La prima reazione alla decisione del vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo a Riyadh, che ha accolto la richiesta del Regno di Giordania di entrare nell’organico e ha invitato il Regno del Marocco a fare lo stesso, è stata di chiedersi se questa organizzazione sovranazionale sostenga le monarchie. La risposta a questa domanda è stata: perché no? E sia, non c’è nulla di sbagliato e secondo quanto ha detto un ex-funzionario arabo “i regimi monarchici arabi sono conformi alla legge islamica e godono di legittimità e la richiesta popolare di riforme al loro interno non riguardano chi governa o l’ordinamento”, bensì i codici e le leggi. La domanda acuta in questo caso è: le nostre repubbliche arabe sono fondamentalmente repubbliche? In esse infatti i presidenti restano in carica più a lungo dei re e dei principi e il principio dinastico vige persino nelle istituzioni statali, non soltanto al vertice della piramide. Basta osservare la Libia e il ruolo dei figli del colonnello Mu’ammar Gheddafi.
Certamente oggi, di pari passo con lo stravolgimento politico che attraversa tutta la regione, i regimi monarchici non uccidono i loro popoli. Anzi essi sono i più flessibili nell’accogliere le loro richieste e i più disponibili a comunicare e ad andare loro incontro. Parimenti i regimi monarchici non hanno mai trattato la loro identità araba e non l’hanno utilizzata per vendere o comprare. Tuttavia, la faccenda è veramente tutta qui? Naturalmente no.
L’accettazione della richiesta della Giordania di entrare nel Consiglio di Cooperazione del Golfo ha molti significati e vantaggi per tutte le parti in causa. L’entrata della Giordania indica l’aspirazione a una maggiore stabilità per il Paese nel suo complesso e il primo passo avanti è che quest’ultimo smetta di pensare soltanto all’idea di un surrogato di nazione. Naturalmente alcuni dicono che la Giordania è un Paese che si oppone a Israele, il che significa che tutto il Golfo sarà uno Stato contrapposto a Israele. La risposta in realtà è chiara: la Giordania oggi è un Paese che ha relazioni pacifiche con Israele, mentre d’altra parte gli stati del Golfo hanno preso parte con ogni mezzo al sostegno agli arabi nel loro scontro e nelle loro guerre contro Israele. Questo accade da una sessantina di anni, senza che ci sia uno stato ad opporsi. Pertanto l’entrata della Giordania nel Consiglio di Cooperazione del Golfo e l’eventuale entrata del Marocco significheranno che questo organismo giocherà un ruolo chiave e sarà una garanzia per le entità politiche ragionevoli, affrontando il pericolo delle potenze regionali non arabe. Primo fra tutti l’Iran e i suoi ulema. Una faccenda cui sono interessati tutti i paesi del Golfo, così come la Giordania e il Marocco.
La questione non è soltanto un “premio” materiale, come dicono alcuni. L’entrata della Giordania e del Marocco nel Consiglio vanifica il discorso di chi sostiene che esso sia un club di ricchi e sul piano politico veicola il messaggio secondo il quale tale organismo non è chiuso alle riforme. Infatti Giordania e Marocco sono due monarchie costituzionali, che si aggiungeranno alla presenza di stati come Kuwait, Bahrein o altri. Questo significa anche che è inevitabilmente arrivato il momento delle riforme politiche in tutti gli stati del Consiglio senza eccezione.
Naturalmente il vantaggio che il Consiglio trarrà dall’entrata della Giordania e da quella eventuale del Marocco è l’ampliamento del peso politico di questo importante blocco di fronte alla comunità internazionale, perno e impulso all’azione araba condivisa impostata su nuovi fondamenti. È parimenti naturale che ci siano molte domande per cui l’opinione pubblica attende delle risposte, come l’importanza degli stati membri del Consiglio. L’importante tuttavia è l’indubbia valenza positiva di ogni aggiunta e presenza.
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