Lei aveva capito tutto. E non se l’è tenuto per sé. Quella verità, tragica, l’ha narrata in reportage dal fronte, in libri che definire coraggiosi è un eufemismo. Per capire chi è Vladimir Vladimirovic Putin c’è una cosa fa fare. Una. Leggere, o rileggere per quanti l’hanno già fatto, La Russia di Putin (Adelphi 2004, nuova edizione 2022) di Anna Politkovskaja
«Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico čekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino».
La Russia di Putin
“Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: parla di Putin senza toni ammirati.
A scanso di equivoci, spiego subito perché tale ammirazione (di stampo prettamente occidentale e quanto mai relativa in Russia, dato che è sulla nostra pelle che si sta giocando la partita) faccia qui difetto. Il motivo è semplice: diventato presidente, Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione.
Questo libro spiega inoltre come noi, che in Russia ci viviamo, non vogliamo che ciò accada. Non vogliamo più essere schiavi, anche se è quanto più aggrada all’Europa e all’America di oggi. Né vogliamo essere granelli di sabbia, polvere sui calzari altolocati – ma pur sempre calzari di tenente colonnello – di Vladimir Putin. Vogliamo essere liberi. Lo pretendiamo. Perché amiamo la libertà tanto quanto voi.
Questo libro, però, non è un’analisi della politica di Putin dal 2000 al 2004. Le analisi politiche le fanno i politologi. Io sono un essere umano tra i tanti, un volto nella folla di Mosca, della Cecenia, di San Pietroburgo o di qualunque altra città della Russia. Ragion per cui il mio è un libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia. Perché per il momento non riesco a fare un passo indietro e a sezionare quanto raccolto, come è bene che sia se si vuole analizzare un fenomeno.
Io vivo la vita, e scrivo di ciò che vedo.
Due recensioni da incorniciare
Scrive Domenico Cacopardo su Italia Oggi: “Con eccellente fiuto editoriale, Adelphi ripropone oggi «La Russia di Putin» (euro 14,00), il libro di Anna Politkovskaja dedicato ai misfatti che albergano nel suo paese. Di un’attualità sorprendente, conferisce al lettore una chiave di interpretazione di quanto sta accadendo in questi giorni in Ucraina, compresi i massacri di Bucha.
Politkovshaja è stata assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006, mentre stava rincasando: giornalista affermata, dal 1999 entrò nella redazione della Novaja Gazeta l’unico giornale indipendente russo, chiuso nel mese di marzo 2022 (il suo direttore Dmitry Muratov – premio Nobel per la pace – è stato aggredito sul treno Mosca-Samara con la vernice rossa). Sulla Novaja la giornalista pubblicò una serie di inchieste sulle guerre di Putin, fortemente critiche nei confronti dell’autocrate e altresì estremamente documentate. Ripetutamente minacciata dagli uomini del FSB – che lei ha accusato di essere lo strumento della politica liberticida dell’uomo forte della Russia -, è caduta per mano omicida: non la sola vittima di Putin e dei suoi sicari, in verità. Una delle tante. L’unica però che ci ha lasciato con i suoi lavori un ampio, approfondito e veritiero ritratto dell’uomo del Cremlino, dei suoi metodi e delle sue mire. Perciò, questa più che una recensione è un rapporto sulle dure verità con le quali dobbiamo fare conti che non volevamo che spettassero a noi.
«Domani, 7 maggio 2004, colui che è stato… una guardia del corpo, assegnato allo scaglione 25 con il compito di starsene impalato nel cordone di sicurezza quando il corteo dei vip sfrecciava oltre, proprio lui, Akakij Akakievic Putin, incederà sul tappeto rosso della sala del trono del Cremlino. Da padrone. Tra lo scintillio degli ori degli zar appena tirati a lucido, mentre la servitù sorriderà sottomessa e i suoi sodali -tutti ex pesci piccoli del Kgb assurti a ruoli di grande importanza – gonfieranno tronfi il petto… il revanscismo sovietico seguito all’ascesa e al consolidamento di Putin è lampante. A renderlo possibile, però… non sono state solo la nostra negligenza, l’apatia e la stanchezza seguite a tante -troppe – rivoluzioni. Il processo è stato accompagnato da un coro di osanna in Occidente. In primo luogo, da Silvio Berlusconi, che di Putin si è invaghito e che è il suo paladino in Europa. Ma anche da Blair, Schroeder e Chirac, senza dimenticare Bush junior oltreoceano …»
In questi giorni, però, in cui emergono i massacri compiuti dai militari russi, voglio darvi uno spaccato di vita militare raccontata da Anna Politkovskaja.
«… 18 novembre 2002. Nina Ivanovna Levurda, insegnante di lingue e letteratura russa in pensione, dopo venticinque anni di servizio nella scuola, è una donna pesante, stanca e non più giovane, con tutta una serie di malanni. Aspetta da ore, coma ha già fatto diverse volte nell’ultimo anno, nella gradevolissima sala d’attesa del tribunale intermunicipale della Krasnja Presnja, a Mosca. Non sa più che fare. È una madre senza un figlio. Peggio: è una madre che non sa la verità su suo figlio. Il tenente Pavel Levurda -anno di nascita 1975, 0 meglio numero di matricola U-729343- è morto in Cecenia quasi due anni fa, all’inizio della seconda guerra … le madri russe hanno fatto il callo a molte cose, persino alla morte dei figli -, ma le circostanze della stessa e quando ne è seguito a indurre Nina a fare il giro dei tribunali negli ultimi undici mesi… Pavel Levurda voleva fare il soldato… sognava di fare carriera nell’esercito… voleva diventare ufficiale… nel 1998… lo assegnarono al cinquantottesimo corpo d’armata. Il 58° ha una pessima fama. Per molti aspetti è il simbolo dello sfacelo delle Forze armate russe… il battaglione è famoso anche per i ‘furti’ clamorosi (di munizioni dai suoi stessi depositi) e per tradimento su larga scala (si legga: vendita ai comandanti della resistenza cecena di armi rubate all’esercito)… Nel 2000 Pavel Levurda ebbe un’altra occasione per rifiutarsi di andare a combattere nel Caucaso… come spiegò ai genitori, non se la sentì di abbandonare i propri soldati, non se la sentì di brigare, ingannare e fare il furbo per salvarsi la pelle e restò dov’era… «Sono alla periferia di Groznyj» scrive Pavel in una lettera ai genitori. L’unica sua lettera dal fronte di guerra… Il seguito è burocratese: il 19 febbraio… il tenente Levurda viene ferito gravemente e perisce… Nina Levurda, la madre, ha una domanda da porre: se Pavel è perito dov’è il suo corpo?»
Inizia così la sua odissea volta a ottenere i resti del figlio e una piena informativa sulle modalità del suo decesso.
«… Nina Levurda è un volto noto in Russia. Perché, dopo avere consegnato alla terra quei resti che con tanta fatica ha strappato allo stato, a nove giorni dai funerali si è messa in viaggio per raggiungere il Quartier generale del 15° Reggimento della divisione Taman, nei pressi di Mosca… alla divisione… nessuno volle riceverla… il ministero della difesa e la divisione… dichiararono guerra a quella madre che aveva osato indignarsi pubblicamente per la loro condotta… alla fine il giudice Bolonina… esasperata … all’ottava udienza andata deserta, condannò il ministero della difesa a una multa di ottomila rubli … dopo la multa, i rappresentanti del ministero si presentarono in tribunale …»
Il giudice revocò la multa. Mentre usciva dall’ufficio, Nina gli chiese: «Siete o non siete esseri umani? …»
Anna Politkovskaja in apertura del libro, indica il suo programma: «Io vivo la vita e scrivo di ciò che vedo.»
Vedeva un orrore che continua anche oggi a Bucha, a Kharkhiv, a Mariupol. L’orrore che non vede solo chi non vuole vedere”.
Così Cacopardo
Una voce libera e coraggiosa. E per questo da eliminare
Scrive Giada Marzocchi su Critica Letteraria: “Una voce libera e coraggiosa, quella di Anna Politkovskaja in La Russia di Putin: un racconto e un reportage che fanno di quest’opera un punto di partenza per capire non un periodo qualsiasi, ma la storia contemporanea.
Anna Politkovskaja parte dalle guerre cecene e, attraverso testimonianze e verbali dell’epoca, ci racconta gli abusi di potere e di carne che sono accaduti durante quegli anni e così scopriamo numerosi aspetti che la propaganda putiniana tende, ovviamente, a nascondere e a tacere.
Putin, intanto, martella il Paese con i suoi slogan: la rinascita dell’esercito è un dato di fatto e lui solo, Putin, ne è l’artefice perché ha rimesso in piedi un esercito umiliato (da El’ cin) e offeso […] (p. 17).
Siamo davanti a un diario dettagliato e non superficiale, che prende in esame punto per punto tutti i caposaldi governativi: dall’esercito e i suoi generali al sistema giudiziario fino ai sistemi di corruzione e illegalità. L’autrice non elemosina dettagli e testimonianze sia di chi è dalla parte del potere sia di quelli che hanno subito profondi lutti e che tutt’ora pensano a come poter vivere, o meglio, sopravvivere.
Ho letto questo libro perché è necessario capire; capire come sia stata possibile l’ammirazione che molti hanno avuto verso il leader russo e come sia stato possibile arrivare a quello che, oggi, sembra essere un punto di non ritorno. Nella Storia non sono mai mancati esempi di questo genere, purtroppo, ma quello che racconta Anna Politkovskaja non accade cento anni fa e, dunque, a maggior ragione, il nostro sgomento non può che aumentare.
Le indagini accurate della giornalista testimoniano un governo di soprusi e prevaricazioni che sono all’ordine del giorno e riesce, però, anche a smascherare la macchina della propaganda, che non solo tende a screditare gli oppositori, ma anche ad annientarli fisicamente e moralmente. La propaganda riesce anche a incrementare il consenso del popolo. È sistema sociale e governativo che intacca la vita di ogni singola persona nella sua quotidianità e nella sua socialità: non c’è libertà d’espressione, di pensiero e di stampa e, dunque, carpire la verità non è per niente un lavoro semplice.
Siamo ripiombati nelle tenebre da cui già una volta ne abbiamo cercato di venire fuori nei lunghi decenni dell’era sovietica. Abbiamo notizia di un numero di un numero sempre maggiore di casi in cui l’FSB si inventa procedimenti penali ricorrendo alla chiave ideologica che gli è più necessaria […]. Sono talmente tanti, ormai, da essere la regola, e non l’eccezione (p. 68).
Ed è per questo che il libro di Anna Politkovskaja è illuminante sotto molti aspetti: passa dalla sua passione e dal suo amore verso la Russia che non ha mai vacillato fino alla volontà di scavare nei meandri più fangosi per cercare e, soprattutto, raccontare la verità. A noi sembrerà scontato una giornalista che svolge con passione il proprio lavoro e racconta quello che ha trovato, ma in alcuni paesi questo è un atto di profondo coraggio e di eroismo che può costare la vita, come nel caso di Anna, uccisa il 7 ottobre del 2006 a Mosca. Un omicidio che attirò l’attenzione del mondo, ma che, alla fine, non sconvolse nessuno.
Perché ce l’ho tanto con Putin? Per tutto questo. Per una faciloneria che è peggio del latrocinio. Per il cinismo. Per il razzismo. Per una guerra che non ha fine. Per le bugie. Per i gas nel teatro Dubrovka. Per i cadaveri dei morti innocenti che costellano il suo primo mandato. Cadaveri che potevano non esserci. Io la penso così. Altri avranno punti di vista differenti (p. 354).
Le parole che, con tanto amore, Anna scrive, sono un grido ai posteri. Non si tratta di parole fredde e gelidi resoconti, Anna mette del suo e lo fa, non nascondendosi dietro ai verbali o alle sentenze giudiziarie; non mancano mai, infatti, le sue impressioni o le sue emozioni. Oscilla tra paura, rabbia, angoscia e tormenti per una situazione che, evidentemente, non può cambiare da sola, ma che, dall’altra parte, non può restare inerme a osservarla passivamente.
È qui il coraggiodella sua scrittura, che non si vuole elevare alla verità assoluta, quella cui credere ciecamente, ma è “solo” una testimonianza o, meglio, come la definiva lei stessa: «Un libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia» (p. 14).
E la parola chiave è “margine”, perché quello di Anna, come anche altri hanno provato a fare prima e dopo di lei, è un lavoro che resta defilato dalla società, appunto ai margini: non tutti sono preparati ad ascoltarlo e a leggerlo e non tutti sono pronti a prenderne atto. Non si risparmia lei in prima persona e non risparmia, nemmeno, le critiche verso i suoi concittadini.
È la storia di un paese che ha fatto della propaganda la sua vita e strumento principale, è la storia di una donna che ci ha rimesso la vita per raccontarlo, è la storia di un uomo che sfrutta un popolo per i suoi interessi personali ed è, infine, uno sguardo sul mondo di oggi che non può più essere ignorato. Non c’è quindi nessuna pretesa nei confronti del lettore, a cui non resta altro che tirare le proprie conclusioni”, conclude Marzocchi.
Le conclusioni tiratele voi. Nessuno dica “non sapevo”. Per raccontare la verità Anna Politkovskaja è stata assassinata. Ditelo al neo eletto presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, che fa vanto di essere amico e fan di Putin. E’ la terza carica dello Stato.