"R.R." l'ermafrodita al rogo nella Repubblica di Venezia
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"R.R." l'ermafrodita al rogo nella Repubblica di Venezia

Arriva da Mestre uno degli spettacoli più applauditi nella prima settimana del Fringe Festival di Roma

Ph_Piero_Tauro_R.R._Fringe Festival
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18 Luglio 2022 - 16.51


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di Alessia de Antoniis

La giornata di apertura del Roma Fringe Festival accoglie un applauditissimo “R.R.”, prodotto da Farmacia Zooè.

Dimmi che mi ami, dimmi che mi ami, dimmi che mi ami per i miei occhi soltanto.”

E’ “R. R.”. proveniente da Mestre, di e con Marco Duse. Drammaturgia e regia Gianmarco Busetto.

“R.R.”, liberamente tratto da “Processo a Rolandina” di Marco Salvador, racconta la storia di Rolandina Roncaglia, ermafrodita nella libera Venezia della metà del 1300. Rolandino, con la O, nasce a Roncaglia, in provincia di Padova nel 1327; a 19 anni lascia il suo paese per trasferirsi a Venezia e vivere come Rolandina, con la A. Venditrice di uova e prostituta, Rolandina attraversa il confine fra i generi maschile e femminile, compiendo un gesto che ancora oggi è oggetto di discriminazione. Perché anche nella laica e illuminata Venezia la sodomia è reato, perfino tra maschio e femmina.

“R.R.” colpisce per la potenza di Marco Duse, che arriva allo spettatore senza urlare, senza agitarsi inutilmente, alternando sapientemente frasi sussurrate a scene tragiche, creando empatia ed emozionando.

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Duse, esile, vestito con una tunica bianca, si stacca dal fondale nero. Con lui, su un tavolo, un mazzo di rose bianche. Sul fondale uno schermo che ingrandisce, raddoppiandolo, ciò che già vediamo in scena. Uno spettacolo delicato, che racconta una storia moderna accaduta nella Venezia dei Dogi. Oggi come nel medioevo.

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” dice Tancredi Falconeri a suo zio, Principe di Salina, ne “Il Gattopardo”. E ci rendiamo conto di cosa non sia cambiato dal Trecento a oggi, mentre scopriamo una delle tante vite sepolte dalla damnatio memoriae di una storia raccontata dai vincitori.

Marco Duse ci prende per mano, ci trascina per le calli di Venezia e tra gli usi e costumi di una città indurita e resa bigotta dalla peste, dove era importante assolvere i clienti di Rolandina, nobili della Serenissima, dal peccato di sodomia, con la giustificazione che essi non sapevano “del suo membro”.

La messa in scena è delicata e struggente. Le rose candide sporcate di sangue, accarezzate, violate, sbattute violentemente, accolgono su di loro le emozioni non dette, le parole taciute, i gesti non agiti, amplificati, moltiplicati, dall’uso della videocamera sul particolare.

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“R.R.” ci lascia tra le fiamme di quel rogo che brucia una donna che non tradisce il suo carnefice neanche sotto tortura, che tace portando il suo segreto con sé, come atto d’amore per quell’uomo che l’aveva, anche se per pochi attimi di clandestinità, fatta sentire accettata.

Una storia sull’ipocrisia del potere che protegge se stesso, sulla complessità dell’identità di genere, sul bigottismo imperante. Un teatro che emoziona.

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