Moria brucia ma l'Europa sta a guardare

Il campo di Moria, sull’isola greca di Lesbo, che ospita circa 12.600 richiedenti asilo, è stato quasi completamente distrutto dalle fiamme.

Grecia, Moria
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Settembre 2020 - 12.41


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Ora che le fiamme hanno divorato quel campo-lager, il mondo riscopre i “dannati di Moria” e versa le solite lacrime di coccodrillo e lancia i soliti appelli ad un atteggiamento umanitario che a Moria è morto da tempo. Il campo di Moria, sull’isola greca di Lesbo, che ospita circa 12.600 richiedenti asilo, è stato quasi completamente distrutto dalle fiamme. Secondo le prime informazioni, sarebbero stati numerosi gli incendi che hanno ridotto gran parte del campo in cenere. Il vicegovernatore Aris Hatzikomninos ha detto a una radio locale che è stato “completamente distrutto”. Migliaia di persone sono fuggite, riportano fonti locali, anche se il sindaco della città principale dell’isola, Mitilene, ha detto alla radio privata Skai Stratos Kytelis che “più di 12.000 migranti sono sorvegliati dalla polizia su un’autostrada“. Al momento l’hotspot sembra essere fuori controllo.

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L’’inferno brucia

Secondo i rapporti locali le fiamme sono state appiccate deliberatamente per protesta contro le misure di blocco, un’ipotesi che per il momento gli agenti dei vigili del fuoco dell’isola, intervistati da Associated Press, non hanno confermato. Nonostante abbiano detto di aver “incontrato resistenza” da parte di alcuni residenti del campo. Secondo quanto riporta l’associazione Stand by me Lesvos le fiamme sono indomabili. “Siamo soli”, si legge in un post su Twitter, “l’intero campo è in fiamme. Le persone stanno scappando. La polizia è arrivata e sta evacuando la zona”. Una situazione “molto difficile” per il sindaco di Mitilene, soprattutto perché, spiega, “alcuni di quelli che sono fuggiti includeranno persone positive”. Al momento, però, sul numero di fuggitivi risultati positivi al coronavirus non c’è chiarezza: alcuni funzionari, infatti, hanno rivelato ad Ap che i pazienti affetti da Covid-19 si trovano in un sito separato rispetto a quello incendiato, dislocati dopo che martedì erano state confermate 35 persone contagiate. Dopo che un migrante somalo era risultato positivo, erano state imposte ulteriori restrizioni, che secondo alcuni rapporti delle autorità locali sarebbero state la causa delle proteste e degli incendi. Al momento non ci sono state notizie di feriti.

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“Abbiamo visto il fuoco divampare su Moria. Tutto il campo era inghiottito dalle fiamme, c’era un esodo di persone in fuga senza alcuna direzione. Bambini spaventati e genitori sotto shock. Ora stiamo lavorando per dare loro assistenza” , racconta Marco Sansone, capo progetto di Medici senza frontiere (Msf) a Lesbo. “Le persone a Moria – aggiunge – vivono in condizioni disumane da anni. E’ essenziale gestire il loro trasferimento in sistemazioni sicure adesso”.

Stato d’emergenza

Il governo greco ha annunciato che dichiarerà lo stato di emergenza per l’isola di Lesbo, dopo l’incendio nel campo di Moria Il portavoce del governo, Stelios Petsas, ha sottolineato che è stato deciso anche di vietare a tutte le persone che vivono a Moria di lasciare l’isola per evitare una possibile diffusione del coronavirus.

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“I miei pensieri e la mia vicinanza vanno alle persone dell’isola greca di Lesbo e in particolare ai migranti e al personale che lavora nel campo di Moria”, scrive su Twitter la commissaria europea Ylva Johansson. “Ho già accettato di finanziare il trasferimento immediato e l’alloggio sulla terraferma dei restanti 400 bambini e adolescenti non accompagnati. La sicurezza e il riparo di tutte le persone a Moria sono la priorità”, ha aggiunto.

La denuncia di Oxfam

Oltre 6 mila migranti rimasti senza un riparo, è questo il primo bilancio dell’incendio che ha completamente distrutto nelle ultime ore il campo di “Moria” a Lesbo, incluse le tende allestite fuori dal campo ufficiale dove in migliaia sopravvivevano fino a ieri in condizioni disumane, privati quasi completamente di qualsiasi servizio essenziale.  ”La tragedia che si sta consumando a Lesbo è il simbolo del fallimento delle politiche adottate dall’Unione europea e dagli stati membri nella gestione della crisi migratoria negli ultimi anni. – afferma Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia– Senza ignorare le responsabilità del Governo greco, adesso serve un’immediata indagine da parte del Parlamento europeo che accerti le responsabilità delle istituzioni europee e dei suoi stati membri, che hanno portato alla pessima gestione dei campi sponsorizzati dall’UE nelle isole greche. In particolare nel campo di Moria, dove fino a ieri, dopo l’esplosione della pandemia da coronavirus, vivevano ammassati più di 12 mila uomini, donne e bambini in uno spazio concepito per meno di 3 mila persone. Un’indagine che deve riguardare adesso la gestione di tutti gli hotspot creati sulle isole greche, con l’obiettivo di prevenire il ripetersi di tragedie come questa e di garantire finalmente la tutela dei diritti umani dei migranti”. Di fronte a questa situazione, la Commissione europea ha annunciato questa mattina che l’Ue finanzierà il trasferimento immediato e la sistemazione sulla terraferma dei 400 minori non accompagnati che ancora rimangono sull’isola. “Tutto questo si poteva prevenire, la speranza è che adesso si inneschi un’immediata inversione di rotta. – aggiunge Spyros- Vlad Oikonomou del Greek Council for Refugees – L’annunciato trasferimento di tutti i minori non accompagnati di Moria nella Grecia continentale è un primo passo importante, adesso però è quanto mai urgente un immediato trasferimento di tutti i migranti intrappolati nelle isole greche negli altri Paesi europei”. Un passo che, sottolineano le due organizzazioni, potrà essere realizzato solo con una completa assunzione e condivisione di responsabilità da parte di tutti gli Stati membri dell’Unione, Italia inclusa.  
Nell’hotspot sopravvivono attualmente 12mila persone in uno spazio concepito per appena 3mila, di cui il 40% sono bambini, costretti a dormire all’aperto o ammassati in tende con appena 5- 6 ore al giorno di accesso all’acqua, e servizi igienici inadeguati soprattutto per far fronte alla diffusione del contagio. Fino a 160 persone sono costrette a condividere lo stesso bagno sporco e in 500 la stessa doccia, in media in 15 o 20 dormono nella stessa tenda e oltre 300 persone sono costrette a servirsi dello stesso rubinetto nell’assoluta mancanza di sapone.  Da campi profughi a centri di detenzione anche per bambini “Il Governo greco – denunciano inoltre le due organizzazioni –  sta progettando di trasformare tutti i campi profughi sulle isole in centri dove le persone in fuga da conflitti o persecuzioni, compresi i bambini, saranno di fatto detenute.
Ciò in base alle nuove norme in materia di asilo introdotte quest’anno, secondo cui la detenzione amministrativa dei richiedenti asilo diventa la prassi e non l’eccezione. Un approccio che assieme alle cosiddette ‘procedure accelerate’ per le richieste, rischia di fatto di cancellare l’obbligo da parte dei Paesi Ue di garantire protezione alle persone in cerca di asilo, prevenendo rimpatri verso i Paesi di origine da cui sono scappati e dove la loro vita sarebbe di nuovo a rischio.” Donne incinte e bambini detenuti nei campi Al loro arrivo negli hotspot delle isole, i migranti – molti dei quali in condizione di particolare vulnerabilità, come bambini, donne incinta, disabili – vengono di fatto posti in stato di detenzione senza accesso alle necessarie cure e tutele.
Il sistema rende poi incredibilmente difficile l’esame delle cause che spingono i richiedenti asilo a lasciare i propri paesi di origine, spesso attraversati da guerre e persecuzioni. Le testimonianze raccolte da Grc nel campo di Moria sono ancora una volta terribili. Rawan (nome di fantasia) arrivata dall’Afghanistan in Grecia da sola con due figli minorenni, vittima di violenza di genere, ha dovuto vivere sotto una tenda per 6 mesi in una zona del campo sovraffollata dove non ci sono nemmeno i bagni.  “La situazione nel campo era già spaventosa, ma con la pandemia è diventato peggio. Se il virus arriva qui – ci dicevamo – scaveranno una gigantesca fossa in cui seppellirci. Ci hanno dato due mascherine e un pezzo di sapone, di cui non sappiamo che farcene visto che non c’è acqua. Alla distribuzione dei pasti c’era talmente tanta gente che era impossibile mantenere la distanza”. Mesi e anni in cui si rimane intrappolati in condizioni disumane nei campi come Moria, con il bene placet dell’Unione europea; esposti a molestie e abusi, soprattutto se si è donne sole. Questo è l’inferno di Lesbo. Proprio durante gli ultimi mesi di lockdown dovuti all’emergenza coronavirus, si è registrato un aumento di denunce di casi di stupro e violenze.
 “Ricordo una notte in cui degli uomini hanno iniziato a minacciare un gruppo di donne, sono entrati nelle loro tende e gli hanno preso i cellulari – racconta Barlin (nome di fantasia), rifugiata somala in uno dei campi – Una donna qui deve difendersi da sola ed è pericoloso anche solo usare i bagni perché non c’è polizia, nessuno che ti protegga. Molte delle giovani ragazze sono terrorizzate e soffrono di attacchi di panico. Hanno bisogno di essere soccorse, curate, ma nel campo non ci sono medici”.
Inoltre, Oxfam e il Gcr denunciano quanto la riforma greca del sistema di asilo, approvata il 1° gennaio 2020 – e parzialmente modificata a maggio – stia esponendo migliaia di persone a sfruttamento e abusi. dell’Europa di proteggere chi fugge da guerre e persecuzioni – afferma Riccardo Sansone, responsabile dell’ufficio umanitario di Oxfam Italia – .L’Unione europea è complice di questo abuso perché ha usato per anni la Grecia come terra di sperimentazione di nuove politiche migratorie. Ci preoccupa moltissimo che il sistema di asilo greco possa diventare ispirazione per la futura riforma europea. La Grecia ha certamente il diritto di proteggere i suoi confini, ma deve anche rispettare il principio di non- respingimento. Ue e Grecia hanno operato la precisa scelta politica di mettere in pericolo le vite di persone che avrebbero invece dovuto proteggere.” La riforma impedisce di fatto a molti richiedenti asilo che non hanno supporto legale, di ricorrere in appello in caso di respingimento della propria domanda. L’appello può infatti essere presentato solo tramite avvocato e a Lesbo ce n’è uno solo. “Quando le autorità greche respingono una domanda di asilo, ciò non significa che le persone non abbiano bisogno di protezione internazionale – rimarca ancora Spyros-Vlad Oikonomou-  .
Al contrario spesso è una conseguenza della procedura accelerata di asilo applicata in questo momento alle frontiere, con termini molto brevi che non fanno che moltiplicare gli errori. Il tutto in un contesto che non consente a molti di avere né il tempo, né il modo per prepararsi al colloquio di valutazione, che gli farà rivivere gli orrori passati e da cui sono fuggiti”.  Un sistema che ha come conseguenza la detenzione immediata di coloro che hanno visto respinta la domanda di asilo e il successivo respingimento in Turchia o nel paese di origine.
“Nel cuore dell’Europa assistiamo a una vergogna non più ammissibile, che contraddice i valori fondanti dell’Unione. – conclude Sansone, –. Di fronte a questa situazione chiediamo perciò con forza al Governo greco e alla Commissione europea di rivedere immediatamente l’attuale normativa, in modo che non sia lesiva dei diritti umani, né sia in contrasto con il diritto comunitario”.  Restiamo umani. Ma a Moira l’Europa ha mostrato il suo volto peggiore, la sua disumanità.

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