Il camerata Dante Alighieri, Maramaldo e la genealogia della destra del ministro Sangiuliano
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Il camerata Dante Alighieri, Maramaldo e la genealogia della destra del ministro Sangiuliano

Il ministro Sangiuliano ha arruolato Dante Alighieri nelle fila della destra. E noi rilanciamo il bizzarro filone storiografico mettendo il primo piano la figura di Maramaldo, che merita gli allori dei reazionari di oggi

Il camerata Dante Alighieri, Maramaldo e la genealogia della destra del ministro Sangiuliano
Fabrizio Maramaldo uccide Francesco Ferrucci
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15 Gennaio 2023 - 18.50


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Ad esser sinceri, non si comprende la levata di scudi contro il ministro Sangiuliano riguardo la sua affermazione su Dante Alighieri quale progenitore della Destra italiana. Il novello ministro della cultura, notoriamente intellettuale dalla solida preparazione storica e culturale, individuo acuto nel dire e perspicace nel fare, ha opportunamente ricordato durante un intervento nell’imperdibile kermesse milanese di FdI, “Pronti, candidati al via”, di aver “sempre praticato la cultura”, aggiungendo testualmente: “La Destra ha cultura e ha una grandissima cultura” – cosa del resto universalmente risaputa –, e reputando che “il fondatore del pensiero di destra nel nostro paese sia Dante Alighieri”, perché “quella sua visione dell’umano, della persona, delle relazioni interpersonali, della costruzione politica, sia profondamente di destra”.

Invece di fare della sterile ironia, il nostro martoriato Paese dovrebbe rallegrarsi di avere – finalmente – una figura di così alto livello a capo d’un dicastero a lungo abusato dall’inedia e dall’ignoranza di non pochi colleghi che l’hanno preceduto nel delicato incarico.

Il Ministro non necessita di difensori d’ufficio, poiché le sue coraggiose affermazioni si commentano da sé, storicamente e filologicamente ineccepibili quali sono. Lo sono a tal punto che vien da chiedersi perché a nessuno prima di lui sia balzata evidente una tale lampante verità.

Ma questo, a rifletterci, è il dono dei geni: un’apparente semplicità che nasconde profondità immense. Poiché è ben noto che l’Alighieri fu ignobilmente cacciato da quei protocomunisti che lo combatterono e gl’imposero l’esilio dall’amatissima Firenze, altrettanto risaputo che fu proprio al principiare del XIII secolo che si vennero a determinare gli schieramenti della Destra e della Sinistra politica così come oggi li intendiamo, con i ghibellini quali “rossi” ante litteram e i guelfi quali padri fondatori di quella che sarà la luminosa, interminabile stagione della Destra nelle sue variegate e sempre fattive articolazioni, che tanto lustro e significato hanno donato alla nostra orgogliosa patria, rigogliosa nazione.

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Ma a donarci ulteriori fili di speranza su ciò che ci attende, è la constatazione che questa per più geniale sortita dell’Augusto Ministro è solo la prima di una serie di raffinate analisi d’un verso storico-politiche che il venerando uomo regalerà ad una platea non sempre all’altezza delle sue inarrivabili vette – e questo, d’accordo, si può comprendere –, in grado dunque di cogliere la finezza di simili elucubrate rivelazioni.

Giungono infatti insistenti voci che negli uffici del dicastero di via del Collegio romano egli sia fervidamente impegnato a tracciare una genealogia del partito oggi diretto con sapiente lungimiranza e ammirevole brio dalla novella presidentessa del consiglio, autentica perla che forse non meritavamo. Secondo fonti accreditate, il Sangiuliano avrebbe infatti individuato un prosecutore del luminoso sentiero destrorso tracciato da Dante nell’eroico personaggio di Fabrizio Maramaldo.

Si tratta infatti di un individuo dalla specchiata moralità e dall’agire cristallino, che il Ministro considera simbolo inarrivabile della Destra che si andava costruendo nei secoli e che avrebbe trovato in Benito Mussolini il sommo vertice morale, civile, democratico e naturalmente culturale.

Siamo facili profeti nel prevedere che anche questa sua affermazione verrà accolta con lo stolido sarcasmo e la spuntata ironia di stuoli d’ignoranti, che appunto ignorano o fingono di ignorare che soltanto una storiografia asservita alla Sinistra poteva raffigurare come un lestofante cotanto eroe, un capitano di ventura che tutto il mondo ci ha invidiato e tutt’ora ci invidia.

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Degli ideali propugnati e concretizzati della Destra egli aveva tutto, sosterrà Sangiuliano: le origini controverse che ne testimoniano l’ardire nel dire e nell’agire, il maschio osare che non cede alle lusinghe muliebri (trucidò la moglie, fuggì da Napoli e chiese protezione all’illuminato marchese Federico di Mantova, altra figura da assumere nel pantheon della Destra), l’indomito coraggio e le virtù guerriere di condottiero mai prono al vil denaro (mise il cuore e la spada al disinteressato servizio dei Gonzaga, della Repubblica di Venezia, dell’imperatore Carlo V per il cui ordine assediò Firenze, saccheggiò la Roma papista e vigliacca, mise a ferro e fuoco città, combatté imperiosamente turchi e francesi), il disinteressato amore per l’arte (nel saccheggio di Roma recuperò inestimabili opere d’arte come i preziosissimi arazzi del Papa, tessuti dieci anni prima sui cartoni di Raffaello e destinati alla Cappella Sistina, portandole fuori dalle mura cittadine col nobile intento di salvarle dalla pugna e dagli incendi), l’indomabile fermezza contro un destino infausto (dimostrata nei momenti meno assistiti dalla sorte in cui i suoi eserciti vennero ripetutamente sconfitti e sbaragliati, come dopo l’assedio di Asti e di Monopoli, noti serragli di comunisti).

Cotanta fulgida figura – rivelerà il Sangiuliano – è stata vanamente insudiciata da un manipolo di storici e pseudo-letterati parimenti venduti, che ne hanno tramandato ai posteri un nome infangato dall’omicidio del capitano fiorentino Francesco Ferrucci, inventando una vicenda che non trova riscontro alcuno, secondo cui il Maramaldo, schierato con i Medici contro l’esercito della Repubblica fiorentina durante l’assedio del capoluogo toscano, dopo la tristemente nota battaglia di Gavinana si fece condurre il Ferrucci arresosi a forze soverchianti, lo disarmò e, contravvenendo alle auree regole della cavalleria di cui egli era splendido esemplare, in uno scatto d’ira di cui solo i grandi uomini sono provvisti colpì a freddo il proprio prigioniero, facendolo poi finire dai suoi soldati con le parole: “Ammazzate lo poltrone per l’animo del trombetto qual impiccò a Volterra”, alludendo all’omicidio del suo messo che aveva inviato tempo prima dal tristo Ferrucci a proporre una resa. Il quale, prima di spiare, avrebbe – sempre secondo quegli improvvidi storici e letterati –pronunciato la celebre frase: “Vile, tu uccidi un uomo morto”, da cui l’affermarsi del verbo “maramaldeggiare” col significato di infierire sugli inermi.

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Ma di vile, in questa pretestuosa ricostruzione degli eventi, c’è soltanto il tentativo di quell’intellighenzia comunista, al pari dell’altro, altrettanto indegno aneddoto che essi hanno tramandato, secondo il quale Giulia Aldobrandini (figlia di Silvestro, giurista e politico italiano di conclamate ascendenze di sinistra, padre anche di papa Clemente VIII), alla richiesta di un ballo durante una festa di corte, avrebbe indirizzato al Maramaldo la seguente risposta: “Né io, né altra donna d’Italia che non sia del tutto svergognata, farà mai veruna cortesia all’assassino di Ferrucci”.

La storia, come il ministro Sangiuliano verrà a spiegarci, è piena di tali falsi da emendare, poiché, come ha altresì affermato nello stesso consesso della citazione al camerata Dante Alighieri, “noi dobbiamo liberare la cultura”.

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