Cinema come strumento di riflessione: parla Alessio Cremonini
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Cinema come strumento di riflessione: parla Alessio Cremonini

Alessio Cremonini, sceneggiatore e regista, ha pronto il suo ultimo film: Profeti, con Jasmine Trinca e Isabella Nefar, coprodotto da Cinema Undici e Lucky Red con Rai Cinema, in uscita il 26 gennaio del 2023

Cinema come strumento di riflessione: parla Alessio Cremonini
Alessio Cremonini
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29 Novembre 2022 - 17.03


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In un panorama cinematografico dominato da commediole di dubbia qualità, il cinema di Alessio Cremonini tenta un’altra via. Un tempo si definiva “impegno”, comunque un modo di affrontare temi forti, poco indagati, rimossi, per stimolare una riflessione, combattere luoghi comuni, cambiare percezioni scontate. È l’intento che si pone il suo nuovo film, Profeti, con Jasmine Trinca e Isabella Nefar, coprodotto da Cinema Undici e Lucky Red con Rai Cinema, in uscita il 26 gennaio del 2023. Abbiamo incontrato il regista romano.

Com’è nata l’idea di Profeti?

Profeti si svolge nel Medio Oriente, parla del rapimento di una giornalista da parte di miliziani dell’Isis. Mi è sembrato quasi inevitabile raccontare questa storia, visto che molti italiani sono stati rapiti laggiù. È un argomento complesso, dove il cinema italiano mette molto poco il naso, e poi c’è il tema della prigionia, che sento molto mio. È anche un modo per raccontare una guerra, per parlare dell’estremismo religioso, delle donne, altro tema che mi sta a cuore.

Ho parlato con un sacco di persone che sono state rapite, per fortuna tornate vive, per raccontare cose che si ignorano, magari per cambiare la percezione che si ha delle cose, soprattutto dell’Occidente verso l’Oriente. Quei colloqui sono stati importanti anche per dirigere gli attori: altrimenti che gli racconti, il riassuntino preso su Wikipedia? In Profeti avevo un’attrice eccezionale come Jasmine Trinca, non potevo dirle, ‘Vabbè, vai’. Ci sono degli attori che pretendono molto, perché danno molto, non puoi tirare via le cose. Questo anche con Isabella Nefar, pure lei andava diretta in un certo modo, anche se venendo dal Medioriente lei ha un quadro molto più chiaro della situazione”.

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Non è il primo film da te sceneggiato o girato ambientato in Medio Oriente.

È da trent’anni che guardo al Medio Oriente. Private, l’esordio di Saverio Costanzo da me co-sceneggiato con lui e Camilla, la sorella, è ambientato in Palestina; il mio primo film, Border, autoprodotto, racconta la storia di due donne durante la guerra in Siria.

Le tue pellicole si caratterizzano per tematiche forti.  Cosa ti ha spinto a girare un film sulla tragica vicenda di Stefano Cucchi?

“Sempre la questione della prigionia. In quel caso la prigionia come un’agonia chiara, evidente. E poi il bisogno di giustizia, magari cercando di aiutarla facendo un film. Cerco di fare le cose che da spettatore vorrei vedere. Mi sono detto, ‘Cavolo, vorrei vedere un film su Cucchi’. Per questo sono interessato a storie che guardano all’estero. Non possiamo chiuderci nella nostra angusta realtà.

C’è differenza, quanto a coinvolgimento emotivo che poi si traduce in una realizzazione diversa, nel girare un film tratto da una vicenda reale o da un’opera di fantasia?

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“Sì, c’è differenza, emotivamente parlando. T’impegni sempre a fare il meglio, ma è chiaro che quando racconti una storia vera, tipo quella di Cucchi, stai molto male, e forse questo si traduce anche in una differenza realizzativa. Portarti dentro la sofferenza per avere approfondito certe cose in qualche modo ti segna, e forse qualcosa passa allo spettatore.

Ci sono dei registi ai quali ti rifai, fonte d’ispirazione?

“Rifarmi no, i grandi registi italiani erano troppo geniali. Guardare sì, per esempio ho visto Lokita, dei Dardenne, un film stupendo. Un fulgido esempio di un cinema importante, asciutto, che non cede al pietismo, al melenso, alla retorica. O anche Gli orsi non esistono, di Panahi, un capolavoro assoluto. Haneke è un altro regista eccezionale. Amo il cinema che non è rassicurante, che non lascia lo spettatore rasserenato, catarticamente tranquillo. Mi pare che la nostra vita sia molto anestetizzata, su tanti temi, sono sempre meno quelli disposti a mettere le cose in discussione, che cercano di farti riflettere, che hanno il coraggio di dire: ‘Io non ti voglio rassicurare, ti voglio anzi far indignare, far riflettere, voglio proporti un tema in maniera non rassicurante, non compromissoria. Poi, certo, il cinema è anche spettacolo, divertimento, evasione, deve essere tutto, come la letteratura. Mi sembra però che la fetta di cinema che tenta una strada diversa si riduca sempre più, più che una fetta di questa torta è diventato un pasticcino”.

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Cosa ti auguri per il tuo percorso creativo nel cinema?

“Di poter continuare a fare le mie cose. Che esistano spazi per un cinema che tenti di essere un controcanto, che non sia intonato al coro. Un cinema che possa stimolare riflessioni, che ci fecondi. È il mio augurio, per tutti noi.

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