di Giada Zona
Il mondo distopico descritto da George Orwell in 1984 sembra trovare oggi un riflesso nella gestione dei magazzini di Amazon: ogni dipendente ha un monitor e sopra ogni postazione c’è una telecamera. Un regime di sorveglianza che, orientato al profitto, compromette la dignità dei lavoratori; è questa la realtà con cui devono scontrarsi in Italia 19mila dipendenti a tempo indeterminato, a cui vanno sommati altri dipendenti con altri contratti. E’ l’inchiesta di Report, firmata da Emanuele Bellano e andata in onda il 21 dicembre, a mettere in luce come l’azienda utilizzi telecamere, interrogatori e strategie di gamification come strumenti di controllo.
Una delle rivelazioni più preoccupanti riguarda la gamification: dalle interviste a dipendenti e ex dipendenti Amazon, rimasti nell’anonimato, si vede come Amazon, per incentivare la produttività, fornisce ad ogni lavoratore un monitor che propone sfide simili a videogiochi. Non semplici videogiochi: più pacchi vengono smistati e più il punteggio sale, permettendo ai lavoratori di vedere in tempo reale la propria posizione in classifica rispetto a quella degli altri colleghi.
Proporre queste strategie è estremamente rischioso come ha dichiarato un ex dipendente Amazon, il quale ha smesso di “giocare” perché ritiene il sistema progettato per creare dipendenza e competizione. Il colosso di Amazon, che consegna pacchi in tutto il mondo in tempi record, mette così in ginocchio piccole realtà locali e la dignità dei lavoratori.
Un altro aspetto riguarda la gestione della sicurezza; il servizio di Report smaschera come la sicurezza di Amazon sia composta in realtà da persone che vantano esperienze nel settore militare, provocando gravi ripercussioni sui dipendenti. Particolarmente critico è il capitolo sugli “interrogatori” a cui vengono sottoposti i dipendenti Amazon per aver commesso piccoli errori, come un pacco destinato male.
Incontri che non permettono al dipendente di difendersi, perché si trova da solo e costretto a rispondere subito e sotto pressione, in quanto sono presieduti da esperti di sicurezza. Pratiche che, come sostenuto da Antonella Milieni, Dirigente Ispettorato Nazionale del Lavoro, non risultano autorizzate e conformi alle procedure standard.
E’ poi il turno della sorveglianza: se Amazon, in un documento ufficiale del centro di Cividate al Piano (BG), ha dichiarato che “maschera sempre le postazioni fisse di lavoro”, in realtà le testimonianze e le immagini mostrano telecamere che inquadrano costantemente i luoghi di lavoro e le aree operative. E’ Pierluigi Costelli, funzionario FILT CGIL di Bergamo, a confermare questo.
Interrogatori e telecamere si aggiungono ai metal detector: i lavoratori, appena terminato il loro turno, devono passare sotto il controllo dei metal detector sorvegliati da personale interno, non qualificato, anziché da guardie esterne. Questo ha un significato ben preciso: meno costi. L’azienda ha respinto le accuse, sostenendo che le procedure rispettano la legge e sono dettate da “necessità operative”. Rispetto ai controlli all’uscita, Amazon sostiene che “riguardano esclusivamente gli oggetti e non comportano alcuna perquisizione personale”.
Dietro il successo di uno dei colossi più potenti al mondo si cela una realtà complessa, fatta di sorveglianza e controllo. Il modello Amazon delineato dall’inchiesta di Report pone degli interrogativi etici per l’azienda, che dovrebbe garantire pienamente la dignità dei lavoratori, e anche noi consumatori siamo chiamati a chiederci quale sia il costo umano dietro la velocità che permette di ricevere un pacco a casa in 24 ore.
E’ un meccanismo che arricchisce i grandi imprenditori: la produttività dei dipendenti viene misurata in base alla rapidità operativa che, per chi sta ai vertici, si traduce in maggiori profitti, mentre per i dipendenti è una vera e propria pressione. Mettere al centro la dignità dei lavoratori, i loro diritti e il loro benessere è quindi il primo passo fondamentale da cui deve dipendere ogni logica di mercato.
