Tunisia: oltre i migranti l'autocrate Saied respinge ancora gli europarlamentari

Gli europarlamentari possono restarsene a Bruxelles. L’autocrate di Tunisi non li vuole vedere. Un esercizio di potere che l’Europa ingoia, come sempre.

Tunisia: oltre i migranti l'autocrate Saied respinge ancora gli europarlamentari
Kais Saied
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Settembre 2023 - 15.06


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Gli europarlamentari possono restarsene a Bruxelles. L’autocrate di Tunisi non li vuole vedere. Un esercizio di potere che l’Europa ingoia, come sempre.

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Visita rinviata

presidente tunisino Kais Saied “ha deciso di incaricare il ministero degli Esteri, dell’Immigrazione e dei tunisini all’estero, di informare la parte europea della decisione di rinviare la prevista visita di una delegazione della Commissione Europea nel nostro Paese ad una data successiva da concordarsi tra le due parti”. 
E’ quanto si legge in un comunicato della presidenza tunisina pubblicato su Facebook.

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Nel comunicato non vengono precisate le ragioni della richiesta di rinvio, ma i media tunisini notano che Saied ha comunicato la decisione durante una riunione del Consiglio di sicurezza, nel corso della quale ha ribadito di «non voler cedere la neanche la minima parte di sovranità nazionale», sottolineando che si dovrà fare affidamento sulle proprie risorse per finanziare il bilancio dello Stato. 

Lo scorso 14 settembre, il ministero degli Esteri aveva negato l’accesso in Tunisia ad una delegazione della Commissione esteri del Parlamento europeo, che prevedeva di effettuare una visita di due giorni La decisione giunge a pochi giorni dall’annuncio della stessa Commissione dello stanziamento di 127 milioni di euro alla Tunisia nell’ambito del Memorandum d’intesa Ue-Tunisia firmato a luglio.  A sostegno dell’attuazione del memorandum d’intesa con le autorità tunisine la Commissione europea ha annunciato venerdì scorso 60 milioni di euro in aiuti sostegno al bilancio per la Tunisia e un pacchetto di assistenza operativa sulla migrazione per circa 67 milioni di euro, che saranno esborsati nei prossimi giorni.

Evidentemente il “gendarme di Tunisi” vuole alzare il prezzo per il lavoro sporco – respingimenti, campi di detenzione e altre nefandezze del genere – che dovrebbe compiere al posto della “civile” Europa.

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La scommessa di Giorgia è ancora in alto mare

Annota, per EuropaToday Alfonso Bianchi: “Con lo sblocco della prima tranche dei soldi del memorandum tra l’Unione europea e la Tunisia, l’Italia di Giogia Meloni spera che il Paese nord africano guidato da Kais Saied possa iniziare finalmente a fermare i flussi di migranti diretti verso le nostre cose. Ma non sarà certo facile né immediato e le incognite sono ancora diverse, e chi spera che questo accordo avrà lo stesso effetto di quello che si raggiunse con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan del 2016 rimarrà deluso. Così come chi parla di blocco navale, come Matteo Salvini, senza che si arrivi a un accordo europeo per una missione sul modello di Sophia, sta solo “illudendo gli italiani”, come ha ammesso lo stesso vicepremier Antonio Tajani.

Venerdì scorso è arrivato l’ok all’esborso da parte di Bruxelles di 127 milioni di euro per la Tunisia, ma di questi 67 sono legati a vecchi accordi, tra cui quello per aiutare la ripresa post-Covid, e non al nuovo memorandum. È chiaro però che il fatto che siano stati finalmente sbloccati adesso non è una coincidenza, ma l’effetto dell’esborso di questi finanziamenti sui flussi si vedrà solo col tempo (se si vedrà). “Quello che dobbiamo fare è creare le capacità nella nazione per migliorare i controlli sia terresti che marittimi e al momento stiamo discutendo di quali asset sono necessari per farlo”, ci spiegano fonti diplomatiche Ue. “Per fare prima si sta pensando di fornire materiale di seconda mano, anche imbarcazioni rimesse a posto, per assicurare le forniture in tempi rapidi. Altrimenti se dovessimo fornire solo mezzi nuovi potremmo dover aspettare fino alla fine del 2024 e non ce lo possiamo permettere”, continuano le fonti.

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Alla nazione dovrebbero essere consegnate 17 imbarcazioni ri-equipaggiate e otto nuove, ma non solo. “Daremo ai tunisini quello che ci chiedono di potergli dare, non ci saranno armi, ma oltre alle imbarcazioni si parla di strumenti come motori e altre attrezzature, benzina e ovviamente formazione, che pure è molto importante. Cercheremo di assicurare qualcosa che sia utilizzabile in tempi rapiti”. Ma uno dei problemi che si devono superare è il fatto che la Tunisia non abbia mai istituito una zona Sar (Search and rescue), una zona di salvataggio e assistenza di competenza esclusiva della nazione, il che potrebbe non obbligare la Guardia costiera locale a interventi in caso di emergenza. “Dovrebbero crearla e creare anche un centro di coordinamento marittimo Mrcc (Maritime Rescue Coordination Centre, ndr), che serve a inserirli nel lavoro di coordinamento con altre autorità di altri Paesi”, si augura la fonte.

Il lavoro quindi, è proprio il caso di dirlo, è ancora in alto mare, e anche parlare di blocco navale non ha alcun senso. “Avere una missione navale, anche europea, che non abbia capacità di lavorare in accordo con le autorità tunisine non serve a molto. Dobbiamo assicurarci che l’identificazione e l’intercettazione di chi parte sia fatta nelle acque territoriali della Tunisia, e Meloni sa che non si può fare senza un accordo con le autorità locali”, un accordo che deve anche essere messo in pratica. L’Europa è anche preoccupata per le capacità di controllo dei confini terresti al sud, quelli con Algeria e soprattutto Libia, due nazioni che confinano con i Paesi del Sahel, le principali rotte dei flussi migratori. Si tratta di Paesi che sono stati sconvolti recentemente da colpi di Stato come quelli in Niger, Mali e Burkina Faso, colpi di Stato che rischiano di far peggiorare la situazione.

“Visto quello che sta accadendo in Sahel serve aiutare la Tunisia a controllare le frontiere terrestri. Il Niger era tra i Paesi che collaborava di più su rimpatri assistiti, in accordo con Iom e Unhcr, per aiutare a ridurre le partenze, ma se la situazione continua ad essere così drammatica, c’è il timore che ci sia una spinta sempre più forte ad emigrare da quelle zone del mondo su cui si innestano gli interessi della criminalità organizzata”, denunciano le fonti. Per attuare i rimpatri non dimentichiamo poi che servono accordi con i Paesi di origine, e pure su quello l’Europa si sta muovendo, ma non sarà automatico. Proprio a questo scopo il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, ha intrapreso una missione in Africa occidentale, partendo da Costa d’Avorio, Guinea e Senegal, per discutere di cooperazione in particolare in materia di mobilità e migrazione”.

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Quel Memorandum va cancellato

A elencarne le fondate ragioni è un report dell’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione)

“In generale, quando si parla di Memorandum con la Tunisia, bisogna capire che il problema è principalmente che, a differenza di quanto accadde con la Turchia nel 2016, qui si tratta di costruire una capacità di controllo quasi da zero. “Erdogan è a capo di un Paese che controlla in maniera capillare e forte, e quindi aveva la possibilità di garantire dei risultati, l’impressione è che la Tunisia sia invece un Paese che deve essere aiutato a essere stabilizzato, un Paese che non ha fondi e mezzi per controllare il suo stesso territorio”, ricordano le fonti. E questo complica l’intero piano.

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Non c’è nulla di reale nelle dichiarazioni di rispetto del diritto internazionale, dei diritti umani e della dignità delle persone, contenute nelle poche pagine del Memorandum of Understanding siglato il 16 luglio scorso tra l’UE e la Tunisia di Kais Saied. 

Che la situazione economica e politica della Tunisia sia drammatica, e che sia importante l’impegno solidale dell’Europa, è certamente un aspetto evidente e condiviso. Ma è altrettanto evidente che il Memorandum tra UE e Tunisia non si pone questo come obiettivo principale, ma si concentra piuttosto sulla questione migratoria, mettendo gravemente a rischio il rispetto del diritto internazionale, dei diritti umani e della dignità delle persone migranti. 

Così come è già successo con la Turchia di Erdogan e con la Libia delle milizie, l’UE, per cercare di contenere gli arrivi sulle coste italiane e d’Europa, finanzia un regime che ha cancellato le garanzie democratiche al proprio interno. E lo fa senza porre alcuna concreta condizionalità sul rispetto dei diritti umani fondamentali, al di là della consueta formula nel testo che ormai risuona più come un vuota clausola stilistica, quando il quadro in cui si opera ha recentemente visto il presidente Saied sciogliere il Parlamento tunisino, scatenare una vera e propria caccia allo straniero nei confronti dei migranti sub-sahariani, e infine deportare illegalmente ai confini con la Libia e con l’Algeria centinaia di persone in transito verso l’Europa, causando la morte di molte di loro, incluse donne e bambini, e violando quel diritto internazionale che lo stesso Memorandum richiama. 

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Niente di tutto ciò sembra essere stato preso in considerazione dalla presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. Peraltro, la UE non ha nemmeno ottenuto l’apertura incondizionata sperata, visto che Kais Saied ha dichiarato che non intende creare sul suo territorio centri per migranti non tunisini eventualmente respinti dall’Europa, e che il suo principale interesse è tutelare i suoi confini. Non i nostri. 

Il Memorandum of Understanding è una lista di dichiarazioni di impegni su molti argomenti. Come nel caso dell’accordo con la Turchia e del Memorandum con la Libia, si tratta di un documento privo di valore legale, e del tutto genericosia rispetto alle azioni da intraprendere che all’ammontare e all’origine dei fondi che saranno spesi. Si dipinge un quadro più che allarmante per la tutela dei diritti umani, in un contesto opaco e di cui è sempre più difficile chiedere conto nelle sedi opportune.

Ovviamente l’unico vero obiettivo dell’Europa, e in particolare della nostra presidente del Consiglio, presente alla firma a Tunisi, è impedire alle persone – tunisine e provenienti da altri paesi – di partire. L’unica strategia dell’UE e del governo italiano è rilanciare la retorica dell’invasione: mettere in campo ingenti risorse, pagate dai contribuenti europei, per presentarsi come difensori delle frontiere e degli interessi dell’Unione e dei suoi stati membri. 

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Il Memorandum parla anche del rafforzamento delle operazioni di ricerca e salvataggio: l’Europa fornirà nuovi assetti e strumenti alla Guardia Costiera tunisina che, secondo numerose testimonianze, utilizza modalità estremamente violente e pericolose durante le intercettazioni in mare  che in alcuni casi hanno portato alla morte delle persone in viaggio. I respingimenti in Tunisia, facilitati dai finanziamenti europei, sono inoltre da ritenersi illegittimi alla luce delle condizioni del Paese che ormai non si può più considerare sicuro ai sensi del diritto internazionalee in cui la vita dei migranti è in pericolo. Per quanto riguarda le vie d’accesso legali in Europa citate nell’intesa, paiono riferirsi solamente ai cittadini tunisini, nella consueta logica di scambio delle politiche di esternalizzazione delle frontiere. E come già successo in passato, è possibile che queste parole  scadano in retorica, perché non sono indicate risorse e programmi attuativi.

È bene ricordare che l’UE continua ad essere una delle aree del pianeta meno investite da flussi straordinari di persone in cerca di protezione e che l’Italia è solo al 13° posto in Europa per numero di migranti accolti in relazione alla popolazione residente(Unhcr Global Trens 2022). È utile altresì sottolineare come di canali d’accesso legali e sicuri per persone in cerca di protezione non c’è traccia negli atti del governo italiano e dell’UE, e che è proprio la loro assenza a produrre i viaggi sia via mare sia via terra.

L’Unione europea continua ad adottare politiche miopi, inefficaci e dannose senza affrontare il fenomeno migratorio in modo strutturale. Questo accordo rappresenta un colpo durissimo al futuro dell’UE, ai diritti di migliaia di persone che fuggono da guerre, violenze, cambiamenti climatici e insicurezza alimentare, alla solidarietà e alla civiltà del diritto.

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Per questo chiediamo al Parlamento italiano e a quello europeo di condannarlo con fermezza”.

“La Tunisia –  incalza la Cgil – è uno Stato che vive una crisi democratica, il dissenso e la protesta sono criminalizzati, il nazionalismo e il razzismo sono i nuovi tratti identitari, basti pensare a quanto viene riservato ai migranti sub-sahariani”. “L’obiettivo dichiarato più volte nel testo del memorandum e dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è quello di combattere il traffico illegale di persone e non – sottolinea la Confederazione – di eliminare le cause delle migrazioni forzate, di costruire canali di migrazione legale e di investire nello sviluppo locale, con priorità alle zone maggiormente povere. Tra le finalità, invece, compaiono: attrezzare la guardia costiera a reprimere le partenze, accordando, la piena collaborazione per rimpatriare tutti coloro che riusciranno ad attraversare il Mediterraneo”.

“Nulla si dice – prosegue la Cgil – della necessità di regolarizzare chi è in Italia e in Europa per eliminare sfruttamento e condizioni di vita disumane, permettendo così a queste persone di riconquistare diritti e dignità e contribuire con il proprio lavoro regolare a sostenere anche il Paese di accoglienza”. “Crediamo che l’Unione europea avrebbe dovuto imporre delle condizionalità per il ripristino del rispetto dei diritti umani universali, per le libertà civili e sindacali, per la pace e la sicurezza, purtroppo – conclude la Confederazione – nulla di tutto ciò viene garantito dalla Repubblica Tunisina”.

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“I tre accordi che l’Italia ha stretto con Tunisia, Libia e Turchia non hanno al centro la dignità dei migranti, ma i nostri interessi, la nostra tranquillità, il nostro profitto. E non salvaguardano la persona cui va garantita anche la libertà di movimento se ci consideriamo uno Stato democratico”, avverte  l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Gian Carlo Perego,  presidente della Commissione episcopale Cei per le migrazioni e della Fondazione Migrantes.

Ma per l’Europa (e per l’Italia meloniana ) tutto ciò conta poco o nulla. L’importante è impedire l’”invasione” che non c’è ma che, specie alle viste di nuovi appuntamenti elettorali, va propagandata. I morti, le vite spezzate, gli abusi, le torture, gli esseri umani ridotti a pacchi postali, “carichi residuali” etc, sono “effetti collaterali”. Come i civili morti nelle guerre. Più che Fortezza-Europa, è Vergogna-Europa. 

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