La giornata della memoria: Samudaripen
Top

La giornata della memoria: Samudaripen

La memoria non porta con sé alcuna speranza. La cognizione del male non è un vaccino. [Gianfranca Fois]

La giornata della memoria: Samudaripen
Preroll

redazione Modifica articolo

27 Gennaio 2014 - 10.16


ATF

di Gianfranca Fois

“La memoria non porta con sé alcuna speranza. La cognizione del male non è un vaccino. “Ricordare perché non accada più” è una fase vuota. Se anche non dovesse accadere mai più, non sarà per merito della memoria, ma del caso”.
Così scrive Elena Loewenthal scrittrice e traduttrice ebrea italiana nel suo pamphelet appena pubblicato col titolo: Contro la memoria.

E in verità si fatica a darle torto in questi tempi difficili che stiamo attraversando, la grave e lunga crisi economica, ma non solo, sta favorendo il rigurgito di movimenti razzisti e antisemiti in quasi tutti i paesi europei e perciò ci chiediamo sgomenti se ricordare abbia ancora ancora un senso.

Cercare di ragionare sulla memoria sarebbe però troppo lungo, vorrei fare solo alcune considerazioni: da quando è stata istituita la Giornata della memoria il 27 gennaio (il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa dell’Unione Sovietica liberò il lager di Auschwitz dai Tedeschi), ci si preoccupa, soprattutto nelle scuole, Università, informazione del servizio pubblico, di mostrare, riflettere, dare strumenti per cercare di capire (questo almeno è successo nei primi anni). Nello stesso tempo però sono presenti alcuni aspetti negativi, almeno in Italia: anzitutto la memoria, la condivisione del passato non riesce a coinvolgere gran parte dei cittadini, troviamo difficoltà evidentemente a comprendere che la GdM riguarda tutti noi, non solo gli Ebrei, senza eccezioni. Il nostro paese, fra l’altro, si è sottratto al dovere di fare i conti col proprio passato e con la sua complicità nella Shoah.

Inoltre al “ricordo” hanno spesso partecipato, anche con parole sdegnate, politici del governo di destra e della maggioranza che poi sia nelle parole sia nella attività politica e legislativa erano e sono razzisti nei confronti di vari gruppi: Rom, Rumeni, Albanesi, “clandestini”, Musulmani…

Voglio aggiungere che purtroppo, in questi casi, molto flebili sono state, quando ci sono state, le prese di posizione e di distanza delle forze progressiste, della Chiesa, delle stesse associazioni ebraiche che intervengono solo nei casi di antisemitismo.

Quindi se vogliamo che la memoria abbia un senso e aiuti la crescita delle coscienze dobbiamo esercitarla tutti i giorni e per tutti i gruppi che di volta in volta diventano capro espiatorio, in questo modo la GdM può diventare occasione per riflessioni più profonde.

Questo è il motivo per cui oggi voglio parlare del Samudaripen, o Porrajmos, il genocidio dei Rom durante la seconda guerra mondiale.

Per decenni la foto di una bambina che si sporgeva dalla fessura di un carro merci ferroviario alla stazione di Westerbork, è stata uno dei simboli della Shòah, insieme ad Anna Frank e al bambino con le mani alzate del ghetto di Varsavia.

Solo nel 1994 si è scoperto che la bambina era Settela Steinbach, un’olandese Sinti figlia di un commerciante e di una violista, deportata con la sua famiglia a Birkenau dove furono sterminati insieme ad altri Sinti e Rom.
I Rom, d’ora in poi per semplificare userò questo nome, che morirono nei campi di sterminio ad opera dei nazisti e dei loro alleati furono fra i 250.000 e i 500.000 sui 700.000 presenti in Europa, altri forniscono cifre differenti ma sempre alte, le imprecisioni sono dovute a scarsa documentazione e al fatto che il popolo Rom non coltiva la memoria ma l’oblio.
A questo si deve aggiungere che come tutte le vittime di traumi importanti, vedi ad esempio il caso degli ebrei sopravvissuti, anche i Rom hanno osservato il silenzio e chi ha parlato non è stato ascoltato o creduto. Inoltre bisogna sottolineare la forza della vergogna, sentimento che li accomuna ad altri gruppi di persone che hanno subito la stessa sorte nei lager nazisti, gli omosessuali, le prostitute nei bordelli dei campi.
Questa vergogna è stata da loro interiorizzata nei secoli a causa del disprezzo e delle persecuzioni cui sono stati oggetto, basti pensare al fatto che solo nella metà dell’Ottocento hanno ottenuto la liberazione dalla schiavitù in Romania, che in Inghilterra venivano deportati nelle colonie, che in Francia sin dal 1912 era stata approvata una legge che vietava loro gli spostamenti mentre in Germania erano schedati e controllati dalla polizia criminale a partire dagli inizi del secolo scorso.

Lo stigma ha quindi spesso impedito loro anche solo di immaginare di potersi esprimere come gli altri.
A partire però dal 1971 la situazione ha cominciato a cambiare grazie anche all’iniziativa di tanti intellettuali Rom, scrittori, musicisti, insegnanti, e a Londra è stata creata l’Union Roman International che ha scelto di abbandonare la strada della tradizione e lottare perché venisse riconosciuto il genocidio del popolo Rom da parte dei paesi europei, in particolare da quelli che se ne erano resi responsabili.
Sinora solo la Polonia ha ammesso le proprie responsabilità mentre la Germania ha iniziato il suo percorso e il 27 gennaio 2011 per la prima volta un Rom sopravvissuto ha potuto prendere la parola al Bundestag tedesco per testimoniare la sua esperienza e quella del suo popolo. Ben tre quarti dei Rom tedeschi sono stati sterminati perché considerati “razza ibrida e inferiore”, eppure molti di loro erano diventati sedentari, si erano integrati nella società tedesca e avevano combattuto nelle guerre della Germania.
Oggi quindi si cerca di ricostruire le fasi, i momenti di questo sterminio, attraverso foto, filmati, memorie che testimoniano la spoliazione dei beni, gli internamenti, le sterilizzazioni, gli esperimenti su cavie umane, le deportazioni e lo sterminio Ad Auschwitz ad esempio il settore del campo separato e riservato ai Rom (costretti a portare un triangolo marrone) fu sgomberato e i reclusi avviati alle camere a gas per far posto agli Ebrei ungheresi appena arrivati.

La memoria è importante, ma la memoria deve essere viva e agire sempre, deve essere testimoniata dai cittadini in ogni momento, in ogni situazione in cui si consumano soprusi e violenze, anche solo verbali, ai danni delle persone di qualsiasi etnia, religione, orientamento sessuale, lingua, opinioni politiche.

[GotoHome_Torna alla Home]

Native

Articoli correlati