La guerra a Gaza, l’”11 Settembre” d’Israele. Le sofferte riflessioni dell’ebraismo progressista mondiale.
“Come ebrei siamo devastati dalla brutalità dell’orripilante eccidio compiuto di Hamas, un crimine contro l’umanità.
Allo stesso tempo, abbiamo dedicato gran parte della nostra vita alla difesa della democrazia, dei diritti umani, dell’uguaglianza nonché alla fine dell’occupazione come passo essenziale per rimediare al senso di disperazione nutrito dai palestinesi.
Nel contesto di questa guerra, il nostro desiderio di un Israele sicuro, protetto e pacifico e di uno stato palestinese giusto e vitale, genera tensioni all’interno delle nostre stesse comunità ebraiche. Quelli come noi che mostrano empatia per la sofferenza di civili palestinesi sono spinti al silenzio. Come attivisti per la pace la nostra rete di sicurezza è data dai valori democratici che sostengono i diritti umani di coloro che sono in pericolo.
Tracciamo una linea chiara tra la brutalità disumana e gli obiettivi di Hamas di cancellare gli ebrei e negare il diritto di Israele ad esistere – e le sofferenze della maggior parte dei palestinesi, musulmani o cristiani, che sono essi stessi oppressi dalla violenza fondamentalista di Hamas. Israele non può eliminare il movimento nazionale palestinese; senza una soluzione ragionevole e una fine del regime di occupazione non vi sarà mai un orizzonte di pace.
Condividiamo le preoccupazioni espresse dagli israeliani riguardo alle posizioni anti-israeliane espresse nelle università e nelle città degli Stati Uniti e dell’Europa. In alcuni casi la violenza non è stata condannata, affermando che terze parti non hanno il diritto di giudicare le azioni degli oppressi; altri hanno sottovalutato la gravità del trauma che affligge Israele, sostenendo che Israele stesso ha prodotto con le sue azioni una tale tragedia. Per altri un giorno così infame è stato un motivo perverso per celebrare l’orrore.
Siamo solidali con associazioni e volontari della società civile in Israele che lavorano instancabilmente per aiutare i cittadini ebrei e arabi e proteggerli dalla violenza degli estremisti delle due parti.
Ci schieriamo con le organizzazioni israeliane per i diritti umani, ebraiche e arabe, che fanno appello al rilascio di tutti gli ostaggi, alla fine dei bombardamenti sui civili in Israele e a Gaza e ai danni provocati alle vite e alle infrastrutture. Le parti di un conflitto armato hanno sempre l’obbligo di proteggere i civili, anche quando i loro oppositori non lo fanno perché le leggi di guerra sanciscono principi fondamentali dell’umanità che non sono negoziabili.
Ciò che è accaduto il 7 ottobre 2023 ha scosso Israele provocando un trauma immane. Ma anche in un impeto di rabbia e frustrazione, il paese non deve perdere la coscienza e un punto di riferimento etico”.
Il Comitato di coordinamento della rete J-Link:
Ken Bob (Ameinu, U.S.A.)
Giorgio Gomel (JCall Europe, Italia)
Barbara Landau (JSpaceCanada, Canada)
Gabriella Saven (JDI, Sudafrica)
Alon Liel (Israele)
Shlomo Slutsky (J AMLAT, Argentina)
Aya Tamir-Regev (Australia)
Ashley Fishoff (JDI, Sudafrica)
J-Link è una rete internazionale di organizzazioni ebraiche progressiste che condividono l’amore per Israele ma anche una netta scelta di campo a favore della democrazia, dei diritti umani, del pluralismo religioso, nonché di una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese. Noi crediamo nei valori fondanti della Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato di Israele, che promette “la completa parità di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti, indipendentemente dalla religione, dalla razza o dal sesso”.
Una testimonianza nobile
Ne dà conto, in una bella intervista su La Stampa, Uski Audino.
“Mi auguro che un giorno si arrivi alla soluzione dei due Stati e forse questa sarà la volta buona» spiega Moshe Kahn, pluripremiato traduttore dall’italiano al tedesco, raggiunto al telefono nella sua casa di Berlino. Ebreo tedesco emigrato in Svizzera durante la II guerra mondiale e grande conoscitore della letteratura italiana e dell’Italia – dove ha vissuto 30 anni – Kahn ha tradotto Primo Levi, Pier Paolo Pasolini, Roberto Calasso, Andrea Camilleri, Luigi Malerba e molti altri.
[…] «[…] Un cessate il fuoco è necessario per due motivi, perché ci sono ancora tanti ostaggi nelle mani di Hamas e quindi è essenziale che le trattative proseguano, anche se la loro liberazione sarà difficile da ottenere. E perchè il dramma dei palestinesi innocenti coinvolti è una tragedia tremenda […] colpire Hamas ma non la popolazione civile, vittima di quell’organizzazione. […]».
Qual è il suo giudizio del governo Netanyahu dopo l’attacco di Hamas?
«Ho visto filmati sulla Bbc di quello che ha fatto Hamas perfino ai bambini, ai neonati. Ha tagliato braccia, teste. Ma come si può giustificare una cosa di questo genere? Non trovo nessuna spiegazione convincente. Quindi l’attacco era dovuto e Israele doveva assolutamente mettere fine a tutto questo».
Crede che la soluzione dei due Stati possa essere ancora praticabile?
«Potrebbe essere la volta buona che i politici israeliani capiscano che l’occupazione che dura da quasi 60 anni, dalla Guerra dei 6 giorni del 1967, è insostenibile. […] Nel dopo-guerra si dovranno iniziare trattative per una civile convivenza. […] Soltanto in una convivenza, l’odio si trasformerà con il passare del tempo in ragione. Sarà un processo lento, una decina d’anni almeno. Ma ci vuole giustizia e ragione per arrivare alla pace.
Intendo giustizia per i palestinesi, che devono riavere le terre rubate dai coloni».
Che cosa pensa del governo attuale di Israele?
«Ho sempre sostenuto che il pericolo per Israele, dalla prima Intifada in poi, viene dall’interno del Paese, non da fuori. Il pericolo non viene dagli Stati vicini, ma dai primi ministri di destra israeliani che non hanno a cuore il destino del Paese ma se stessi. Sono egocentrici, narcisisti come quest’ultimo, Benjamin Netanyahu. È da 30 anni in politica e non ha ottenuto niente, ha solo prodotto un odio maggiore. Il problema dei politici israeliani di destra è che non hanno fatto alcun passo avanti per facilitare la convivenza tra i due popoli, ma pensano solo a ingrandire Israele, favorendo l’estensione degli insediamenti con la giustificazione che 3000 anni fa Dio ha promesso loro quelle terre».
Qual è il problema di questo tipo di argomento?
«Intanto da allora è trascorsa una bella fetta di storia e non possiamo fare finta di non saperlo. Ma poi c’è anche la mancata conoscenza di un libro molto importante del Vecchio Testamento, il Libro dei Giudici (il cui episodio più noto è Sansone e Dalila) che racconta la storia tra gli ebrei e filistei, i palestinesi di allora. È un libro che nessuno conosce e che spiega l’antico disaccordo. Ecco, se si mette in campo la promessa di Dio di 3000 anni fa e si omette il Libro dei Giudici, allora è una visione della storia molto unilaterale».
E la sinistra israeliana che ruolo ha giocato?
«I governi laburisti hanno cercato in vari modi di arrivare ad un accordo con i palestinesi. […] i governi di destra israeliani sono votati in gran parte -e lo dico con amarezza – da immigrati russi e dai coloni americani che si comportano negli insediamenti come fossero nel Far West». […]
Rimuoverlo subito
Le considerazioni di Moshe Kahn si riflettono nell’editoriale di Haaretz. “ Il messaggio che Benjamin Netanyahu ha postato sui suoi account di social media dopo la mezzanotte di sabato, in cui – nel bel mezzo di una guerra – ha incolpato i capi dell’establishment della difesa per il fallimento del 7 ottobre, richiede la sua immediata rimozione come primo ministro. Dopo questo post, nonostante l’abbia cancellato la mattina seguente e si sia debolmente scusato, ogni israeliano, il presidente dello Stato, i membri della Knesset, i membri del gabinetto e i capi della difesa devono rendersene conto, una volta per tutte: Netanyahu deve continuare a essere il primo ministro in questo momento fatidico e significa giocare d’azzardo con il futuro di Israele.
Tutti i crimini politici di Netanyahu, che sono troppo numerosi per essere elencati in questa sede, sono nanizzati da questa azione sconsiderata contro i capi dell’establishment della difesa in tempo di guerra. “In nessun caso e in nessuna fase il Primo Ministro Netanyahu è stato avvisato delle intenzioni di Hamas di entrare in guerra”, ha scritto, prima di puntare i suoi dardi avvelenati sui bersagli prescelti: “Ogni funzionario della sicurezza, compresi i capi dell’intelligence militare e il capo dello Shin Bet [servizio di sicurezza], credeva che Hamas fosse scoraggiato e cercasse un accordo. Questa era la valutazione presentata più e più volte al primo ministro e al gabinetto di sicurezza da tutti i funzionari della difesa e della comunità di intelligence, fino allo scoppio della guerra”.
Le sue scuse sono prive di significato. Non sono nate né per rammarico né in risposta al rimprovero di Benny Gantz, che più volte è disposto a sacrificare la sua vita politica per cercare di salvare Israele dal leader più irresponsabile della storia dello Stato. Netanyahu si è scusato perché il messaggio è stato recepito, la missione è stata compiuta, la carica della sua “macchina del veleno” è stata completata con successo, i portavoce hanno capito bene chi doveva essere preso di mira e chi doveva essere pubblicamente diffamato.
Ora può cancellare il post, tornare a fingere di essere apartitico e responsabile e fare appello all’unità: Scusarsi e continuare a mentire sul “pieno sostegno a tutti i capi delle forze di sicurezza”. Cosa ne sa Netanyahu del sostegno, e qual è il valore delle scuse di una persona così cinica e priva di ogni coscienza o bussola morale.
Guai allo Stato che è guidato da lui nel momento più difficile della sua storia. Guai ai soldati e ai civili, le cui vite sono nelle sue mani.
Poiché non ci si può aspettare che una persona del genere faccia la cosa giusta e si dimetta, un concetto che gli è completamente estraneo, o che si assuma le proprie responsabilità, un concetto che va oltre la sua comprensione, i suoi colleghi di partito e di coalizione devono farlo per lui. Non c’è bisogno di spiegare loro la portata del momento e la posta in gioco.
Netanyahu deve essere rimosso dal potere immediatamente, con un voto di sfiducia costruttivo. Yoav Gallant, Yoav Kisch, Gila Gamliel, Yuli Edelstein, Danny Danon, Nir Barkat, Miki Zohar, Avi Dichter, Arye Dery, Moshe Arbel, il futuro del Paese è nelle vostre mani: Date prova di responsabilità in questo momento fatidico e fate la cosa giusta”.
Le manovre sul campo di battaglia
Di grande interesse è l’analisi di Pietro Batacchi, direttore di Rid, (Rivista italiana difesa), tra i più preparati analisti militari italiani:
“Iniziate su più larga scala nella notte tra il 27 ed il 28 ottobre, le operazioni terrestri israeliane nella Striscia di Gaza sono in via di espansione.
In particolare, le IDF sembrano aver consolidato la propria presenza nel nord di Gaza, lungo 3 direttrici: verso Beit Hanoun e Beit Lahia, e lungo la fascia costiera dove i MERKAVA della 401ª Brigata corazzata sono avanzati per 3 km.
Beit Hanoun, pesantemente colpita e livellata dall’Aeronautica israeliana in 3 settimane di attacchi aerei, e Beit Lahia sono tradizionalmente 2 roccaforti di Hamas e sono di fatto i 2 bastioni a protezione della cintura nord di Gaza City. Gli Israeliani impiegano carri MERKAVA, assaltatori cingolati del Genio PUMA e bulldozer D9, mentre la fanteria garantisce la protezione sui fianchi e gli UAV la ricognizione armata: onnipresente e persistente. Si cerca di pulire il più possibile l’area e di “chiamare” fuori dai “buchi” i miliziani di Hamas per colpirli poi con il fuoco di precisione dell’artiglieria, impiegando soprattutto i razzi guidati ACCULAR sparati dagli MLRS MENATETZ e dai lanciarazzi 6×6 PULSE (freschi di ingresso in servizio), e gli elicotteri d’attacco APACHE. I Palestinesi rispondono con cecchini e armi controcarro, KORNET e AL YASSIN, con tiri di mortaio e pure con i droni suicidi fatti in casa AL ZOUARI. La resistenza sembra dura, e per tutta la giornata di oggi sono stati segnalati scontri in quest’area, compresa un’imboscata di miliziani di Hamas, condotta attraverso un tunnel nell’area del valico di Erez e, pare, neutralizzata. Non si ha idea delle perdite nei rispettivi campi anche se stanotte almeno 2 soldati delle IDF sono stati feriti gravemente, vittima di un IED, ed evacuati.
Tra il 27 e il 28 ottobre le Idf sono entrate anche nel settore centrale della Striscia, Al Burej, ma pare che l’incursione si sia poi conclusa con il rientro dietro la barriera che separa il territorio dello Stato Ebraico da Gaza. L’obbiettivo dei Comandi israeliani potrebbe essere preparare il terreno per un’operazione più vasta e profonda oppure agire in maniera più progressiva e metodica cinturando via, via i centri abitati, condurre incursioni con forze speciali e commando, e colpire con artiglieria e droni. Il concetto è quello del kill box: più sei vicino all’avversario migliore è la tua intelligence e più efficace è il tuo fuoco su obbiettivi puntuali e dinamici. Insomma, da dentro si rischia di più, ma sia ha più grip sul dispositivo avversario. Naturalmente per fare questo occorre tempo, ma Israele questa volta tempo ce l’ha ed è disposta ad accettare un rischio che prima del 7 ottobre 2023 sarebbe stato inimmaginabile.
Intanto, sul fronte nord, oggi è stata una giornata di scontri, forse una delle più dure fin qui: Hezbollah attacca con mortai e lanciando missili anticarro contro le postazioni israeliane lungo la Linea Blu, e lanciando qualche razzo (pochissimi…considerando la vastità dell’arsenale del Partito di Dio; su questo imperdibile approfondimento su RID 12/23). Nel pomeriggio di oggi sono stati lanciati una ventina di razzi verso Kiriyat Schmina, Naharyia e Beeri: in gran parte intercettati o ricaduti in aree aperte, mentre 2 hanno colpito alcune abitazioni a Kiriiyat Schmona, ma senza fare vittime. Israele risponde soprattutto con artiglieria, che dimostra tempi di reazione pazzeschi ed un’ottima integrazione con i droni, con raid aerei mirati e con strike preventivi di UAV in orbita costante e persistente. Per ora siamo sulla proporzionalità: per ora…”.
