La storia di Suhair, morta per inflitta infibulazione a tredici anni

Ho scritto una storia di violenza sul corpo di una bambina. Per dare voce a quelle che non ci sono più e quelle che hanno il coraggio di andare avanti e di parlare. [Ilaria Drago]

Suhair Al-Bataa
Suhair Al-Bataa
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5 Aprile 2016 - 21.21


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di Ilaria Drago

Ci sono temi di cui si sente parlare, ma non abbastanza. Per esempio quello della violenza sulle donne mi ha sempre toccata e mi tocca profondamente. Così quando Salah Ibrahim, presidente dell’Associazione El Mastaba di Firenze, mi ha proposto di partecipare a una giornata di incontri per parlare di MGF (mutilazione genitale femminile) e delle altre diverse torture praticate su donne e bambine in Egitto e altri paesi, non ho avuto dubbi… Ho deciso di mettere a disposizione la mia voce e le mie parole.

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Quando leggi una notizia su un giornale non hai mai fino in fondo la portata della realtà; la forza dirompente che è semplicemente quella realtà. Le notizie si leggono fra le tante e poi giri pagina e sei a un altro giorno e su altre notizie. Ma dietro quelle righe vi sono le grida, gli occhi stravolti, le anime offese e i corpi deturpati. Dietro quelle righe ci sono le voci e le lacrime. Ci sono nostra sorella, nostra madre, nostra figlia, nostra nipote, la piccina appena venuta al mondo della porta accanto. C’è vita. A quella vita possiamo affiancarci, prestare per un attimo la nostra matita o la carne o la voce. A quella vita possiamo offrire sguardo e attenzione. Oppure ignorarla. Come spesso si fa. Ignorare e andare avanti e magari pensare alla prossima rata del mutuo, alla prossima macchina, al prossimo paio di scarpe o telefonino che mi comprerò. Ma non c’è guadagno migliore che aprire lo spazio in sé all’altro e cercare di accoglierlo. Fa male? Fa bene!

Quando Salah mi ha chiesto di scrivere una storia, sapevo che ne avrei sofferto. Perché sono fatta così, non posso scrivere se non entro nella materia, se non mi lascio attraversare da quelle voci, lacrime, grida e sogni anche. Ma tant’è se si vuole davvero essere a servizio di qualcuno e di qualcosa, bisogna entrare in empatia. Ho letto, ho guardato ogni cosa possibile. Non avrei mai immaginato tanto orrore. Bambine costrette come al macello ad essere tagliate, mozzate di uno di quei luoghi più sacri di sé, luogo d’amore e creazione. Neppure la clemenza di un’anestesia. I pezzi si tagliano con mani armate di lametta e cuore come la pietra. Mi si sono piegate le gambe ho pianto tutto il giorno davanti agli occhi di quelle bambine. Ero distrutta… io che sono lontana e in che ho il privilegio della lettura, della distanza. Cosa possono avere sofferto loro?

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Ho scritto della piccola Suhair Al-Bataa, morta per inflitta infibulazione a tredici anni. Di lei conservo tutta la bellezza del suo sguardo e con lei voglio dire di tutte, quelle che non ci sono più e quelle che hanno il coraggio di andare avanti e di parlare.

E invito tutti quanti, il prossimo 10 aprile – a partire dalle ore 16.30 – alla Casa del Popolo Le Panche, in via Caccini, 13 a Firenze. Io sarò lì per dare voce a questa sofferenza, per tenere accesa l’attenzione e la sensibilità verso problemi che sono sicuramente meno mediatici, ma non meno importanti e umani.

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