Foto ricordo con tuffo e godimento
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Foto ricordo con tuffo e godimento

Prima raccoltina di osservazioni estive ma non balneari. Dai turisti che sostengono la torre di Pisa alla visoone dell'Appia Antica. [Stefano Torossi]

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Stefano Torossi Modifica articolo

5 Agosto 2012 - 18.01


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di Stefano Torossi

6 agosto 2012

La foto spiritosa. Che la media non brilli per troppa intelligenza, siamo tutti d’accordo. Vorremmo però attirare l’attenzione dei nostri lettori sull’ulteriore abbassamento di questo livello nell’essere umano non appena si trasforma in turista. E abbiamo anche trovato un marcatore preciso di questa caduta: la foto spiritosa.

Già nella normale foto ricordo si manifesta quel disumano irrigidimento di lineamenti e arti in una sincope che fulmina quasi tutti non appena si rendono conto di essere inquadrati. Ma avrete visto di sicuro anche quelli che si piazzano in primo piano con sullo sfondo la Torre di Pisa e, calcolata l’opportuna prospettiva, fingono di tenerla su con una mano, o quelli, ancora più cretini, che si piazzano dall’altra parte e la spingono come per farla cadere. Questa è la foto spiritosa.

Qualche tempo fa il destino ci ha fatto un regalo. Eravamo a Venezia, sulla riva del Canal Grande in vista di Rialto. Il solito imbecille si mette in posa come un Ercole per reggere il ponte. Allunga un piede sul gradino dell’approdo, lo poggia su quella simpatica e apparentemente innocua erbetta che copre le pietre a pelo dell’acqua, e come un missile decolla, dà una bella culata sul gra-dino e finisce in canale. Sono soddisfazioni.

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Parco degli acquedotti. Molti acquedotti romani entravano in città da sud est, dalla direzione delle colline dove c’erano le sorgenti. Alcuni sono in rovina, altri cancellati, altri ancora perfetta-mente riconoscibili. Un parco comprende l‘area in cui sono più concentrati. Fino a non molto tempo fa ogni arco era un tugurio in cui abitavano intere famiglie immigrate dal sud, sfollati della guerra, poveri, che adesso non ci sono più, naturalmente. Ma è rimasta la loro traccia: pareti con intonaci screpolati, nicchie scavate nei pilastri, nomi e frasi scritte col carbone.

Ormai la periferia ex povera si è allontanata dagli acquedotti, ma continua a esistere tutto un quartiere di casermoni popolari e casette basse, ancora pasoliniane, dietro le quali ogni tanto spunta la maestà di un arco alto dieci metri, massiccio di conci di tufo che minimizzano le costruzioni mo-derne, allineate lungo strade con nomi di antichi romani che sembrano inventati o presi da Topolino: Via Curio Dentato, Via Caio Canuleio, via Agerio Levio…

Vivere in città. E’ un fatto: l’Appia antica esercita su noi un’attrazione irresistibile tant’è vero che appena possibile ci facciamo un giro. Sempre sole, caldo, cicale e profumo di pini; andiamo ammirando i pochi ruderi rimasti e ogni tanto l’occhio si intrufola dentro cancelli che racchiudono prati smeraldini, piscine turchesi, villette rosso pompeiano. Saranno anche belle, queste famose ville sull’Appia Antica, ma quanto dev’essere scomodo abitarci: ogni giornale da comprare, ogni com-missione dimenticata sono chilometri in macchina. Senza contare i ritorni la sera. Con la fifa che qualcuno possa aspettarti nascosto dietro un pino, e non certo per farti marameo. Infatti i cancelli sono irti di telecamere, proiettori, lucchetti e attenti al cane.

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Secondo noi è decisamente meglio un bell’appartamento in centro storico, piano intermedio, con tradizionale portone sulla strada e porta di casa (magari blindata) da chiudersi alle spalle quando si rientra, senza tanti patemi.

Niente villette, non fanno al caso nostro. Ma c’è un posto dove all’adolescente che continua a non voler crescere dentro di noi piacerebbe proprio fare la sua casa, anzi il suo castello. Si trova verso il sesto miglio, e si chiama Casal Rotondo. In realtà è il nucleo, appunto rotondo, di una tomba simile a quella di Cecilia Metella, ma più grande. Scomparso il rivestimento di marmo e le sculture, rimane il blocco interno di calcestruzzo, alto sette-otto metri sulla campagna, collegato a terra da una rampa con un ponte levatoio. Sulla cima c’è una casetta, un grande pino, e un mini oliveto. Non ci siamo mai saliti, ma ci immaginiamo in questo paradiso da favola tutto nostro, lassù, alto sulla distesa di ruderi, mentre sotto draghi e orchi ci assediano, ma non riusciranno mai a raggiungerci. Infantile? Certo, e per questo magico.

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Riportiamo i piedi e gli occhi, per terra. Naturalmente intorno a Casal Rotondo, come lungo tutto il percorso, immondezza di ogni genere, e tante scatole usate di preservativi: Hatù, Durex, Hard. Non riusciamo a capacitarci di questa frenetica attività di mandrilli scatenati in continui ac-coppiamenti dietro a ogni tomba (sempre sesso sicuro, però), soprattutto adesso che qualunque ragazzo ha in casa la sua cameretta dove può ricevere chi vuole. Ci scappa una interpretazione alternativa. Non sarà che i rappresentanti di questi presidi farmaceutici vanno in giro abbandonando confezioni vuote per simulare e stimolare un maggiore consumo dell’articolo?

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