L'italiano detenuto ad Abu Dhabi lancia un disperato appello: "Umiliato e torturato, sto morendo"

Massimo Sacco, l'italiano in carcere ad Abu Dhabi, racconta delle botte, dei soprusi e delle angherie che sta vivendo durante la sua ingiusta detenzione.

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22 Gennaio 2019 - 09.09


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Massimo Sacco, l’italiano affetto da microcitemia in prigione ad Abu Dhabi dal marzo 2018 in attesa di giudizio, ha lanciato un appello disperato: “Io sto morendo. Chiama in radio. Cerca di smuovere qualcosa – dice, chiedendo alla compagna Monia Moscatelli di farsi portavoce del suo appello – Mi hanno portato in ospedale, sei la luce mia, ascoltami bene, gira questo messaggio all’avvocato, mi hanno preso a botte fino ad ora per fare questa telefonata”.
La donna ha contattato Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, conduttori del format ‘I Lunatici’ su Rai Radio2 per parlare di questo caso e gli ha consegnato la registrazione della drammatica telefonata che Sacco ha fatto dalla prigione.
“Il mio stato di salute è giunto ormai al collasso, sono stato sottoposto a un esame del sangue che dimostra la presenza di una devastante microcitemia – afferma – Il direttore del carcere gioca da tre mesi con la mia vita, sono stato sottoposto ad una ecografia alla milza che sta assumendo delle dimensioni spropositate. Rischio che a breve la mia malattia si trasformi in una leucemia. La situazione è diventata drammatica e solo adesso stanno cercando di metterci una toppa. Vorrebbero curarmi dandomi del ferro, ma questo equivarrebbe a condannarmi a morte. I dottori degli Emirati Arabi non sanno neanche cosa sia la microcitemia, che pur essendo una grave forma di anemia non va in nessun modo curata con il ferro. Non ho più parole”.
Sacco afferma di “aver rifiutato di prendere farmaci che mi avrebbero fatto morire” e di essere “stato sottoposto a torture atroci da parte delle guardie carcerarie, riportando contusioni in tutto in corpo, incrinazione di tre costole, scosse elettriche ai genitali. A seguito delle scosse elettriche ricevute ai genitali il testicolo sinistro ha assunto le dimensioni di un’arancia, mi procura un dolore atroce e mi impedisce di camminare. Io spero di poter tornare quanto prima in Italia, sempre che non muoia in carcere. Sono in carcere da 12 mesi, senza nessuna sentenza, senza alcun diritto umanitario. Ho subito botte, soprusi, angherie”.
Sacco, nel dettare il messaggio al proprio legale tramite la compagna, ricostruisce la propria storia: “Al momento dell’arresto ero titolare unico di una società di ristrutturazione negli Emirati con appalti milionari. Dopo il mio arresto, con accusa di traffico internazionale di stupefacenti, per 10 grammi di cocaina, senza nessuna prova oggettiva, hanno fatto di tutto per farmi confessare. Ho subito ricatti e botte atroci”. Sacco denuncia nella telefonata violenze subite dalla partner: “Hanno costretto anche la mia compagna, del tutto estranea alla vicenda, a spogliarsi nuda davanti a 10 agenti, tutti uomini, l’hanno costretta ad andare con loro in carcere per una intera notte, il tutto per estorcere a me una falsa dichiarazione, per farmi dire in cambio del suo immediato rilascio che quella droga l’avevo presa in Italia”. L’imprenditore italiano prima di salutare la compagna lancia un ultimo disperato appello: “Chiama in radio, cerca di smuovere qualcosa. Io sto morendo. Io ci muoio qui. Ho i giorni contati, ho i giorni contati. Ti amo da morire, prova a salvare la mia vita. Vengo a casa lungo. Aiutami”.

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