di Alessia de Antoniis
“Euforia Carogna” è la mostra che rimarrà al Palazzo Collicola di Spoleto fino al 25 settembre. Un habitat di sculture interattive, una mostra documentaria, un percorso evolutivo, un allestimento di scena, video e fotografie: questo è altro è Euforia Carogna, progetto realizzato per il Festival dei Due Mondi, a cui Antonio Rezza e Flavia Mastrella prenderanno parte con lo spettacolo “Hybris” .
Per “Hybris”, il nuovo spettacolo prodotto da RezzaMastrella e Teatro Vascello che debutta dal 7 al 10 luglio, Flavia ha ideato gli habitat ai quali Antonio Rezza da vità.
“Propongo ad Antonio le mie creazioni – spiega Flavia – Se gli piacciono le usa, altrimenti si cambia oggetto”.
Flavia Mastrella è artista, scenografa, scultrice. Sue le “cellule vive” che Antonio abita nelle performance che creano insieme da più di trent’anni. Sua anche la mostra “Euforia Carogna”, che rimarrà al Palazzo Collicola di Spoleto fino al 25 settembre nell’ambito delle iniziative che faranno da cornice al Festival dei Due Mondi.
Per “Hybris” Flavia ha creato una porta che ha perso la stanza e il suo significato, che apre sul nulla e chiude sul nulla. Una porta che, attraversata da un corpo senza cervello, si trasforma in un portale nel vuoto.
“Oggi non ci vogliono più far usare il cervello. Per fortuna non sono tutti ottenebrati da questa pseudo civiltà cerebrale e una parte della popolazione reagisce a questo scempio. Lavoro molto con i giovani e vedo che loro pensano”. Inizia così la mia chiacchierata con l’artista che, insieme ad Antonio Rezza, è stata vincitrice del Leone d’Oro a Venezia nel 2018.
Il potere approfitta del fatto che la gente dimentica – continua Flavia – A furia di vivere per lavorare, il potere ti distrae e tu dimentichi che certe libertà che prima avevi, oggi non le hai più. Sono cresciuta con l’unisex: non c’era discriminazione, eravamo tutti uguali. Negli anni Ottanta c’era David Bowie e nessuno si stupiva.
Oggi ci illudono che stiamo lottando per ottenere la libertà, che possiamo parlare liberamente sui social, mentre il controllo è diventato ancora più capillare. Si parla tanto di identità sessuale, di genere, ma la persona è un cervello o un sesso? Che problema c’è se hai una sessualità o un altra? Anche il gender è un mercato.
Hanno alzato muri che prima non c’erano per dividerci, creando comunità chiuse ognuna delle quali lotta per i propri diritti.
La porta ha molteplici significati: è simbolo di trapasso, di iniziazione. Tu la privi del suo significato?
La porta, come molte cose in questo momento, è un elemento che ha perso il suo significato. Ma l’essere umano la usa ancora con significato vecchio. È una porta che non ha muri, che non nasconde una stanza, si regge a malapena in piedi, si sposta con fatica. Eppure l’uomo continua ad usarla come fosse una porta.
Non la privo del suo significato. Dichiaro che questi processi di trasformazione sono stati capovolti: sono i riti che sono stati resi privi di significato. Ma sono le mie sensazioni. La mia esperienza mi dice che il potere attuale vuole toglierci le nostre cerimonie, i passaggi, la crescita. Ci vuole come macchine. Il potere che ci vuole come macchina è un discorso che noi portiamo avanti da anni. Era chiaro che ci volevano privare della ritualità per omologarci. Senza ritualità l’uomo è solo.
Alla porta in scena si bussa quando si esce nello spazio comune e non quando si entra nel proprio… .
È quello che è successo in questi anni di Covid: abbiamo dovuto bussare per uscire. Avevamo bisogno del permesso per andare negli spazi comuni.
Il tuo mondo sono le immagini: crei habitat per i tuoi spettacoli con Antonio. Che rapporto ha il vostro pubblico con le tue creazioni?
Mi sono accorta che fino al Duemila, spesso il pubblico non le capiva. Poi sono arrivati i giovani e la loro comprensione era immediata. C’è un metatesto nelle immagini che arriva alle persone più giovani. Quelli di una certa età non riescono o fanno fatica. Per la mia narrazione figurativa è meglio ora: i giovani hanno più dimestichezza col linguaggio delle immagini. La porta è comunque una simbologia più comprensibile, mentre in altri lavori, tipo FrattoX, c’è un discorso più sottile, psicologico, c’è la materializzazione della luce, si gioca con il colore, la forma, l’essere antropomorfo. Quegli habitat parlano un linguaggio che i ventenni capiscono perfettamente.
Ci stiamo scontrando con la falsificazione delle immagini e delle riprese video. Non trovi strano che non possiamo fidarci neanche di ciò che vediamo?
È sconcertante. Ma alla fine devi fidarti della tua sensibilità. Ormai per capire devi essere molto informato. Non puoi fidarti di una sola immagine: devi vederne tante per capire qual è quella vera, ammesso che tu ci riesca. Questa, però, è un’esasperazione della comunicazione. Sta prendendo il sopravvento la comunicazione per immagini finalizzata alla formazione di un giudizio collettivo. Anche il lavoro che viene fatto con la guerra in Ucraina, è un lavoro di plagio. La guerra non è mai giusta. Ma i mass media che propongono foto e video in cui mostrano una guerra giusta, da una parte o dall’altra, strumentalizzano l’uso dell’immagine. A Gaza hanno bombardato i pozzi e migliaia di persone sono morte di sete e di fame. Ma non c’è interesse a pubblicizzare quella guerra. In Ucraina, invece, documentiamo tutto minuto per minuto.
Stiamo usando le immagini per uniformare il pensiero. Lo hanno fatto già i nazisti. Il potere non evolve. Sono i mezzi del potere che si sviluppano, nella fattispecie le tecnologie nella comunicazione.
Non c’è una guerra giusta e una guerra sbagliata. La guerra e morte. E la morte causata dalle bombe fa sempre schifo.
Qual è la hybris del titolo del nuovo spettacolo?
“Hybris” parla di colui che sfida la divinità. La hybris che ho messo in scena è quella del momento attuale. Stiamo sfidando la natura, quello che molti chiamano Dio. Non esiste una società più in contrasto con la natura della nostra. Abbiamo devastato la terra e continuiamo a farlo. Questa è la nostra hybris.
Quindi la nemesi, la punizione che l’uomo subisce, non è divina ma solo un effetto della sua arroganza?
Certo, per questo è stato bello chiamare lo spettacolo “Hybris”, perché sintetizza il discorso della violenza che stiamo subendo: rispecchia la situazione globale di una specie, quella umana, che schiaccia la natura. Mentre si continua a portare all’eccesso un sistema consumistico: questo significa che a nessuno interessa veramente quello che sta accadendo. E verremo puniti. L’essere umano merita l’estinzione.
Stiamo vivendo i grandi disatri predetti da alcune religioni?
La Terra fa il suo corso. Non vedo la volontà degli uomini di cambiare la situazione. Finché non sarà la natura con eventi catastrofici e metterci davanti alle nostre responsabilità, andremo avanti con questa finzione. Stiamo solo facendo finta di salvare il pianeta. Forse alla fine sarà il pianeta a salvarsi da solo, sterminando l’uomo.
La letteratura distopica non è più così fantascientifica…
È un tipo di letteratura che è stata congelata, dimenticata.
Il romanzo distopico “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood è diventato una serie Netflix. Trasformarli in sceneggiature è un modo per depotenziare il messaggio profetico contenuto in simili romanzi?
Gli americani attraverso i film fanno delle dichiarazioni di intenti. Se vedi X-Men, ogni episodio ti dava in anticipo informazioni su quello che sarebbe accaduto a livello internazionale l’anno successivo.
La Hollywood del secolo scorso ha fatto propaganda come i russi, ma l’abbiamo chiamato cinema…
Gli Stati Uniti hanno accolto grandi esperti della comunicazione che sono fuggiti durante il nazismo, come gli esponenti della Bauhaus. È un tipo di comunicazione che studio per fare i miei habitat. Uso le loro stesse tecniche per comunicare cose diverse.
Ho fatto una ricerca su Netflix: ho visto le loro produzioni per sei mesi e ho analizzato molte serie. Prima erano dichiarazioni di intenti, tendevano ad abituare la gente a un certo tipo di tragedia, come gli eco thriller che hanno anticipato il covid. Ora producono una televisione educativa. Netflix fa passare una cultura maschilista. La programmazione di Netflix è inquietante. Le loro produzioni sono finalizzate all’assorbimento passivo di un sistema educativo attraverso le immagini. Per questo finché avrò vita non mi piegherò mai a questo sistema.
RezzaMastrella è una società paritetica che rispetta le quote rosa?
La quota rosa mi disgusta. Io mi sento una persona come Antonio. Lavorano con noi uomini e donne. Non ci piace il clima solo maschile o solo femminile. È bella la varietà. Sul palco insieme ad Antonio, ci sono Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli. Il nostro è un ambiente dove ognuno porta con sé la sua unicità.