Francesco Montanari a Narni Città Teatro con "Play House" di Crimp
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Francesco Montanari a Narni Città Teatro con "Play House" di Crimp

Il debutto alla regia di Francesco Montanari chiude la prima giornata del festival di Narni emozionando il pubblico

Francesco Montanari a Narni Città Teatro - foto di Alessia de Antoniis
Francesco Montanari a Narni Città Teatro - foto di Alessia de Antoniis
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19 Giugno 2022 - 17.22


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di Alessia de Antoniis

Francesco Montanari chiude la prima giornata di Narni Città Teatro con “Play House” dell’autore inglese Martin Crimp.

Lo fa nella duplice veste di attore e di regista. “Play House” è infatti il debutto alla regia teatrale di Francesco Montanari.

Solo, in uno spazio ristretto in mezzo al pubblico che lo ha atteso per lo spettacolo di mezzanotte, Montanari varca una porta ed entra nella sala del camino del seicentesco palazzo Eroli. Ricorda, nelle fattezze, gli autoritratti di Caravaggio che presta il suo volto a Oloferne o a Golia.

Sesso, lavoro, gravidanza, genitori, rapporti con i vicini: “Play House” catapulta lo spettatore all’interno di tredici quadri della vita di un uomo e una donna. Stazioni di una sorta di via crucis all’interno della crisi di coppia della società occidentale.

“Play House”, un testo per due dove personaggi diversi si confrontano, si scontrano: Simon e Katrina. Ma in scena c’è solo lui, Francesco Montanari, ora uomo ora donna, ora marito ora moglie, ora figlio ora padre.

Rabbia, emozione, passione, energia. Sentimenti nascosti tra le pieghe della quotidianità che minano dalle fondamenta tutti quei piani che trasformano i desideri in progetti, la paura della solitudine nella certezza della vita di coppia, la sicurezza in panico. Chiudendo il cerchio laddove si era aperto: nell’illusione che la coppia sia il crogiuolo all’interno del quale i traumi e le ferite possano dar vita a una nuova linfa, trasformarsi in materia diversa. Che l’amore sia una sorta di elisir miracoloso che tutto ripara. Ignari del fatto che il lato oscuro dell’amore è l’odio.

Concitato, Francesco Montanari si emoziona. Ci emoziona. Passando repentino da uno stato d’animo all’altro, scivolando da una psiche a un’altra, da una figura all’altra. Perfettamente schizofrenico, scivola dalla sofferenza al disprezzo, dal rancore al risentimento, all’amore.

A tratti inquietante, Montanari dà corpo e voce, anima, alla scrittura incerta, umorale, minacciosa di Crimp. Con maestria teatrale, ci trascina nel suo panico, ci scuote con le sue grida, ci disarma con le sue lacrime.

Da solo, rende magistralmente quell’amore bipolare che oscilla tra la gioia della vita di coppia e le frustrazioni che derivano dal dipendere dal riconoscimento dell’altro, svuotati dallo sforzo di compiacere l’oggetto amato.

Montanari è solo anche quando dà vita a quello che per molti è il coronamento del progetto di coppia, quel figlio che, lungi dall’essere semplicemente motivo di gioia, ci getta nello sconforto. Perché non vorremmo “vivere costantemente nel terrore e nell’orrore” di vedere il fallimento di un figlio che ci ricorderebbe quotidianamente il nostro. Ma un potente Montanari ci lascia, sfinito, esausto, sudato, accasciato su quell’unica sedia, con una semplice domanda: e se invece quel figlio fosse felice?

Interessante la scelta registica di avocare a sé entrambi i ruoli, in una battaglia che è la stessa ma su un piano diverso: combattiamo con l’altro i contrasti che viviamo in noi. L’altro è solo uno specchio delle forze che ci animano. Quell’ “altro da noi” siamo noi. Se così non fosse, non sarebbe nella nostra vita.

Rassegnati alla visione di spettacoli improbabili, con un attore, una sedia e nulla più, sostenendo che quello che conta è la rappresentazione, una notte assisti a una performance dove a un bravo attore basta una sedia, una lavagna e un gessetto in mano per fare teatro. Quello che ti emoziona.

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