Le nozze di Théatron e Harmónia
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Le nozze di Théatron e Harmónia

Un contributo a una storia erotica della musica. [Federico Biscione]

Le nozze di Théatron e Harmónia
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Federico Biscione Modifica articolo

11 Novembre 2011 - 01.54


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Voglio raccontare la storia di un grande amore, quello fra Teatro e Musica: un amore che si snoda attraverso i secoli, pieno di momenti magici e qualche momento “no”, proprio come in tutte le relazioni amorose, e come ognuna di queste, una storia unica e indimenticabile.

Si racconta che sia cominciata in Grecia venticinque secoli fa, ma bisogna ammettere che allora si trattò soltanto di un’avvisaglia, e che non andò molto avanti, a causa forse della differenza d’età: Teatro aveva già raggiunto una sua prima antica maturità, mentre Musica era poco più di una bimbetta mocciosa (anche se già in grado, dicono i filosofi, di muovere i sentimenti).

Senz’altro tra i due ci furono schermaglie amorose durante tutto il Medioevo, ma il primo bacio ci fu soltanto verso l’anno 1600, e galeotta fu l’Italia: Teatro si era accorto che, a partire dall’epoca di Monteverdi, Musica era in grado di sottigliezze psicologiche e soggettive espressioni sino ad allora impensabili e sconosciute; essendosi accorto dell’avvenuta maturazione, le si avvicinò e la fece innamorare con una eloquenza a cui la Musica era ormai in grado, a suo modo, di echeggiare.

Ormoni e adolescenza fecero il resto, e fu un amore travolgente. Così caldo, così splendente, così carico di senso che presso tutte le corti dilagò come una manìa, e la diffusione del nuovo spettacolo (non a caso detto “Opera” per antonomasia) fu repentina e inarrestabile come un big-bang: questo, partito da Firenze, si diffuse portando la favella di Dante a dominare su ogni palcoscenico d’Europa, tanto che in tutte le nazioni tali spettacoli furono per molto tempo quasi soltanto in italiano; e tuttora in tutto il mondo una musica rapida si dice Allegro, un suono potente si dice forte, e per uno flebile si prescrive sottovoce.

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Da questa relazione nacquero molti figli e molte figlie, personaggi indimenticabili a cominciare dal mitico Citaredo, poi l’Imperatore romano, il Barbiere che misura la sua stanza (e che altrove è Factotum), per proseguire con la Sacerdotessa druidica, la Mantenuta che muore di tisi, la Guerriera del Walhalla addormentata nei decenni, lo Zar con le allucinazioni, la Sigaraia pericolosa e molti, moltissimi altri ancora, fino alla Marescialla, alla Gaia fioraia, al Siciliano geloso, all’Attendente di Lipsia che lascia orfano suo figlio su un cavallo a dondolo…

Ma è fatale: anche gli amori più grandi a un certo momento perdono il loro afflato iniziale, per quanto potente: negli ultimi decenni la relazione si deve essere fatta più occasionale, visto il drastico decremento del tasso di natalità (si possono ricordare, nel ‘900, solo pochi frutti importanti quanto le russe Melarance, le sovietiche Lady Macbeth, e i britannici Billy uccisi per invidia).

Allo stesso tempo si nota che mentre Teatro prosegue in qualche modo la sua strada ancora gloriosamente, Musica langue un poco negletta, dimenticata in una nicchia buia, e spesso tetra.

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Tornando all’inizio della nostra storia, si osserverà che essa è sbocciata finalmente solo quando la Musica ha dimostrato un sufficiente tasso di maturità, comunicatività e autonomia, e ha potuto innescare col Teatro un grande, robusto e dialettico contrappunto tra pari (guarda caso ciò avviene all’epoca in cui la musica è diventata tonale). Oggi l’attrazione di Teatro verso Musica sembra essere calata inesorabilmente, nel momento in cui ad essa è venuto a mancare quell’irresistibile (sex)appeal che le derivava da tutte le qualità che ho nominato: le produzioni musicale novecentesche, soprattutto quelle più vicine alle avanguardie (pensa un po’!) sembrano afflitte da una congenita vocazione alla senescenza, che porta con sé afasia, grigiore, assenza di slanci e monotonia, insieme a un troppo elevato tasso di eteronomia (il che la rende peraltro, in certe occasioni, molto adatta al Cinema, dove la musica, in generale, interessa più per le sue possibilità iconiche che non come linguaggio da interazione dialettica – cfr. p. es. Kubrick con Ligeti).

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Non resta dunque che sperare in una nuova giovinezza della Musica d’arte, che le consenta di elevarsi dall’ambito dei meri amori ancillari per tornare ai fasti di quelle nozze mistiche di un tempo glorioso, oggi già troppo lontano.

(Ma siamo poi proprio sicuri che per questa nuova giovinezza ci sia ancora tanto da aspettare?).

(Mi è venuto di buttare giù questo articolino a causa di un amico, che è anche un importante scienziato: ho scoperto che, pur essendo tra l’altro un acceso musicofilo, sembra apprezzare poco l’Opera, e io non riesco a capire perché. Ho poca fiducia di riuscire – del resto ognuno ha diritto alle proprie opinioni -, ma cerco lo stesso di contribuire come posso alla revisione di certi suoi giudizi, smussando i quali potrebbe scoprire altre dimensioni in cui amare tanta altra grande musica).

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