Il viaggio di Francesco a Lampedusa: dopo sette anni l'inferno libico pesa ancora sulle nostre coscienze

Nella messa di anniversario del viaggio di Francesco, il pontefice ha ricordato il racconto dei lager. Lager che ancora sono finanziati da una maggioranza più attenta a tenere insieme i suo cocci

Papa Francesco
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Luglio 2020 - 15.09


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Il suo è un j’accuse possente indirizzato contro una comunità internazionale silente se non addirittura complice della mattanza di migranti. Se un giorno dovesse celebrassi una ‘Norimberga libica’, il ruolo di grande accusatore spetterebbe di diritto a Papa Bergoglio.

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Lui, più di chiunque altro al mondo, si è sempre schierato a fianco dei più indifesi tra gli indifesi: i migranti, quella moltitudine di esseri umani in fuga da guerre, pulizie etniche, stupri di massa, povertà e sfruttamento assoluti, disastri ambientali, che cercano solo un rifugio se non accogliente almeno sicuro.

Decine di migliaia di loro sono morti nelle traversate del Mediterraneo, o finiti nelle fosse comuni scavate nel deserto. Francesco parla al cuore e alla mente delle persone, e lo fa usando il linguaggio, potente, della verità. Una verità scomoda per i grandi della Terra che hanno alimentato in questi nove anni la guerra totale in Libia, finanziando e armando i vari Sarraj e Haftar, semplici burattini nelle mani degli Erdogan, al-Sisi, Putin, Macron, i petromonarchi del Golfo, strumenti per i loro disegni di potenza.

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Ma sul banco degli imputati dovrebbero sedere anche i narratori nostrani di una inesistente ‘invasione’ e coloro che, con il pretesto del Coronavirus, hanno chiuso i porti e rispedito indietro attraverso la cosiddetta Guarda costiera libica, migliaia di disperati nell’inferno dei lager.

“È inimmaginabile l’inferno chiuso vissuto nei campi di detenzione dai migranti”. Così questa mattina Papa Francesco, durante la messa per l’anniversario della visita di sette anni fa a Lampedusa, il suo primo viaggio fuori Roma dopo l’elezione a Pontefice. Oggi il suo pensiero è tornato su quel viaggio indimenticabile. Ha detto: “C’erano degli interpreti. Uno raccontava cose terribili nella sua lingua e l’interprete sembrava tradurle bene: ma questo parlava tanto e la traduzione era breve. ‘Mah’ – pensai – ‘si vede questa lingua per esprimersi ha dei giri più lunghi’. Quando sono tornato a casa, il pomeriggio, nella reception c’era una signora – pace alla sua anima, se n’è andata – che era figlia di etiopi. Capiva la lingua e aveva guardato alla Tv l’incontro e mi ha detto questo: ‘Senta, quello che il traduttore etiope ha detto non è nemmeno la quarta parte delle torture, delle sofferenze che hanno vissuto loro. Le hanno dato la versione ‘distillata’. Questo succede oggi con la Libia: ci danno una versione ‘distillata’. La guerra sì è brutta, lo sappiamo, ma voi non immaginate l’inferno che si vive lì, in quei lager di detenzione. E questa gente veniva soltanto con la speranza di attraversare il mare”.

La nobiltà di queste parole si scontra con la miseria della politica italiana. A dimostrarlo è il dibattito svoltosi in Senato sul via libera al decreto missioni. Un punto cruciale era il finanziamento dell’impegno militare in Libia: ha scatenato come non mai lacerazioni e conflitti tra i partiti di governo e all’interno del M5s.

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L’ok è venuto solo dopo l’approvazione di un ordine del giorno presentato da parlamentari pentastellati e che ha avuto il sostegno di parlamentari dem nel quale si riconosce una strategia di fondo dove la Libia resta nodo cruciale degli interessi italiani. Fondamentale l’ultimo punto delle premesse: nello scenario in atto “la conseguenze e probabile nuova pressione migratoria della Libia verso l’Europa rischia di assumere una portata – evidenzia il documento proposto da Laura Garavini – tale da rendere difficili operazioni di dispiegamento internazionali di navi e di mezzi di soccorso e, allo stesso tempo, espone le strutture di accoglienza italiane a malfunzionamenti derivanti anche dal loro attuale depotenziamento”.

Siamo alle solite: si media sulle virgole per tenere insieme i cocci di una maggioranza lontana anni luce dagli ammonimenti e dagli appelli di Papa Francesco.

 

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