di Antonio Salvati
Lo scrittore Daniele Mencarelli sta conoscendo un momento di meritato successo, soprattutto dopo la versione serie tv, di Tutto chiede salvezza. L’ultimo romanzo Fame d’aria (Mondadori, pagine 180, euro 19,00) è breve, essenziale, una storia semplice. I protagonisti sono Pietro e Jacopo che un venerdì pomeriggio a causa di un guasto all’auto rimangono bloccati in un paesino molisano, attanagliato dallo spopolamento: Sant’Anna del Sannio. I due, padre e figlio, sono costretti a trascorrere un intero fine settimana in un paese in cui non c’è nulla, in attesa che Oliviero metterà a posto la loro macchina. Pietro vuole andarsene lunedì per raggiungere la moglie Bianca e festeggiare l’anniversario di matrimonio nel posto, Marina di Ginosa, in cui si sono conosciuti e innamorati. Fortunatamente esiste un bar-ristorante gestito da Agata, vedova, che ha ancora una stanza disposta a ospitare Pietro e Jacopo. Pochissimi e quasi tutti anziani gli abitanti, con l’eccezione di Gaia, che è tornata a casa per dare assistenza alla madre.
Anche se la voce narrante che descrive azioni, emozioni e avventure – o disavventure -, è quella di Pietro, il vero protagonista è Jacopo, affetto da autismo, un diciottenne bellissimo e inabile alla vita, che Pietro deve accudire come se si trattasse di un bambino di pochi mesi. Il ragazzo è «a basso funzionamento, bassissimo», spiega il padre quando gli si chiede della sindrome. E poi, per essere sicuro di essersi fatto capire, ripete una frase ormai collaudata: «Non parla, da solo non fa nulla, si piscia e caca addosso». Jacopo dondola, non guarda nessuno e l’unico verso che riesce a pronunciare è: “Mmmmmmhhh”. Impossibile non posargli gli occhi addosso, assai difficile non provare pietà per quel genitore che sembra così giovane e così vecchio insieme.
Sono note le difficoltà e lo smarrimento della famiglia in cui nasce un bambino con disabilità. Nel caso dell’autismo spesso la famiglia è particolarmente colpita e smarrita, a causa delle caratteristiche stesse della sindrome, che impediscono al bambino di stabilire una relazione proficua. Inoltre, si aggiungono i problemi di comportamento mal interpretati e i miti che ancora sopravvivono sull’autismo rendono i genitori particolarmente vulnerabili – spiega Luigi Cancrini – ai sensi di colpa e di inadeguatezza. La nascita di un bambino autistico rappresenta, per la famiglia, un evento fortemente stressante, che produce una crisi in tutto il sistema con la necessità di mettere in discussione tutti gli equilibri raggiunti, per trovarne dei nuovi. In questa fase i genitori sono pieni di speranza ed estremamente motivati ad aiutare il bambino ad acquisire competenze e questo contribuisce a migliorare il clima nel sistema familiare. L’autismo è caratterizzato non solo dalla disabilità, ma anche dell’isolamento che può scaturire da diverse patologie. Infatti, come non considerare che esiste un isolamento, causato dalla sofferenza psichica – di cui Mencarelli ha trattato – che arriva sulla nostra vita, ancorandola a una condizione autistica, che non consente di creare relazioni, e di tenersi in contatto con gli altri? Quando questo avviene, cambia il mondo che ci circonda, e talora si diviene estranei anche ad ambienti che ci sono familiari. La sofferenza psichica – direbbe lo psichiatra Eugenio Borgna – modifica il cammino del tempo interiore, che non vive piú di presente, passato e futuro, «ma si inaridisce in un passato sconfinato che non ha piú un futuro dinanzi a sé. Curata in degenza ospedaliera, ma a volte senza, innalza un muro invisibile che ci separa dagli altri, ci isola e ci allontana, ma non rende impossibile il rinascere della solitudine, come nostalgia di dialogo e di comunione, come apertura alle attese e alla speranza, che si spengono invece nell’isolamento radicale: quello che ha perduto la patria, e non ha piú nemmeno una casa in cui abitare, e in cui vivere». Si fa fatica a dire queste cose che ci appaiono cosí lontane da noi. L’isolamento piú profondo e piú doloroso, la solitudine perduta e irraggiungibile, è quello che rinasce da una condizione depressiva di vita, e talora da una condizione psicotica: il linguaggio della psichiatria – spiega Borgna – parla di autismo depressivo, e di autismo psicotico. L’angoscia, e l’impossibilità di essere in dialogo, in relazione, con il mondo delle persone e delle cose, contrassegnano l’una e l’altra forma di isolamento; ma con conseguenze psicopatologiche e umane diverse. «L’autismo, nel quale talora sconfina una condizione depressiva, è fragile e fluido, friabile e temporaneo, non consente di aprirsi ai desideri e alle speranze della vita, ma queste rinascono quando la depressione migliora e guarisce». Occorre riconoscerlo. Quanti pregiudizi ancora oggi – anche nelle scuole – non consentono di guardare alla sofferenza psichica nella sua umanità e nella sua fragilità, nella sua gentilezza e nella sua sofferenza, nella sua dignità e nella sua mitezza, nella sua nostalgia e nelle sue speranze infrante. Questo libro – come gli altri di Mencarelli – contribuisce a fare riemergere dalle oscurità, che le avvolgono, le parole e le immagini che ridanno un senso e un valore alla sofferenza psichica, recuperandone fino in fondo l’umanità. Anche quella di Pietro con la sua rabbia, quando esplode, e nella quale Pietro è rinchiuso, abbandonato dagli amici, dallo Stato («Il figlio malato te lo manda il destino, e io non so dove andarlo a cercare per mettergli le mani addosso, ma non è solo quello che ti consuma, ci sono tanti, tanti maiali. Gente che dovrebbe aiutarti. Ma chi ti aiuta? Nessuno»), in silenziosa, astiosa, competizione con l’amore incondizionato della moglie, alla ricerca di un senso.
Il libro di Mencarelli è un libro che ci narra dell’abbandono delle istituzioni nei confronti delle famiglie con figli disabili. Ci parla dell’impegno totalizzante che richiede un figlio con una grave disabilità, esperienza in parte vissuta anche dall’autore padre di un figlio di cui si diceva che avesse un disturbo non meglio specificato. L’autore, pertanto, ha avuto modo di vedere da vicino vicissitudini di altre famiglie che spesso hanno pudore nel chiedere aiuto. Fame d’aria è un libro che mostra cosa significa sentirsi schiacciati dal destino, quel momento in cui ci sentiamo schiacciati dalla vita, ossia quando ci scappano le cose di mano. Fame d’aria racconta la paternità più dura, quella che ha che fare con l’incomunicabilità e con la disabilità. Da voce ad un uomo lasciato solo con un dolore che nel corso degli anni ha divorato tutto, anche sé stesso. Lo fa con uno stile diverso da altri: con la durezza della realtà, non in maniera poetica. Un volume che ci ricorda che la salute è un dono enorme.
Tuttavia, il dolore di Pietro – a conferma che la vita spesso ci riserva sorprese inaspettate – troverà in Agata, Gaia e Oliviero quel che potremmo definire l’umanità, semplice, che ancora resiste, fatta di compassione e di un eroismo molto semplice quanto inconsapevole. Gaia chiede a Pietro come sta? Pietro resta colpito. Sono cinquantenni ma su certe cose non sono più grandi dei nostri figli. Pietro si sente invecchiato male. Scopre che Gaia è altro. In un cesto senso Gaia fa rientrare in Pietro la possibilità del dialogo, è l’elemento che stana Pietro che definisce bello. Riporterà Pietro ad una socialità normale. Pietro è entrato in competizione con la malattia, con un disturbo pervasivo. Entrato in competizione con la malattia ma il cuore se l’è tenuto l’autismo.
Non casualmente Mencarelli ha scritto un romanzo sull’autismo. Ha conosciuto tante storie, ponendosi la domanda sul che cosa per tutti noi le persone con problemi come quelli di Jacopo? Che sguardo ci richiedono? In cosa ci costringono a cambiare? Per Mencarelli «tutti chiedono una nuova alfabetizzazione rispetto ai linguaggi che noi usiamo per l’amore. Un ragazzo che non verbalizza, che non ha contatto oculare ci chiede di imparare la sua lingua dell’amore, ma è una lingua che esiste. È una lingua che esiste e chiede a noi di essere disposti a impararla». Anche Jacopo dimostra di essere altro rispetto al racconto spesso drammatico che fa il padre, il quale è in lotta con il mondo. Jacopo dimostra di essere molto di più di quello che racconta il padre: «quando si fa accarezzare da Agata, quando arriva la madre e la riconosce. Questi nuovi disturbi che sono esplosi negli ultimi quarant’anni ci chiedono di essere disponibili ad imparare il loro modo d’amare, che c’è, esiste, ed è forte».