempi si potrebbero allungare per mesi, se non anni, costringendo Juan ad un limbo giuridico, solo per un’interpretazione non corretta del personale dell’anagrafe.

Il caso di Juan non è l’unico, questi nostri “cugini”, spesso laureati, e che vorrebbero trasferirsi in Italia, si trovano a combattere contro la perfidia della burocrazia nel loro paese, non dissimile alla nostro, per il riconoscimento del loro diritto di sangue. Resta l’atavica assuefazione alla cavillosità delle amministrazioni statali che non lenisce il dramma di chi si vede negare scelte di vita delle quali dovrebbe avere pieno titolo.

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