Italia-Libia, il "rifinanziamento della vergogna" agli stupratori spacciati da guardie

Ma il mondo solidale non dimentica e, soprattutto, non si arrende e continua a documentare i crimini che quel finanziamento supporta.

Lager in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Luglio 2020 - 14.51


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La politica va in vacanza. Dopo aver dato il via libera, in Parlamento, al “rifinanziamento della vergogna”: quello alla cosiddetta Guardia costiera libica, un coacervo di trafficanti di esseri umani riciclati e addirittura promossi a ufficiali. Ma il mondo solidale non dimentica e, soprattutto, non si arrende e continua a documentare i crimini che quel finanziamento supporta.

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C’è chi dice No

“Non voglio portarmi sulla coscienza uno Stato, l’Italia, che finanzia la cosiddetta guardia costiera libica: persone che sistematicamente torturano e rapinano civili, che detengono illegalmente, fanno prostituire migranti dopo viaggi da inferno. E’ uno scandalo l’approvazione, il rinnovo dell’accordo da parte del nostro parlamento. Una cosa inammissibile”, dice a Repubblica la scrittrice Valeria Parrella, che lunedì sarà in piazza San Silvestro a Roma, alle ore 18, alla manifestazione “I sommersi e i salvati”(#isommersieisalvati). Con lei tra i firmatari uomini e donne di cultura, attori, come Ascanio Celestini e Fabrizio Gifuni, intellettuali e politici tra cui Luigi Manconi, Sandro Veronesi, Emma Bonino, Matteo Orfini, Riccardo Magi, Roberto Saviano e Michela Murgia. Associazioni come a Buon Diritto, Sea Watch, Medici Senza Frontiere.

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Lo scorso 16 luglio il voto alla Camera sulle missioni internazionali e il rifinanziamento della cosiddetta Guardia costiera libica hanno tristemente riaffermato la complicità del governo italiano ad un sistema di torture e violazioni dei diritti umani – denuncia Amnesty International Italia –  Con l’obiettivo di ridurre il numero di rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa, il nostro paese continua a non farsi scrupolo di condannare queste persone a morire in mare – come conferma l’aumento progressivo del tasso di mortalità nel 2018 e ancora nel 2019 – o a soffrire trattamenti inumani a terra, una volta consegnati ai centri di detenzione libici. La profonda delusione per la riconferma della collaborazione con la cosiddetta guardia costiera libica è aggravata dalla constatazione che tale decisione sia stata presa dal governo italiano nella piena consapevolezza dell’impatto di queste politiche di esternalizzazione sulle vite di migranti e rifugiati: esposti a torture, sfruttamento, violenze, abusi e altre gravi violazioni dei diritti umani, come a più riprese denunciato da Amnesty International e da altre organizzazioni, e ignorando l’evidenza, recentemente riaffermata anche dalle Nazioni Unite, che la Libia non possa essere considerata un porto sicuro. Amnesty International Italia ribadisce nuovamente l’urgenza di proteggere i diritti umani di migranti e rifugiati: ritirando il vergognoso memorandum siglato con la Libia, evacuando in un luogo sicuro le persone attualmente trattenute nei centri di detenzione e decretandone la chiusura, assicurando risorse adeguate per le operazioni di Sar nel Mediterraneo centrale e lo sbarco delle persone salvate in un porto sicuro, e attivando percorsi sicuri e legali – come ad esempio i corridoi umanitari- per raggiungere l’Europa”.

Vergogna infinita

Se c’è un giornalista che ha con coraggio e scoop a ripetizione, conosce la realtà libica e i crimini perpetrati contro i migranti, questo giornalista è Nello Scavo de l’Avvenire. Così scriveva a commento di quel via libera del Parlamento: “Poche ore prima che il Parlamento confermasse, con una sparuta dissidenza, i fondi per la cosiddetta Guardia costiera libica, a cui si chiede di catturare i migranti in mare e riportarli nei campi di prigionia a terra, l’Organizzazione mondiale delle migrazioni aveva descritto cosa vuol dire gettare degli esseri umani tra i carcerieri finanziati dall’Italia.

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“Innumerevoli vite perse, altre detenute o trattenute da trafficanti in orrori inimmaginabili”. Proprio così, “orrori inimmaginabili” li ha chiamati Federico Soda, l’italiano a capo della missione dell’Oim a Tripoli: “L’Ue deve agire per porre fine ai ritorni del limbo migratorio della Libia”.

Tutto inutile.

“Gli autori degli ‘orrori indicibili’, già denunciati dal segretario generale Onu e ribaditi dalla Corte penale dell’Aja, non dovranno spegnere la macchina istituzionale della tortura. Da governi diversi, il voto ha riunito tutti i protagonisti di questi anni, da destra a sinistra, riuscendo nel ‘miracolo libico’ di creare una maggioranza trasversale nelle stesse ore in cui 65 esseri umani rischiano di perdere la vita mentre nessuno interviene: né le motovedette di Tripoli, né Malta e meno che mai l’Italia, ormai autorelegata all’interno delle acque territoriali…”.

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Così è.

Torturatori, stupratori, assassini cambiano casacca e indossano la divisa. Partono con le loro imbarcazioni, che noi finanziamo, e riportano i migranti nei lager, dove tutto ricomincia da capo. Non è un mistero che i boss del traffico di esseri umani e i comandanti della Guardia costiera che dovrebbero stroncarlo siano spesso le stesse persone. Questa ricostruzione è confermata da oltre duemila testimonianze di migranti che sono agli atti di numerose inchieste giudiziarie, anche italiane, come quelle delle Procure di Trapani e di Catania. 

“Ribadiamo che il sistema di detenzione arbitraria in Libia deve essere smantellato”: a scriverlo è L’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sul proprio account Twitter, commentando le notizi secondo le quali centinaia di migranti sarebbero stato intercettati nel Mediterraneo e riportati in Libia, dove le condizioni di detenzione restano infernali. Era la fine di giugno.

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In sette giorni, dal 23 al 29 giugno, sono stati 618 i migranti “intercettati in mare e riportati in Libia”. L’Oim aggiunge che la cifra fa salire a 5.475 il numero di migranti riportati in Libia quest’anno, per la maggior parte uomini (4.826), ma anche donne (402) e minori (247) di cui 74 sono bambine. Ad arrivare in Italia sono stati in 260. In questi primi sei mesi dell’anno gli annegamenti avvenuti sulla “rotta mediterranea centrale”, quella che dalla Libia porta all’Italia, sono stati 98 e 149 le persone disperse, ha registrato ancora l’agenzia delle Nazioni Unite.

“Gli africani sono nel terrore” dice a Fides Mussie Zerai, sacerdote dell’eparchia di Asmara, sempre attento ai temi dell’immigrazione. “Non hanno alcuna certezza. Chi vive in uno dei 22 campi profughi gestiti dal governo di Tripoli non sa più a chi fare riferimento: i comandanti sono spesso collusi con i trafficanti, i politici sono assenti, i militari sono violenti”. Nei centri della Tripolitania i detenuti sono circa cinquemila. Sono eritrei, etiopi, somali, sudanesi. Altri campi sono presenti in Cirenaica. Molti sono anche i centri illegali gestiti direttamente dalle milizie. Sono pieni di gente che fugge dalla miseria e cerca un futuro migliore in Europa.

L’”angelo dei migranti”

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La comunicazione con le persone detenute è difficilissima. “Alcune di esse hanno i telefoni – continua abba Mussie, che per il suo impegno costante verso i più indifesi tra gli indifesi è stato definito l’”angelo dei migranti” – ma non possono chiamare né parlare. Il rischio è che i cellulari vengano loro distrutti o sequestrati dai carcerieri. Quindi non sappiamo neppure in quali condizioni igienico-sanitarie vivano”.
In condizioni normali nei campi mancava l’assistenza medica ed erano diffuse malattie polmonari e della pelle. A ciò, nelle ultime settimane, si è aggiunto il coronavirus. Ufficialmente sono stati registrati 152 casi e 5 decessi, ma i combattimenti rendono impossibile un censimento più preciso dell’epidemia. “Nei centri – osserva abba Mussie – le persone sono assiepate una sull’altra. Non si possono tenere le distanze. Né sono stati distribuiti presidi medici. Temiamo che il virus possa diffondersi velocemente e fare numerose vittime”.

“In Libia – denuncia Oxfam in un recente report- al momento si trovano oltre 620 mila migranti e rifugiati, in buona parte vittime di rapimenti, detenzioni arbitrarie, stupri e lavori forzati ad opera di bande armate e fazioni in lotta. Si registrano già oltre 1.400 contagi da coronavirus, ma potrebbero essere molti di più. Da tre anni denunciamo, insieme ad altre organizzazioni umanitarie, gli orrori dei lager libici che avvengono con la connivenza e il finanziamento italiano. Eppure il governo continua ad aumentare le risorse a favore delle autorità libiche e della Guardia costiera che da molte inchieste risulta direttamente collegata al traffico di esseri umani. Una vergogna che si ripete. Migliaia di disperati sono sottoposti a condizioni igieniche disumane nei centri di detenzione, ammassati uno sull’altro e dunque esposti al contagio da Covid-19. L’Italia dovrebbe lavorare a livello europeo per ripristinare le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, non lasciandole alla sola gestione delle organizzazioni umanitarie che si battono ogni giorno per salvare vite in mare. Allo stesso tempo serve un immediato Piano di evacuazione dai centri di detenzione, come lo stesso ex ministro dell’interno Marco Minniti, tra gli ideatori dello sciagurato accordo Italia-Libia, ha tra l’altro più volte proposto”..

Fuga senza fine

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Sono due le barche in difficoltà in mare, in tutto 180 persone in fuga dalla Libia. Lo ha reso noto l’ong Alarm Phone, sollecitando un intervento di soccorso. Le due barche sono state avvistate dal velivolo Moonbird dell’ong Sea-Watch e “il mercantile Cosmo è nelle vicinanze”, ha scritto su Twitter Alarm Phone, aggiungendo: “Il mercantile Cosmo è in standby e temiamo l’intervento della cosiddetta guardia costiera libica, e il respingimento illegale verso la Libia in guerra. Le persone vanno soccorse subito e fatte sbarcare nel porto sicuro più vicino in Europa. La Libia non è un porto sicuro!” Il call center per i migranti in difficoltà nel Mediterraneo, Alarm Phone, in primo momento ha ricevuto una richiesta di soccorso da un barcone, con più di 110 persone a bordo. Sono partiti dalla Libia un gommone, e ora sono in pericolo di vita nelle acque Sar (Ricerca e soccorso) di Malta.: L’organizzazione ha comunicato la notizia sul suo profilo Twitter: “La situazione è critica, il gommone sta imbarcando acqua e una delle camere d’aria si sta sgonfiando”. Dalle immagini riprese dal velivolo Moonbird dell’ong Sea Watch si vede gente nel panico, e Alarm Phone ha riferito di aver già ricevuto richieste d’aiuto dalle persone a bordo ma anche dai loro parenti a terra. I responsabili aggiungono: “Abbiamo avvertito le autorità e invocato un’operazione di soccorso immediata” sia alla Guardia costiera italiana che a quella maltese.

A quella libica, no. Perché non si può chiedere aiuto ai “carnefici del mare”.

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