"Misura per misura" al Teatro India di Roma fino al 14 dicembre

L’adattamento di Lagani e Bisordi intreccia metateatro, lingue che si scontrano e il lavoro di un ensemble compatto: una macchina scenica ambiziosa quanto faticosa per lo spettatore

Misura per misura - Teatro India recensione di Alessia de Antoniis
Misura per misura
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

6 Dicembre 2025 - 12.05


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di Alessia de Antoniis

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Misura per misura: la legge, il desiderio e la fatica della lingua

Al Teatro India Misura per misura di Shakespeare arriva in una nuova versione firmata da Chiara Lagani e Giacomo Bisordi, produzione Teatro di Roma in collaborazione con il Centro Teatrale Santacristina. Un testo che la tradizione continua a chiamare “commedia”, ma che vive nella zona grigia dei problem play: giustizia che si fa violenza, desiderio che diventa ricatto, legge come maschera del potere. L’allestimento sceglie una via esplicitamente metateatrale, sostenuta da un ensemble solido, che però chiede allo spettatore una concentrazione altissima.

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Una prostituta prende la regia

La vera novità non è nella trama, sostanzialmente rispettata, ma nello sguardo che se ne appropria. Giulietta non è più solo la fidanzata incinta di Claudio: è una prostituta romena che vive nella Roma del Covid, tra Airbnb, annunci online, clienti che vogliono solo parlare. Uno di loro è un regista che le mette in mano Measure for Measure e le chiede di leggerla. Da lì Giulietta diventa regista interna: sceglie gli attori, commenta gli allestimenti shakespeariani visti in passato, rivendica il diritto di riempire di prostitute una storia che parla di prostitute. Shakespeare non è più l’autore che la rappresenta, ma il materiale attraverso cui lei rappresenta se stessa.

Dentro questa cornice, la macchina drammatica resta riconoscibile: il Duca che delega l’applicazione della legge al vicario Angelo, le leggi intorpidite sui costumi sessuali, la condanna di Claudio, l’implorazione di Isabella, il ricatto del corpo in cambio della vita, l’inganno del letto con Mariana, la testa del condannato sostitutivo. Ogni snodo è doppiato dalle parole di Giulietta, che traduce l’ossessione per le nascite “illegittime” in una riflessione contemporanea sui corpi senza diritti. In alcuni passaggi il cortocircuito è potente; in altri il metatesto sfiora il didascalico.

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Lingue che si urtano

Il lavoro più radicale passa attraverso il linguaggio. Il registro alto delle scene istituzionali – il Duca, Angelo, Isabella – rielabora in un italiano contemporaneo, metaforico, la tensione morale dell’originale. A questo si affianca il registro basso e colloquiale di Lucio e della parte “bassa” del mondo, un italiano sporco di turpiloquio e di cadenze romane. La voce di Giulietta attraversa entrambi, oscillando fra italiano, romanesco, romeno, con inserti di inglese imparato “a colpi di Google Translate”. Altrove irrompe il tedesco e un italiano volutamente maccheronico, e affiorano altre sonorità straniere che frammentano ulteriormente il tessuto linguistico.

Su due ore e venti di spettacolo, questa polifonia di lingue e registri è insieme cifra e limite: da un lato fa della lingua un vero campo di battaglia sociale – chi può permettersi il “buon italiano”, chi è costretto al dialetto, chi vive in traduzione permanente; dall’altro chiede allo spettatore uno sforzo di ascolto continuo che alla lunga può somigliare più a un esercizio di stile che a una necessità drammaturgica.

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Lo spazio e le sostituzioni

Lo spazio scenico è dichiarato: oggetti nominati a vista, video che interferiscono con la presenza. È il luogo in cui si materializza il tema delle sostituzioni: un capo che sostituisce l’altro, una testa al posto di un’altra, Mariana al posto di Isabella, una prostituta al posto del regista. L’idea è chiara; a forza di essere ribadita, però, perde opacità e smette di inquietare.

L’ensemble e le oscillazioni di tono

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Il lavoro della compagnia è uno degli elementi più solidi. Vanda Colecchia, Arne De Tremerie, Dimitri Galli Rohl, Michele Lisi, Irene Mantova, Edoardo Raiola, Francesco Russo, con Miruna Cuc in video, affrontano una partitura verbale densissima senza perdere appoggio. Isabella è una giovane donna radicale, attraversata da una fede non pacificata; Angelo un puritano scosso da un desiderio che non sa nominare; il Duca un sovrano che osserva e registra più che agire, e proprio per questo resta moralmente ambiguo. Le oscillazioni di tono, dal tragico al farsesco, sono affrontate con sicurezza; e quando la scrittura trabocca, è spesso il lavoro degli attori a mantenere una linea di credibilità.

La misura e il desiderio

Resta la sensazione di uno spettacolo pensato e onesto, che non si accontenta della patina “contemporanea” sul Bardo e prova ad affondare nella materia viva di legge, sesso, potere, sguardo. Ma resta anche la fatica: la durata importante, la densità di lingue, un metadiscorso molto presente che spesso anticipa e guida la lettura dello spettatore invece di lasciare zone d’ombra. La domanda di Bisordi nel programma di sala – che cosa significa governare i propri desideri e governare una comunità – arriva allo spettatore con nitidezza. Meno nitido è il rapporto fra questa domanda e la forma, fra l’urgenza politica del progetto e la misura scenica con cui viene condivisa.

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Uno spettacolo che agisce come un doppio specchio: da un lato mostra l’antica opera shakespeariana sulla tirannia e l’ipocrisia morale, dall’altro riflette l’esperienza cruda e contemporanea di chi la porta in scena, costretta a usare un dramma sui corpi e sulla legge per dare un senso alla propria vita.

Misura per misura
di William Shakespeare
traduzione e adattamento Chiara Lagani
regia Giacomo Bisordi
con Vanda Colecchia, Arne De Tremerie, Dimitri Galli Rohl, Michele Lisi, Irene Mantova, Edoardo Raiola, Francesco Russo e in video Miruna Cuc

Info e orari

Teatro India – dal 2 al 6 e 9, 12 e 13 dicembre ore 20.00 – 10 e 11 dicembre ore 19.00 – domenica ore 18.00

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