Vince Renzi ma non riesco a gioire

Vedo una mutazione genetica che fa diventare la sinistra liberldemocratica. Ma sarei felice di ricredermi. [Claudio Visani]

Vince Renzi ma non riesco a gioire
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27 Maggio 2014 - 22.46


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di Claudio Visani

Dovrei essere felice. Sono una persona di sinistra e la sinistra ha finalmente vinto, anzi stravinto, nel mio Paese. E al trionfo del Pd di Renzi si è accompagnato il buon risultato della sinistra radicale di Tsipras. Mentre, nei campi avversari, la destra è scesa al minimo storico, Berlusconi sembra ormai fuori gioco e l’inquietante coppia populista Grillo-Casaleggio è costretta a prendere il Maalox per digerire la pesante sconfitta elettorale.

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E invece non lo sono. Intendiamoci: sono contento che il Caimano per una volta sia stato battuto nettamente anche nelle urne, e che il dittatorello di Genova abbia clamorosamente perso la sfida che aveva lanciato a Napolitano e Renzi (“o noi o loro”); mi consola, inoltre, che il partito del premier che vuole “cambiare verso” all’Italia e all’Europa, tagliare i privilegi della politica e della casta, ridurre i mega-stipendi dei manager pubblici e mettere più soldi in tasca a chi ne ha pochissimi, esca rafforzato dal voto mentre nel governo i suoi alleati di centro quasi scompaiono e quelli di destra arrancano.

Ma non riesco a gioire per quel Pd pigliatutto che – secondo gli esperti – “ruba” due milioni e mezzo di voti al centrodestra mangiandosi in un sol boccone Monti e Casini e attraendo una bella fetta di elettori di Berlusconi, ridimensionando di conseguenza il già incerto “quid” di Alfano; e che si riprende pure una quota importante di voti di ritorno dai delusi da Grillo, compensata però da altri consensi in uscita dal Pd verso la sinistra-sinistra.

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Sarà perché, da elettore di sinistra, sono molto abituato alle sconfitte e quasi niente alle vittorie. Sarà perché quel 40% evoca la Dc dei tempi d’oro, quella Balena Bianca così forte, tranquilla e rassicurante che prendeva voti a destra e manca con le clientele e senza scontentare mai nessuno, ipotecando però il futuro del Paese; o perché ricorda la parabola di Blair in Inghilterra – e in questo caso il parallelo è sicuramente più appropriato – che trasformò il Labour in crisi in un partito sostanzialmente liberaldemocratico e proprio in virtù di quella mutazione genetica vinse per tre volte di seguito le politiche.

Oppure sarà perché a me Matteo Renzi, nonostante l’indiscutibile trionfo personale e politico che ha ottenuto, continua a non convincere, e a non ispirare fiducia. Forse per via della iniziale “rottamazione”, che nei toni e nella sostanza assomigliava molto ai “vaffa” e ai “devono andare tutti a casa” di Grillo. O forse è per via di quella caricatura che egli stesso si diede – e che ancora oggi lo fa spesso assomigliare al Renzi di Crozza – quando perse le primarie contro Bersani: “Non sono riuscito a scrollarmi di dosso l’immagine del ragazzetto ambizioso”, disse.

Ecco: il politico di professione che vuole pensionare i politici; il giovane rampante che passa da un incarico all’altro alla velocità della luce; l’aspirante premier che fa le scarpe prima al premier designato poi a quello in carica; il pasdaran delle primarie e della legittimazione popolare sempre, “ma anche no” se fa comodo. Probabilmente sono questi i motivi della diffidenza. Ma fin qui è soprattutto una questione “di pelle”, poco importante. Anche perché alcuni di quei tratti del suo carattere Renzi si sta sforzando di migliorarli, e si vede.

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A condizionare di più il giudizio sono i contenuti della sua politica. La proposta di una riforma elettorale che toglie la rappresentanza parlamentare alle minoranze e rischia di consegnare al partito vincitore, col 25-30% dei voti, un potere pressoché assoluto nel governo e nelle istituzioni del Paese. La trasformazione di una istituzione antica e prestigiosa come il Senato in una sorta di dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci. Il nuovo Parlamento che si vorrebbe composto esclusivamente da nominati e non da eletti. La flessibilità e precarietà del lavoro, che in questi anni ha tolto il futuro ai nostri giovani e tagliato i diritti a milioni di lavoratori, agevolata per decreto legge. I regali miliardari alle banche e quelli agli Usa per gli F35.

Ecco, questi sono i punti su cui il segretario-premier, forte del larghissimo consenso che il “suo” Pd ha ricevuto, dovrebbe ora dimostrare che non sta mutando la cultura e il dna del principale partito della sinistra italiana; che non vuole fare come Blair in Inghilterra, e tanto meno fare il Nuovo Partito democristiano. E che lui, Renzi, “dentro” non è un altro Berlusconi, più giovane e un po’ meno destro: “dentro” Matteo è proprio di sinistra, anche se di una sinistra finalmente rinnovata, moderna, che vuole vincere senza venire però meno ai suoi principi. Se lo farà, sarò felice di ricredermi. E allora potrò festeggiare.

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