Aiuti umanitari, rafforzamento delle linee aeree e della presenza diplomatica, infine fruttuosi investimenti nel campo energetico: così la Turchia ha tessuto negli ultimi anni delle relazioni sempre più strette con i Paesi africani della regione sub-sahariana, posizionandosi fra gli Stati esteri più influenti nel continente. Un’analisi di Mohammed Sanusi Adams per il “Balkan analysis” mette in luce l’intenso lavoro realizzato da Ankara in una “corsa all’Africa” spesso compiuta in sordina, mentre i riflettori mediatici restavano puntati su aree di interesse più tradizionale, complici anche le crisi in atto, come Nord Africa o Medio Oriente.
La strategia turca, ricorda Adams, si basa su due documenti fondamentali, il primo dei quali, l’Action plan del 1998, ha dato il via ad un interesse più strutturato per la regione sub-sahariana. Il documento, proposto dal ministero degli Esteri turco, è precedente al momento dell’arrivo al potere dell’AKP di Erdogan nel 2003. A quell’anno risale invece il secondo documento fondamentale, la “Strategia di rafforzamento per le relazioni economiche e commerciali con gli Stati africani”. Le attività così avviate hanno trovato il coronamento nel 2008, con il primo Summit Turchia-Africa tenuto a Istanbul e da allora la Turchia ha raddoppiato la sua presenza diplomatica arrivando a contare 33 ambasciate in tutta la regione sub-sahariana. Nello stesso periodo, Ankara è entrata a far parte dei Paesi osservatori nell’Unione Africana, è diventata un membro extra-regionale della Banca africana per lo sviluppo e ha dato impulso al settore dell’assistenza umanitaria attraverso la sua Agenzia per la cooperazione e il coordinamento (TIKA) .
È proprio questo uno dei settori che hanno prodotto, secondo Adams, i maggiori risultati. La TIKA, inizialmente nata per condurre attività nell’Asia Centrale, ha gradualmente allargato il suo raggio di influenza fino a coprire, dal 2005, anche l’Africa sub-sahariana. L’agenzia di Stato turca è arrivata rapidamente sul podio dei maggiori donatori nel continente, finanziando progetti in Sudan, Senegal, Burkina Faso, Mauritania, Repubblica democratica del Congo, Gambia e Somalia. A fronte di una diminuzione dell’indice generale degli aiuti da parte dei 22 maggiori Stati donatori (Dac) , nel 2011 Ankara vedeva un aumento del suo contributo nei Paesi in via di sviluppo che passava da 770 milioni a 1,3 miliardi di dollari, e il 50 per cento di questi aiuti era destinato all’Africa sub-sahariana. Nel corso degli anni la Turchia è diventato il più importante donatore della Somalia, anche grazie ad un pacchetto di aiuti che comprendeva progetti nel campo delle infrastrutture di trasporto e idriche, oltre alla costruzione di scuole e ospedali.
Se la Somalia nel 2011 era il più grande collettore di aiuti elargiti da Ankara, nella top 20 degli Stati assistiti comparivano anche Liberia, Kenya ed Etiopia. Sempre nel 2011 era stata lanciata una massiccia campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica turca attraverso conferenze ed eventi organizzati dai protagonisti delle raccolte fondi internazionali, ma anche attraverso operazioni di pubblicità sociale e richiesta di donazioni a favore dell’Africa sub-sahariana da parte di moschee e ong nazionali. Lo scoppio della Primavera araba ha modificato sostanzialmente il quadro delle donazioni di Ankara, e nel 2012 il 55 degli aiuti è stato ridirezionato verso il Medio Oriente ed in particolare in Siria, anche per alleviare la pressione dell’emergenza migratoria che stava già premendo ai confini turchi.
In quell’anno, ad esempio, su un totale di 2,5 miliardi di dollari di aiuti ne sono stati devoluti 1,02 a favore dei rifugiati siriani. Nel 2013 ne sono stati erogati, sempre per i rifugiati dalla Siria, 1,76 miliardi a fronte di un totale di 3,3 miliardi. Nel 2012 l’unico Paese ad aver beneficiato, fra quelli sub-sahariani, di aiuti di un certo peso è stata ancora la Somalia, con 86,6 milioni di dollari. Il Sudan è l’unico altro Stato sub-sahariano a comparire nella top 20 dei Paesi beneficiari nel 2013. Se l’assistenza umanitaria foraggiata dallo Stato turco ha visto uno spostamento d’attenzione, sono invece proseguiti gli affari del settore privato. Il volume dello scambio commerciale con la regione sub-sahariana ha registrato un aumento costante dal 2000 ad oggi, e a fronte dei 750 milioni di dollari investiti in quell’anno, nel 2014 la somma è salita fino 8,4 miliardi di dollari.
Gli investimenti diretti turchi sono stimati attorno ai 6 miliardi di dollari, e vedono come principali destinazioni Etiopia, Sud Africa, Sudan, Nigeria e Somalia. La Turchia ha anche avviato anche delle modifiche nelle procedure consolari, per facilitare l’ottenimento di visti per gli uomini d’affari provenienti dal continente africano. Quello che attira forse il maggiore interesse è il settore energetico, soprattutto nell’ultimo biennio. Nel 2014 il governo del Ghana ha stretto un accordo decennale con la Karpowership, controllata della Karadeniz Holding con sede ad Istanbul, del valore di 1,2 miliardi di euro per un rifornimento di 450 megawatt all’anno a rinforzo della capacità energetica del Paese. L’energia viene prodotta da stazioni galleggianti che utilizzano petrolio o in alternativa gas naturale.
“C’è una carenza di circa 100.000 megawatt di energia in tutta l’Africa che ha bisogno di essere colmata urgentemente”, ha commentato il presidente di Karadeniz al momento della chiusura dell’accordo. Nonostante le grandi risorse naturali del continente africano gli Stati sub-sahariani vedono una penuria cronica di energia. “Questi Paesi sono ricchi di riserve petrolifere e di gas – ha aggiunto Orhan Karadeniz – e quando queste riserve entreranno in produzione, e i Paesi diventeranno ricchi, crescerà sempre di più anche la richiesta di elettricità”.
(Fonti: Balkan analysis – agenzie)
