Migranti, i securisti non frenano gli sbarchi: il fallimento di una strategia è nei numeri

Ha superato quota 100.000 il numero di migranti sbarcati in Italia nel 2023. Lo si deduce dal sito del Viminale, che nel suo 'cruscotto statistico' indica alle ore 8 del 14 agosto scorso 99.771 arrivi.

Migranti, i securisti non frenano gli sbarchi: il fallimento di una strategia è nei numeri
Migranti sub-sahariani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Agosto 2023 - 14.45


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I securisti al governo, quelli dei decreti anti Ong, della logistica della crudeltà, dei blocchi navali follemente evocati. I securisti alla ricerca permanenti di gendarmi del mare, criminali e autocrati in prima fila, non hanno frenato gli sbarchi.

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Quota 100.000

Ha superato quota 100.000 il numero di migranti sbarcati in Italia nel 2023. Lo si deduce dal sito del Viminale, che nel suo ‘cruscotto statistico’ indica alle ore 8 del 14 agosto scorso 99.771 arrivi, e dal numero di persone soccorse dalle ore 8 del 14 agosto a oggi: almeno (secondo le cifre ufficiali) 299 ieri e 155 la notte scorsa.

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In tutto si tratta di 100.225 persone. Il numero di migranti sbarcati, secondo il Viminale, è raddoppiato rispetto allo scorso anno: erano stati 48.028 nello stesso arco di tempo del 2022 e 33.881 nello stesso arco di tempo del 2021. 

Per quanto riguarda i salvataggi, 64.764 migranti sono stati soccorsi a seguito di eventi Sar e altri 3.777 da ong (lo scorso anno i salvataggi erano stati 6.224). Mentre sono 24.394 (+27,36%) quelli arrivati con gli sbarchi autonomi. La Tunisia è il primo paese di partenza (61,34% pari a 54.693) seguito dalla Libia con il 33,73% delle partenze (30.075). Aumentano anche i rimpatri che sono passati da 2000 a 2.561 (+28,05%). Sul totale delle persone arrivate, ci sono anche 10.285 minori non accompagnati.

Nell’ambito dell’ampliamento del sistema nazionale di accoglienza dopo la dichiarazione dello Stato di emergenza sono aumentati del 12,68% i posti per migranti disponibili, passando da 79.153 (10 aprile) a 89.193: in particolare i posti nei centri governativi di accoglienza sono cresciuti del 21,88%, i Cas adulti dell’ 11,61%, i centri per minori stranieri non accompagnati +72,42%. Sono 1.993 i nuovi posti attivati o in corso di attivazione presso hotspot o nell’ambito di strutture temporanee di accoglienza. 

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Quanto alla protezione internazionale, sono aumentate le richieste di asilo che fanno registrate un +70,59% passando da 42.475 a 72.460. Pressoché stabili le domande esaminate (+1,07%). In aumento i permessi di soggiorno rilasciati che passano da 1.108.991 nei primi sette mesi del 2022 a 1.089.815.

Un fallimento annunciato

Inappuntabile l’analisi di Palo Lambruschi per Avvenire: “Mai come ora davanti alle tragedie dei migranti in mare e al caos del Sahelgli accordi per fermare i flussi stretti da Roma e Bruxelles da anni conTripoli e da nemmeno un mese con Tunisi sembrano fallimentari. Loprovano i dati degli arrivi sulle coste italiane da Libia e Tunisia soprattutto.Siamo a un soffio da quota 100 mila e se le previsioni sono esatte, questosarà un anno nero di esodi dolorosi e infiniti. Purtroppo, secondo l’Oimfino a luglio più di 2.060 persone sono scomparse nel Mediterraneo.

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Gli accordi prevalentemente securitari di Roma e Bruxelles con gli staticostieri e con quelli che si collocano sulle rotte migratorie peresternalizzare il controllo delle frontiere e fermare i flussi si rivelano inutili. Perché la storia sta cambiando velocemente l’Africa e perché nessunovuole giovani poveri e arrabbiati sul proprio territorio e dunque i nostripartner hanno tutto l’interesse a fare il doppio gioco. 

Per essere espliciti laTunisia, impoverita dal Covid e sovraindebitata, certo non ha chiuso lecoste per consentire ai pescatori del golfo di Gabes – tutti elettori del presidente Sayed  – impoveriti dalla crisi del turismo di organizzare lepartenze e andare addirittura a recuperare i motori dei barchini. Nelfrattempo, il presidente tunisino stuzzica gli umori dell’elettorato conpolitiche razziste e inaccettabili come la deportazione di subsaharianiregolari e irregolari da Sfax – uomini, donne e bambini – nelle zonedesertiche al confine con la Libia. Solo l’accordo invocato dalleorganizzazioni internazionali tra le due guardie di frontiera che si sonodivise i disperati del deserto ha evitato altre tragedie come la morte perstenti della mamma Fati e della piccola Marie.

Sulla Libia e i suoi trafficanti spesso in divisa che fanno il doppio giocoincassando i soldi europei per tenere prigionieri i migranti e poi ricattanole famiglie per farli partire e riportarli nei lager c’è un’ampia letteratura.

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Più a sud il panorama non è mai stato così drammatico da un decennio. Adest l’instabilità del Corno d’Africa sta generando nuovi flussi ai quali si èaggiunto quello dal Sudan, un tempo terra di transito e oggi fatto a pezzida quattro mesi di guerra civile e che conta più di quattro milioni di sfollatie profughi. Ad ovest il golpe in Niger sta creando un vortice depressionariodi instabilità in tutto il Sahel. Mali, Burkina Faso e Niger hanno in comunele frontiere la grande povertà nonostante le risorse regolarmente predate, la piaga del jihadismo e il fatto di essere snodi strategici del traffico dicarne umana, spesso gestito dai terroristi che non esitano ad attaccarecampi profughi e villaggi per mettere in fuga le popolazioni. 

Altro collanteè il sentimento antifrancese, potenza coloniale che ha sempre tenuto nellazona una politica economica e di influenza deleteria che li ha portati avenire cacciati da Mali e Burkina e li vede in seria difficoltà in Niger. Listanno sostituendo in chiave antijihadista i mercenari russi della Wagner,presenti anche in Sudan, che potrebbero in poco tempo avere il controllodelle rotte migratorie africane e spingere i flussi sul Mediterraneo perdestabilizzare l’Ue. Che divisa davanti a questa sfida epocale non va oltre ipannicelli caldi. Serve subito una politica vera per l’Africa, che vuolel crescere da sola con cooperazione e partenariato.

Il Mattei tanto invocato dal governo italiano per il suo piano voleva lasciareil 75% delle risorse petrolifere ai Paesi produttori, ad esempio. Riconoscerela dignità umana e ricostruire solide alleanze non securitarie  – conclude Lambruschi – deve essere la   via per governare i flussi. Prima che sia tardi”.

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Da condividere in toto.

Un appello da rilanciare

“Come ricercatrici e ricercatori e membri della società civile, del Nord e del Sud globali, intendiamo prendere posizione collettivamente contro il “Memorandum d’intesa su un partenariato strategico e globale tra l’Unione Europea (Ue) e la Tunisia”, firmato il 16 luglio 2023, e, più in generale, contro le politiche di esternalizzazione delle frontiere della Ue. Allo stesso modo ci opponiamo ai vari interventi pubblici del presidente della Repubblica Kais Saied, del Ministero degli Interni, del Ministero degli Esteri e di numerosi membri dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (ARP), rivolti contro le popolazioni migranti sin dal febbraio 2023.

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Mentre l’allineamento della Tunisia alle politiche europee di esternalizzazione si e consolidato da tempo, denunciamo l’attuale pericoloso tornante nell’accettazione di queste politiche e dei presupposti razzisti che vi sottendono. Ormai la Tunisia mostra una propria volontà di rafforzare un sistema di esclusione e di sfruttamento di chi proviene da paesi dell’Africa sub-sahariana. Invece di denunciare questa ulteriore escalation razzista, basata su un discorsi populista e cospirazionista,  proprio al contesto di deriva autoritaria   che sta attraversando il paese, i responsabili europei strumentalizzano le migrazioni cosiddette irregolari presentandole come una “piaga comune”. In maniera opportunista e irresponsabile, la UE consolida il discorso presidenziale e alimenta la fobia anti-migranti e anti-nere/i, oltre a veicolare l’immagine di un’Europa che aiuta la Tunisia a proteggere i suoi confini e non invece quelli europei.

Esprimiamo la nostra piena solidarietà con tutte le persone migranti e il rigetto dei discorsi di odio da entrambe le sponde del Mediterraneo. Come universitari/e e membri della società civile che lavorano su queste tematiche, desideriamo inoltre contrastare la disinformazione diffusa in Tunisia da alcune/i responsabili politici, giornaliste/i e individui che si presentano come universitari/e le/i quali costruiscono argomentazioni razziste prive di ogni fondamento fattuale. È urgente interrogarsi sulle ragioni per cui delle popolazioni vulnerabili vengono utilizzate come capro espiatorio per nascondere il fallimento delle politiche pubbliche in Tunisia. 

No, le/i cittadine/i dei paesi dell’Africa sub-sahariana non sono una “piaga” per la Tunisia

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È stato proprio il comunicato della presidenza della Repubblica del 21 febbraio 2023 che si riferiva a “orde di migranti sub-sahariani” minaccianti “la composizione demografica” del paese, a scatenare violenti attacchi  contro le persone nere, così come arresti arbitrari, espulsioni dalle abitazioni e brutali licenziamenti. Mentre diverse ambasciate organizzavano rimpatri, molte/i sono fuggite/i via mare – nello stesso periodo si è verificato un aumento drastico di naufragi, decessi o sparizioni   al largo delle coste tunisine. Alcune centinaia di persone tuttora dormono davanti gli uffici dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) a Tunisi, richiedendo una ricollocazione o un’evacuazione verso paesi sicuri.

All’inizio di luglio a Sfax questi attacchi si sono nuovamente intensificati, in seguito alla morte di un cittadino tunisino di cui è stato incolpato un cittadino di un paese dell’Africa sub-sahariana, mentre poco prima un uomo del Benin è stato pugnalato a morte. In un contesto in cui ancora oggi vengono liberamente diffusi discorsi di odio,  le forze di sicurezza tunisine hanno intensificato le retate a Sfax, deportando almeno 1200 cittadine/i subsahariane/i alle frontiere con la Libia e l’Algeria, all’interno di zone desertiche militarizzate e inaccessibili. Senz’acqua, né cibo, spesso malmenate/i, molte/i di loro sono riuscite/i a far arrivare  le immagini della loro sofferenza – una realtà negata dal Ministero degli Interni .  Ad oggi almeno 20 morti sono stati confermati da diverse fonti, un numero probabilmente ampiamente sottostimato.

Dietro le categorie razzializzanti di “subsahariane/i”, “africane/i” o di “migranti irregolari”,  vi sono studentesse e studenti, lavoratrici e lavoratori, rifugiate/i e richiedenti asilo, persone arrivate per ricevere cure mediche, oppure da anni in attesa del  permesso di soggiorno, così come persone che non possono uscire dal territorio per rinnovare il visto. La diversità dei percorsi e delle condizioni di queste persone, come la loro stessa umanità, vengono rese invisibili, con il risultato di marginalizzarle ulteriormente e disumanizzarle. Molte/i non riescono a regolarizzarsi a causa di un quadro legislativo obsoleto e incoerente e di procedure amministrative lente e complesse. Così come accade a molte/i tunisine/i in Europa, la condizione delle persone migranti in Tunisia diventa irregolare a causa di leggi e pratiche che classificano le popolazioni del continente africano in migranti “desiderabili” o “indesiderabili” e che criminalizzano gran parte dei suoi giovani. Invece, il soggiorno irregolare dei migranti occidentali – molto frequente in Tunisia, a causa delle medesime disfunzioni burocratiche – non viene visto come un problema securitario.

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Inoltre, nulla conferma l’affermazione secondo la quale la forza lavoro migrante sarebbe responsabile del degrado dell’economia tunisina, come viene suggerito dalla vulgata xenofoba.  Come molte/i tunisine/i, in realtà esse/i sono spesso sfruttate/i e esposte/i alla precarietà e alla vulnerabilità alimentare. L’attuale crisi economica è piuttosto causata dalla mancanza di prospettive economiche, dalle politiche di austerità,  sostenute a livello internazionale, alla gestione  del debito pubblico, o ancora dall’ incapacità dello Stato a porre rimedio alle disuguaglianze socio-economiche.

No, il Memorandum con l’UE non protegge la sovranità tunisina

Nei suoi interventi pubblici, il presidente Kaïs Saïed sembra difendere la sovranità della Tunisia, dichiarando che il paese non accetterà di diventare “un paese di ricollocamento”  per migranti espulse/i dall’Europa, né un “paese di transito o un luogo d’insediamento, oppure di essere ridotto al ruolo  di gendarme d’Europa. 

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Tuttavia, il Memorandum – con il quale la Ue s’impegna a fornire un appoggio finanziario per la gestione delle frontiere – dimostra che il governo continua a integrare gli obiettivi delle politiche europee impegnandosi pienamente nella securizzazione delle frontiere della Ue. Il presidente agisce nel solco tracciato dai suoi predecessori e potrebbe perfino andare oltre nella esternalizzazione, dato che l’accordo menziona “un sistema d’identificazione e di rientro dei migranti irregolari già presenti in Tunisia verso il loro paese di origine”. Ciò suggerirebbe lo sviluppo dell’approccio “hotspot”,secondo il quale i flussi migratori vengono gestiti alle frontiere esterne della Ue, in paesi come la Tunisia, impedendo completamente l’accesso al continente europeo. Mentre il governo afferma di rifiutare l’insediamento di persone migranti da paesi dell’Africa subsahariana, la chiusura delle frontiere contribuisce al loro confinamento in Tunisia.

 No, né le popolazioni tunisine, né quelle europee ne trarranno benefici

In continuità con gli accordi migratori conclusi prima e dopo il 2011, questo Memorandum è stato firmato in maniera non trasparente, senza discussioni parlamentari, e senza consultare i sindacati o la società civile. In più, il Memorandum non fornisce garanzie precise di rispetto dei diritti umani, né misure per controllare l’utilizzo dei doni erogati alle forze di sicurezza tunisine.

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La Ue insiste nel voler dare carta bianca alla Tunisia, strategia tanto più irresponsabile perché inefficace. Finché le cause socio-economiche strutturali delle migrazioni cosiddette irregolari non verranno messe in causa, e l’accesso alla mobilità non verrà radicalmente ripensato, l’approccio securitario non farà che rendere le traversate più mortali, rafforzando  i trafficanti.

Questo Memorandum aumenterà l’asimmetria fra la Ue e la Tunisia nell’accesso alla mobilità e alle opportunità, in particolare contribuendo a quella che viene chiamata “la fuga dei cervelli” e a modelli economici che alimentano le cause delle migrazioni e delle diseguaglianze. Le vaghe contropartite proposte dalla Ue come la facilitazione dei visti e i “partenariati dei talenti” fanno parte di quelle promesse già fatte in passato alla Tunisia che non sono mai state mantenute. L’esternalizzazione delle frontiere europee colpisce in questo modo l’insieme delle persone migranti considerate “non desiderabili” del continente, tunisine come degli altri paesi africani.

D’altronde la volontà manifestata nel Memorandum di “preservare la vita umana” è ben poco credibile, dato che dal 2014 circa 27000 persone sono morte  o disperse nel Mediterraneo, a causa delle stesse politiche europee che si sono ritirate dai salvataggi  in mare, di fatto criminalizzandoli.

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Il solo modo per tutelare veramente gli interessi e la dignità di tunisine/i e di cittadine/i del continente africano presenti nel paese, è di attivare modalità di ascolto e di dialogo costruttivo con le popolazioni tunisine e non tunisine colpite da queste politiche, con le varie associazioni che le rappresentano, e con attori sociali e comunità di ricerca. Questi scambi dovrebbero contribuire a far emergere una riflessione collettiva sulle soluzioni politiche alternative all’attuale gestione mortifera delle frontiere, riconoscendo le migrazioni come un diritto e una ricchezza per tutte/i.”.

”L’Internazionale anti securista” nel Mediterraneo esiste. Ed è la speranza che rende meno angosciante il futuro.

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