La forza viva della rivoluzione: il Cile di Salvador Allende
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La forza viva della rivoluzione: il Cile di Salvador Allende

La “via cilena al socialismo” di Salvador Allende ha rappresentato un’utopia possibile, un’esperienza opposta al militarismo di stampo guevarista e alla rivoluzione castrista.

La forza viva della rivoluzione: il Cile di Salvador Allende
L'Unità racconta il golpe in Cile e l'assassinio di Salvador Allende
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7 Settembre 2023 - 17.54


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Penso all’uomo del XXI secolo come a un essere umanizzato, con un alto livello di valori, che non si lascia trascinare dalla voglia di denaro e di sfruttamento. Salvador Allende

La “via cilena al socialismo” di Salvador Allende ha rappresentato un’utopia possibile, un’esperienza opposta al militarismo di stampo guevarista e alla rivoluzione castrista. Ma negli anni di Guerra fredda un socialismo democratico non era ammissibile. 

Due volumi appena pubblicati di Andrea Mulas, L’altro settembre. Allende la via cilena al socialismo, (Bordeaux 2023 L’altro settembre. Allende e la via cilena al socialismo Mulas Andrea – Bordeaux Edizioni) e Una storia spezzata. Cile 1970-1973 (Nova Delphi 2023), fanno il punto in occasione del cinquantesimo anniversario del golpe in Cile.

di Andrea Mulas

«Sognai che la neve bruciava», intona in un giorno dell’autunno australe del 1970 il personaggio dell’omonimo romanzo di Antonio Skármeta giunto dalla provincia in una Santiago inebriata dall’ottimismo degli ultimi. Dal 4 settembre 1970, giorno della vittoria alle elezioni presidenziali del socialista Salvador Allende, i cileni vivono un’accelerazione della storia. La partecipazione attiva di donne, uomini e studenti alle manifestazioni di piazza, ai comitati popolari, ai dibattiti, agli scontri, alle riunioni, ai picchetti, la nuova canzone popolare, le speranze e i sogni sono l’ossatura sociale dell’esperienza cilena, la forza viva della rivoluzione. In quei mille giorni le cilene e i cileni sentono di avere il futuro in pugno, sono consapevoli che hanno l’opportunità di partecipare attivamente alla costruzione di una nuova società, sono pervasi da quello che lo storico Enzo Traverso ha definito, parlando dei movimenti di quella stagione, «il sentimento di partecipare a una rivolta mondiale [che] ispirò un’intera generazione in tutti i continenti» (Rivoluzione. 1798-1989: un’altra storia, Feltrinelli, Milano 2021, p. 336).

La Storia li attende. Il gobierno popular del presidente Salvador Allende apre a nuove prospettive, soprattutto per la possibilità che offre di attuare una via non autoritaria al socialismo. Il progetto della coalizione delle forze di sinistra dell’Unidad popular intende cambiare radicalmente la società cilena, ma potenzialmente può incidere sui cambiamenti di numerose società a livello mondiale. È il disegno del “socialismo democratico” e del progetto con cui si intende realizzarlo. Se la costruzione della società socialista è il culmine e il fine dichiarato di questo progetto con tutti i suoi principi basilari (giustizia sociale, nuova cultura, uomo nuovo, ecc.), le tappe del processo che conducono alla realizzazione di questa nuova società sono invece tutte da elaborare. 

Questa è la specificità della “via cilena al socialismo” perseguita dal presidente Allende, che rifiuta di inseguire teorie dogmatiche o di utilizzare esperienze suggestive come modelli. All’eccezione cubana, il compañero Presidente difende l’alternativa cilena: «non esistono esperienze anteriori che possiamo usare come modello», tanto meno nel Cile repubblicano quello della Rivoluzione cubana, fonte d’ispirazione e di sostegno dei movimenti guerriglieri che erano sorti – e in gran parte falliti o repressi – nel decennio precedente in America Latina.   

Nel corso del triennio del governo dell’Unidad Popular emerge l’originalità dell’inedita e difficile “transizione al socialismo” che termina con il tragico epilogo del golpe dell’11 settembre 1973 e l’immediata repressione messa in atto dalla Giunta militare.

Come ha scritto Josè Antonio Viera-Gallo, sottosegretario alla Giustizia del governo Allende, in quei mille giorni  si susseguirono la speranza del cambiamento che il trionfo elettorale di Allende provocò nel 1970, i piani eversivi per impedirgli di salire al potere, le trasformazioni strutturali del primo anno, le tensioni nazionali e internazionali (soprattutto con il governo di Richard Nixon), le difficoltà incontrate nell’attuazione dei profondi cambiamenti, la polarizzazione del paese e le contraddizioni all’interno dell’Unidad popular, nonché la ricerca di Allende di una soluzione politica alla crisi. 

Il Cile di Allende si muoveva nel subcontinente dilaniato da un decennio dalle diverse e talvolta contrastanti declinazioni (e storture) del “socialismo”, quel «fervore contagioso» (per dirla con le parole di Claude Julien) che aveva assunto per lo più espressione di lotta armata, oltre che piegato da drammatici indicatori economici. Il Presidente del pueblo intendeva spezzare il giogo dell’imperialismo che per decenni aveva sottomesso e dissanguato l’economia cilena e uscire dal vincolo della “dipendenza”, tipica dei cosiddetti “paesi sottosviluppati”. Ad un giornalista francese disse provocatoriamente: «Io le posso rispondere con una domanda: come è possibile coniugare la democrazia con la libertà? Esiste la libertà in un paese in via di sviluppo? Esiste la libertà per chi non ha possibilità di mangiare, di lavorare, di curarsi? Di quale tipo di libertà stiamo parlando?».

Dai discorsi, dagli interventi e dalle testimonianze di alcuni dei protagonisti dell’esperienza del gobierno popular, svetta la cifra della figura di Salvador Allende. L’azione del presidente era tutta tesa a riscattare il suo popolo, che secondo la parabola nerudiana era «stato il più tradito di quest’epoca. Dai deserti del salnitro, dalle miniere sottomarine di carbone, dalle alture terribili dove si trova il rame estratto con lavoro inumano dalle mani del mio popolo, sorse un movimento liberatore di grandiosa ampiezza». Una rivendicazione liberazionista che si innalzò energicamente nel famoso intervento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1972, nel quale Allende sembrò riprendere e rilanciare le istanze che circa vent’anni prima avevano infiammato i paesi del Terzo mondo nel corso della conferenza afro-asiatica di Bandung. 

Allende è stato un precursore dei tempi. Politico pragmatico, ma al tempo stesso un idealista che ha creduto fino alla fine di traghettare la debole “transizione al socialismo” cilena nell’alveo delle istituzioni democratiche per poter salvare il proprio popolo e il regime repubblicano cileno dai drammatici contraccolpi dell’avviluppato intreccio di dinamiche interne, ingerenze statunitensi e scenari internazionali. Tutto questo ha condotto al golpe dell’11 settembre 1973 e all’avvento di uno dei più brutali regimi autoritari latinoamericani, retto dal generale Pinochet. Quella di Allende è rimasta quindi una rivoluzione incompiuta, una storia spezzata che forse, in altre condizioni, avrebbe potuto indicare la strada per un socialismo democratico.  

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