Nel Libano Hariri getta la spugna: il tracollo è alle porte.

Altissima tensione dopo che il premier incaricato ha rinunciato all'incarico dopo nove mesi di vani tentativi di trovare un accordo con il fronte capeggiato dal presidente della Repubblica Michel Aoun.

Saad Hariri
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Luglio 2021 - 17.07


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Libano, Hariri getta la spugna, Il tracollo è alle porte. E’ altissima tensione in Libano dopo che il premier incaricato Saad Hariri ha rinunciato all’incarico dopo nove mesi di vani tentativi di trovare un accordo con il fronte politico capeggiato dal presidente della Repubblica Michel Aoun. Nel Paese da due anni travolto dalla sua peggiore crisi economica dalla guerra civile (1975-90), la lira locale ha perso ulteriormente valore rispetto al dollaro statunitense, segnando un record negativo (21mila lire per un dollaro, dopo che per più di dieci anni il cambio è stato fisso a 1500 lire per dollaro) che è il simbolo del collasso di un intero sistema politico e finanziario. 

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Esplode la rabbia

Alla notizia della rinuncia all’incarico da parte di Hariri, la rabbia covata da quasi 24 mesi di graduale discesa negli inferi della povertà e dell’assenza di servizi essenziali è esplosa violenta nelle piazze e nelle strade delle roccaforti del sunnismo libanese più impoverito. Per l’Onu più della metà della popolazione vive ormai sotto il livello di povertà. Le strade sono state bloccate a Beirut, Sidone, Tripoli e nella valle della Bekaa. L’esercito, i cui militari soffrono la crisi economica come tutti gli altri libanesi, è dovuto intervenire a sud di Beirut e in altre regioni. La tensione rimane altissima. Hariri era salito ieri al palazzo presidenziale per incontrare Aoun. Per la seconda volta in due giorni, dopo che il premier incaricato aveva consegnato al capo di Stato la lista dei 24 ministri. Il colloquio è durato solo venti minuti, sufficienti per i due per prendere atto di una rottura ormai insanabile. Al centro del contendere rimane da mesi la spartizione degli incarichi ministeriali per i dicasteri strategici come gli Interni e le Finanze. Quest’ultima poltrona si potrebbe trovare a gestire una ingente quantità di finanziamenti che la comunità internazionale, tramite il Fondo monetario internazionale, potrebbe sbloccare per sostenere la via d’uscita del Libano dalla crisi. 

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Al termine dell’incontro lampo, Hariri ha commentato laconico: “che Iddio protegga il Libano”, in riferimento alla sempre più grave situazione in cui versa il Paese dove manca tutto: acqua, elettricità, benzina, medicine. E dove gli ospedali chiudono per mancanza di fondi e strumentazioni. Il Libano non ha un governo nel pieno delle sue funzioni dall’agosto scorso, quando il premier Hassan Diab si era dimesso subito dopo la devastante esplosione del porto di Beirut, nella quale sono morte più di 200 persone. Per questo crimine non è stato finora indicato nessun responsabile, nonostante l’inchiesta libanese abbia chiamato in causa otto personalità dei vertici dell’apparato politico e di sicurezza, protetti però finora dall’immunità istituzionale. Secondo la Costituzione Aoun deve ora riaprire le consultazioni per affidare l’incarico a un’altra personalità. Un passaggio formale che potrebbe durare ancora a lungo.

Bancarotta politica, dramma sociale

Alla crisi economica è legata anche quella farmaceutica. L’organizzazione degli importatori farmaceutici e dei proprietari di magazzini ha annunciato che un gran numero di farmaci essenziali è ormai terminato, chiedendo misure immediate per affrontare la crisi. Il calo delle riserve della Banca Centrale libanese in valuta estera l’ha costretta a ritardare il pagamento delle quote alla società importatrici di farmaci. Attualmente 1 dollaro è scambiato a 1.515 lire libanesi, il suo suo valore sul mercato nero ha superato le 18.000 lire.

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“Le importazioni si sono quasi completamente fermate più di un mese fa“, ha affermato l’organizzazione in una nota, spiegando che alla base della crisi ci sia il ritardo dei pagamenti di 600 milioni da parte della Banca ai fornitori.  L’organizzazione ha sottolineato che l’unica soluzione a breve termine sarebbe un accordo tra il ministero della Salute pubblica e la Banca centrale sul mantenimento dei sussidi ai farmaci in base, invitando poi la Banca centrale a destinare un importo mensile all’importazione di medicinali del Libano.

 Oltre il 60% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.  La lira libanese ha perso oltre il 91%del suo valore, ciò rende complicato accedere anche ai più comuni beni di prima necessità. L’insolvenza dello Stato ha generato anche una carenza di carburante che ha creato diversi danni a settori vitali come gli ospedali. Soltanto due delle quattro centrali elettriche del Libano sono attualmente in funzione con scarse forniture di carburante e la società  elettrica statale, E’lectricite’ du Liban, ha avvertito che potrebbe spegnerle se le riserve di gasolio dovessero esaurirsi.

Secondo quanto ha riferito la Banca Mondiale, la recessione che vive il “Paese dei Cedri” potrebbe essere la peggiore al mondo dagli anni ’50 dell’Ottocento. Il Pil è crollato dai 55 miliardi del 2018 ai 33 del 2020 causando così un aumento dell’inflazione che si teme possa essere ancora peggiore quest’anno. Una crisi finanziaria e sociale che si protrae da tempo: già nell’aprile del 2018 una conferenza di donatori internazionale aveva stabilito per il Libano un prestito di 11 miliardi di dollari in cambio di “riforme economiche” che tuttavia non sono state ancora implementate. Beirut vorrebbe avere anche un ulteriore prestito di 10 miliardi dal Fondo Monetario Internazionale, ma per ottenerlo è necessaria prima la formazione di un nuovo governo.

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La corrispondente dal Libano del Washington Post, Sarah Dadouch, ha scritto  che in un Paese dove i mezzi pubblici e le piste ciclabili sono quasi inesistenti, in assenza di benzina moltissime persone hanno semplicemente rinunciato ad andare a scuola o al lavoro: «un mio amico di recente ha finito la benzina e al posto che cercare un benzinaio ha lasciato la sua macchina al lato della strada. Non sa ancora quando potrà andare a riprenderla», scrive Dadouch. Al Jazeera rimarca che sono anche aumentati i blackout, dato che le centrali elettriche locali funzionano soprattutto a combustibili fossili: a volte la corrente elettrica salta anche per 12 ore.

La benzina non è l’unica cosa che manca in queste settimane. Reuters scrive  che a causa della penuria di materiale sanitario gli ospedali stanno rimandando gli interventi chirurgici complessi e si occupano solo delle emergenze. La campagna vaccinale contro il coronavirus è iniziata a febbraio ma sta proseguendo così a rilento che diverse persone scelgono di acquistare le dosi di vaccino sul mercato nero oppure si rivolgono ai partiti politici, che in certi casi gestiscono direttamente le somministrazioni. Secondo una fonte della France-Presse al ministero della Salute libanese  su 900mila dosi somministrate, 60mila sono state gestite da gruppi politici.

Israele in allarme

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La crisi libanese è costantemente monitorata da Israele. A darne conto è un dettagliato report su Haaretz di Amos Harel, tra i più autorevoli analisti politici israeliani: “Il ministro degli Esteri  israeliano Benny Gantz ha rilasciato una dichiarazione insolita nei giorni scorsi: a  causa della grave crisi economica del Libano ‘e degli sforzi di Hezbollah per portare investimenti iraniani in Libano’ ha inviato a Beirut un’offerta di aiuti umanitari attraverso UnifiL, la Forza Interinale delle Nazioni Unite in Libano. Un giorno prima, all’inaugurazione di un memoriale ai caduti dell’Esercito del Libano del Sud nella città settentrionale di Metula, Gantz ha detto che la vista di persone affamate nelle strade del Libano gli ha fatto male al cuore, e che Israele è disposto a lavorare con altri paesi per cercare di migliorare la situazione. Ci si aspetta che il governo libanese rifiuti il gesto di Israele, e Gantz sicuramente lo sa. Anche quando Israele ha offerto aiuti urgenti dopo l’esplosione nel porto di Beirut lo scorso agosto, il governo ha immediatamente rifiutato. A parte un comitato trilaterale (con l’Onu come terzo membro) che si occupa dei problemi di routine lungo il confine terrestre dei paesi e i colloqui recentemente ripresi per delineare il confine marittimo di Israele e Libano e il controllo delle riserve di gas in mare aperto, i libanesi hanno rifiutato qualsiasi contatto diretto. E nonostante la loro angoscia, non hanno intenzione di deviare da questa politica. Infine, anche se questa possibilità sembra attualmente remota, è consapevole che in circostanze estreme, Hezbollah potrebbe essere tentato di prendere le redini di Beirut, sfruttando la debolezza del governo provvisorio e la crescita della popolazione sciita del paese (la divisione del potere in Libano si basa su un censimento condotto nove anni fa, ma la percentuale di sciiti è cresciuta da allora, mentre quella dei cristiani è diminuita). Sullo sfondo c’è la battaglia in corso per l’influenza regionale tra l’Iran da una parte, e Israele e gli stati arabi conservatori dall’altra. Martedì, l’Iran ha ufficialmente incolpato Israele per un attacco di droni che ha danneggiato un piano di centrifuga nella città di Karaj il mese scorso. Sullo sfondo c’è la battaglia in corso per l’influenza regionale tra l’Iran da una parte, e Israele e gli Stati arabi conservatori dall’altra. Martedì, l’Iran ha ufficialmente incolpato Israele per un attacco di droni che ha danneggiato un piano di centrifuga nella città di Karaj il mese scorso. I leader politici e militari di Israele stanno monitorando da vicino i colpi di scena dei negoziati di Washington con Teheran per un ritorno americano all’accordo nucleare. Stanno anche preparando una lista delle compensazioni militari che Israele spera di ricevere dal presidente americano Joe Biden.

Israele comprende che la rimozione della maggior parte delle sanzioni imposte all’Iran dall’ex presidente Donald Trump dopo il ritiro dall’accordo tre anni fa, inietterà gradualmente miliardi di dollari nell’economia iraniana. Parte di questo denaro probabilmente troverà la sua strada verso Hezbollah. E alcuni dei profitti del petrolio iraniano potrebbero essere usati in futuro per aumentare l’influenza iraniana a Beirut.

Il collasso libanese è in corso da diversi anni, ma è stato recentemente accelerato dal coronavirus, dall’esplosione del porto e dalla paralisi politica. Negli ultimi due mesi, il capo di stato maggiore libanese Joseph Aoun ha cercato di ottenere donazioni dall’America e dalla Francia per aiutare il suo esercito a continuare a funzionare. Israele preferirebbe che il denaro per riabilitare sia il paese che il suo esercito venga dall’Occidente e dagli Stati del Golfo piuttosto che dall’Iran, dalla Russia o dalla Cina. Nonostante le sue critiche all’esercito libanese per il suo fallimento nel prevenire le infiltrazioni transfrontaliere e i suoi legami con Hezbollah, Israele preferisce averlo lì come fattore di stabilizzazione, specialmente quando l’alternativa potrebbe essere una maggiore influenza di Hezbollah.

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Le Forze di Difesa Israeliane rilevano che la situazione finanziaria dei comuni cittadini libanesi è peggiore di quella di un anno fa, quando l’esplosione del porto portò decine di migliaia di persone nelle strade a protestare. Il valore della sterlina libanese è crollato, e la gente ha difficoltà a comprare beni di prima necessità al mercato nero.

Scontri. a fuoco mentre si è in fila alle stazioni di servizio sono diventati quasi una routine. La fornitura di elettricità è interrotta per diverse ore al giorno – una situazione che ricorda ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza, e molto lontana da ciò a cui i residenti di Beirut sono abituati. Secondo tutte le valutazioni, la carenza di prodotti essenziali è destinata a peggiorare nelle prossime settimane.

Per ora, Israele sta sperimentando solo rimbalzi di questi problemi, sotto forma di incidenti occasionali lungo il confine. Lavoratori sudanesi e turchi che hanno difficoltà a guadagnarsi da vivere in Libano cercano di intrufolarsi in Israele per trovare lavoro. C’è stato anche un aumento del contrabbando di droga e di armi, sempre a causa dei problemi economici.

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Ma una possibilità che è stata discussa è che il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, potrebbe cercare di rafforzare lo status politico della sua organizzazione con il sostegno iraniano. Anche se questo non sembra attualmente molto probabile, gli eventi della primavera araba di dieci anni fa hanno dimostrato che anche paesi relativamente stabili possono crollare completamente in un tempo molto breve.

Di conseguenza, la necessità di dare aiuti al Libano per garantire la sua stabilità e prevenire una presa di potere da parte di Hezbollah viene sollevata in ogni conversazione politica o di sicurezza che i funzionari israeliani hanno con le controparti di Stati Uniti, Francia e altri paesi europei”, conclude Harel.

Il Paese dei cedri rischia di bruciare. E se così fosse, le fiamme si estenderebbero all’intero Medio Oriente. Perché l’effetto domino sarebbe devastante. Altri milioni di profughi, che si aggiungerebbero a quelli siriani. La Giordania destabilizzata, Israele che farà di tutto, con la potenza delle sue armi, per non fare di uno Stato fallito, una sorta di “Hezbolland”. Come in Siria, ora anche in Libano si allungano i tentacoli delle potenze regionali – Arabia Saudita, Iran, Turchia, Egitto – pronte a spartirsi i resti territoriali del paese per insediarvi i loro protettorati, fondati su una compattezza etno-religiosa. Uno scenario da incubo. Uno scenario possibile, immanente. 

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