Gli Stati Uniti pensano di riconoscere lo stato di Palestina dopo la guerra di Gaza

Antony Blinken avrebbe intanto chiesto al team del suo dipartimento di esaminare le opzioni per un possibile riconoscimento dello stato palestinese dopo il conflitto.

Gli Stati Uniti pensano di riconoscere lo stato di Palestina dopo la guerra di Gaza
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1 Febbraio 2024 - 00.21


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La trattativa sul rilascio degli ostaggi a Gaza con il possibile cessate il fuoco va avanti. Sul tavolo, secondo quanto riferito dal Washington Post, ci sarebbero 6 settimane di tregua e un’uscita dell’esercito israeliano fuori dalle aree fortemente abitate di Gaza in cambio del rilascio di tutti i rapiti. Un’ipotesi su cui trapelano segnali di ottimismo con una delegazione di Hamas al Cairo per esaminare la bozza e un alto esponente israeliano che ha parlato alla Nbc di «forti indicazioni» che l’accordo, mediato domenica scorsa a Parigi dai capi delle agenzie di sicurezza di Usa, Qatar ed Egitto, stia andando avanti.

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Segnali che arrivano a pochi giorni dall’arrivo di Antony Blinken, da sabato sarà per la sesta volta in Israele dall’inizio della guerra. Il segretario di Stato americano avrebbe intanto chiesto al team del suo dipartimento di esaminare le opzioni per un possibile riconoscimento dello stato palestinese dopo il conflitto. Di esaminare cioè le varie possibilità, ha anticipato Axios, a disposizione degli Stati Uniti: riconoscere lo Stato della Palestina, non usare il proprio veto per impedire al Consiglio di Sicurezza di ammettere la Palestina come stato membro dell’Onu o incoraggiare altri paesi a riconoscere la Palestina.

Il nucleo centrale del possibile accordo, è – secondo indiscrezioni del Washington Post – un cessate il fuoco di 6 settimane nella Striscia in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi israeliani ancora nell’enclave palestinese e della liberazione di detenuti palestinesi (3 per ogni ostaggio israeliano come nei precedenti accordi). L’altro punto importante sarebbe una mediazione tra le due opposte richieste di Hamas e Israele. La fazione islamica vuole infatti il ritiro completo dell’esercito dalla Gaza, mentre Israele si oppone. Il punto di caduta – secondo il quotidiano Usa – sarebbe il riposizionamento «non permanente» dell’esercito israeliano lontano dalle aree densamente popolate della Striscia, accompagnato da un aumento degli aiuti umanitari a Gaza.

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La bozza di intesa include altre addizionali pause di 6 settimane nei combattimenti durante i quali Israele riavrebbe indietro i corpi di ostaggi uccisi da Hamas. Il premier Benyamin Netanyahu, incontrando una rappresentanza delle famiglie dei ostaggi, ha ribadito, in una conferma indiretta del negoziato in corso, «il suo impegno a riportare tutti a casa» ma ha sottolineato che i dettagli della possibile intesa devono restare riservati in modo da consentire al lavoro di procedere.

Il Gabinetto di guerra – è stato ricordato – ha già discusso della possibile intesa anche se ne deve esaminare a fondo i termini complessivi. Intanto il leader centrista Yair Lapid si è detto disponibile a entrare al governo fornendogli «una rete di protezione» se la destra radicale dei ministri Itamar Ben Gvir (Potere ebraico) e Bezalel Smotrich (Sionismo religioso) dovesse lasciare la coalizione di maggioranza ritenendo «irresponsabile» un accordo con Hamas che fermi in qualche modo il conflitto e preveda l’arretramento dell’esercito.

Nel 117/esimo giorno di guerra, Israele ha continuato le sue operazioni in tutta la Striscia ma specialmente nel sud. In un raid aereo mirato a Rafah, ad un passo dall’Egitto, è stata centrata un auto uccidendo 4 persone a bordo. Tra queste -secondo il portavoce militare israeliano – un «importante cambiavalute, al servizio della Jihad islamica». A Gaza, intanto, continua a salire il bilancio delle vittime con il ministero della sanità di Hamas, che non distingue tra civili e miliziani, che parla di 26.900 vittime e 65.949 feriti: nelle ultime 24 ore sono stati 150 gli uccisi.

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La Striscia è diventata «inabitabile», ha denunciato l’Onu le cui stime parlano della metà degli edifici di Gaza danneggiati mentre l’Oms denuncia che la «popolazione muore di fame». L’Unicef ha detto che nella Striscia ci sono circa 19.000 bambini rimasti orfani o soli senza alcun adulto che si prenda cura di loro. Ma contro l’Onu torna a scagliarsi Bibi che accusa l’Unrwa di essere «totalmente infiltrata da Hamas».

«Molti – ha detto Jonathan Crick, capo delle comunicazioni di Unicef Palestina – sono stati ritrovati sotto le macerie o hanno perso i genitori nel bombardamento della loro casa». Resta alta la tensione nel Mar Rosso dove gli Houthi hanno annunciato che «le forze navali hanno lanciato missili navali contro il cacciatorpediniere americano Uss Gravely». La coalizione anglo-americana ha invece bombardato postazioni militari nella regione settentrionale di Saada, roccaforte delle stesse forze Houthi. Nel frattempo a Bruxelles è in dirittura d’arrivo la missione Aspides che, secondo fonti Ue, potrebbe vedere la Grecia assumere il comando operativo.

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