Come tutti, anche papa Francesco invecchia, commette degli errori, dimostra alcune difficoltà insomma, o delle carenze. Eppure c’è qualcosa in lui, nella sua capacità di essere un punto di riferimento morale globale, che nonostante il passare del tempo, le debolezze, gli errori anche, rimane in un certo qual modo fuori dal comune, sorprendente: una forza sorprendente che spiazza, di una attualità e modernità che non si capisce facilmente. Questo aspetto non si trova trattato o affrontato correttamente né nei commenti di parte credente né in quelli dei non credenti, che lo piegano spesso e volentieri alla loro lettura del mondo, alla loro visione “ideologica” del mondo. Questo aspetto potrebbe essere detto così: Bergoglio non è stato e non sarà mai ideologico. Chi lo definisce un “papa comunista” deve nascondere il suo essere semplicemente evangelico, chi lo definisce “molto cattolico” non sa bene cosa questo significhi, perché cattolico vuol dire universale, quindi naturalmente portato a rispettare ciò che non gli appartiene come appartenenza, occupazione di spazio, identificazione culturale.
Io sostengo che la forza di Bergoglio si capisce soltanto seguendo e capendo la sua convinzione che i poli contrapposti non si elidono, ma si completano e la loro opposizione va risolta salendo a un livello più alto, senza risolvere il conflitto evidente.
Proprio questo punto è stato al centro del suo messaggio in occasione dell’incontro “l’economia di Francesco”, che riunisce giovani economisti di tutto il mondo ad Assisi, e on line, dal 6 all’8 ottobre. E il 6 ottobre Francesco ha aperto l’incontro così: “Mi avete spesso sentito dire che la realtà è superiore all’idea. E tuttavia le idee ispirano e ce n’è una che, sin da quando ero un giovane studente di teologia, mi affascina. In latino si chiama la coincidentia oppositorum, cioè l’unità degli opposti. Secondo questa idea la realtà è fatta di poli opposti, di coppie che sono in opposizione tra loro. Alcuni esempi sono il grande e il piccolo, la grazia e la libertà, la giustizia e l’amore, e così via. Cosa fare di questi opposti? Certo si può tentare di scegliere uno dei due e di eliminare l’altro. Oppure, come suggerivano gli autori che studiavo, nel tentativo di conciliare gli opposti, si potrebbe fare una sintesi, evitando di cancellare un polo o l’altro, per risolverli in un piano superiore, dove però la tensione non sia eliminata.
Cari giovani, ogni teoria è parziale, limitata, non può pretendere di racchiudere o risolvere completamente gli opposti. Così è anche ogni progetto umano. La realtà sfugge sempre. Allora, da giovane gesuita, questa idea dell’unità degli opposti mi sembrava un paradigma efficace per capire il ruolo della Chiesa nella storia. Se ci pensate bene, però, è utile per capire che cosa succede nell’economia di oggi. Grande e piccolo, povertà e ricchezza e tanti altri opposti ci sono anche in economia. Economia sono le bancarelle del mercato, così come gli snodi della finanza internazionale; c’è l’economia concreta fatta di volti, sguardi, persone, di piccole banche e imprese, e c’è l’economia tanto grande da sembrare astratta delle multinazionali, degli Stati, delle banche, dei fondi d’investimento; c’è l’economia del denaro, dei bonus e di stipendi altissimi accanto a una economia della cura, delle relazioni umane, di stipendi troppo bassi per poter vivere bene. Dove è la coincidenza tra questi opposti? Essa si trova nella natura autentica dell’economia: essere luogo di inclusione e cooperazione, generazione continua di valore da creare e mettere in circolo con gli altri. Il piccolo ha bisogno del grande, il concreto dell’astratto, il contratto del dono, la povertà della ricchezza condivisa.
Tuttavia, non dimenticatelo, ci sono opposizioni che non generano affatto un’armonia. L’economia che uccide non coincide con un’economia che fa vivere; l’economia delle enormi ricchezze per pochi non si armonizza dal proprio interno con i troppi poveri che non hanno di come vivere; il gigantesco business delle armi non avrà mai nulla in comune con l’economia della pace; l’economia che inquina e distrugge il pianeta non trova nessuna sintesi con quella che lo rispetta e lo custodisce.
È proprio in queste consapevolezze il cuore della nuova economia per la quale vi impegnate. L’economia che uccide, che esclude, che inquina, che produce guerra, non è economia: altri la chiamano economia, ma è solo un vuoto, un’assenza, è una malattia, una perversione dell’economia stessa e della sua vocazione. Le armi prodotte e vendute per le guerre, i profitti fatti sulla pelle dei più vulnerabili e indifesi, come chi lascia la propria terra in cerca di un migliore avvenire, lo sfruttamento delle risorse e dei popoli che rubano terre e salute: tutto questo non è economia, non è un polo buono della realtà, da mantenere. È solo prepotenza, violenza, è solo un assetto predatorio da cui liberare l’umanità”.
Dunque in Francesco c’è la consapevolezza della assoluta non coincidenza tra ciò che si oppone e ciò che si contraddice. Il globalismo e il localismo si oppongono: solo un sapiente e faticoso lavoro può insegnarci a non prescindere né dal primo né dal secondo. Un localismo sano si inserisce in un sano globalismo, che non ci appiattisce in punti identici ed equidistanti come in una sfera, ma riconosce le nostre diversità, i localismi diciamo, e li valorizza nella globalità. Un sano localismo analogamente non ci isola, non ci separa dal più ampio contesto globale, ma tende ad armonizzarlo nel rispetto delle tante specificità culturali, storiche e così via. Questo dialogo a distanza è vitale e un polo che mira a sostituire o eliminare l’altro non aiuta né il globale né il locale a servire l’umanità. Gli opposti devono coesistere, a differenze delle contraddizioni, che non possono. E proprio qui sta la grande lezione, l’enormità della sua attualità. Un localismo sfrenato, identitarista, nemico di tutto ciò che è fuori da se stesso, ha un disperato bisogno di un globalismo selvaggio, che lo contraddice sempre più radicalmente, per giustificare la sua radicalità.
Questo rende Francesco inviso agli opposti estremismi che dilagano in questo nostro mondo fratturato, radicalizzato, intriso di opposti estremismi che si contraddicono, non si oppongono mai. L’esempio affascinante di opposizione che Francesco fa in questo testo non è quello tra localismo e globalismo, che qui abbiamo trattato seguendo quanto da lui detto in altri testi importanti di anni fa. L’esempio che qui cita e che sarebbe molto importante approfondire è quello dell’opposizione tra amore e giustizia. Sono due poli che non si possono elidere perché senza amore per la giustizia non potremmo mai arrivare alla giustizia dell’amore. Solo l’amore per l’umanità può appagare la sete di giustizia, ma questa sete non può prescindere dalla necessità di condannare che abusa, calpesta, agisce con ingiustizia. Il pendolo tra i due poli, amore e giustizia, non deve fermarsi, né illudersi di aver risolto per sempre il suo pendolare, alla ricerca di un equilibrio. Qui potremmo passare all’analisi della sua idea di giustizia, che non è quella retributiva, ma quella riparativa. Se la mia sete di giustizia si risolve nel desiderio di vendetta, io retribuirò il colpevole con la pena più dura che posso comminargli. Se invece la mia sete di giustizia ricerca il riconoscimento dell’errore, allora mi interesserà che chi ha mal agito riconosca la vittima, e quindi la colpa, riparandola. E’ enorme il contributo al nostro tempo e alla crescita degli opposti estremismi intorno a noi e dentro le nostre società che questo pensiero può dare.
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