Tunisia, incorreggibile Meloni: continua a sostenere il presidente autocrate e razzista

Non bastano le foto scioccanti di donne, uomini, bambini morti di stenti nel deserto ai confini tra Tunisia e Libia ma Meloni continua a sostenere Saied

Tunisia, incorreggibile Meloni: continua a sostenere il presidente autocrate e razzista
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Agosto 2023 - 14.29


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Niente da fare. Non bastano le foto scioccanti di donne, uomini, bambini morti di stenti nel deserto ai confini tra Tunisia e Libia. Non bastano i video, i report che inchiodano le forze di polizia e l’esercito tunisini per aver portato a forza centinaia, forse migliaia di esseri umani nel deserto per abbandonarli al loro destino.  Niente da fare. Giorgia Meloni continua a puntare sull’autocrate razzista di Tunisi: il presidente Kais Saied.

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Aumentare gli sforzi…

Da un lancio Ansa di ieri: “Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto oggi una conversazione telefonica con il Presidente della Repubblica di Tunisia, Kais Saied. Al centro dei colloqui le relazioni bilaterali e la gestione dei flussi migratori alla luce della emergenza che continua a colpire entrambi i Paesi. Si è convenuto sulla necessità di continuare ad aumentare gli sforzi a tutto campo per rafforzare la lotta contro la migrazione illegale. Il Presidente Meloni ha assicurato il costante sostegno alle Autorità tunisine da parte italiana e nel contesto europeo». Lo riferisce una nota di Palazzo Chigi”.

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Nessun riferimento ai morti nel deserto. Tantomeno ai diritti umani quotidianamente calpestati dal regime di Saied. Ciò che si chiede al “gendarme” di Tunisi è di essere più incisivo nel fare il lavoro sporco al posto nostro: più respingimenti in mare, pugno di ferro contro i migranti e via di queste nefandezze.

Crisi continua

L’attivista per i diritti umani e capo della ong Osservatorio tunisino per i diritti umani, Mustapha Abdelkebir, ha messo in guardia contro una rinnovata crisi dei migranti africani alla frontiera dopo che un gruppo di 140 migranti è entrato lo scorso sabato notte a Tataouine, mentre un altro il gruppo è rimasto bloccato al confine.  In una dichiarazione su Facebook, Abdelkabir ha affermato che ogni giorno decine di migranti attraversano il confine con la Tunisia e ha denunciato la morte di due migranti caduti in un profondo pozzo di un’azienda a Ben Guerdane mentre attraversavano la frontiera.  Secondo il capo dell’Osservatorio tale situazione potrebbe aggravarsi a causa della mancanza di coordinamento tra la parte tunisina e quella libica e la mancata attuazione da parte di quest’ultima del recente accordo tra i due Paesi per salvare i migranti africani e impedire loro di attraversare il confine, dalla Tunisia alla Libia e viceversa.

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Centinaia di migranti provenienti da Paesi africani erano rimasti bloccati alla frontiera nei mesi scorsi, la situazione poi si era risolta grazie all’intervento delle autorità tunisine e libiche, in particolare attraverso l’intervento della Mezzaluna Rossa tunisina per quanto riguarda la Tunisia.

 Bilancio di due anni 

Nel secondo anniversario, lo scorso 24 luglio,  dell’assunzione di pieni poteri da parte del presidente Kais Saied, Amnesty International ha ricordato che le autorità della Tunisia hanno inasprito la repressione incarcerando decine di oppositori politici e di figure critiche nei confronti del potere, violando l’indipendenza del potere giudiziario, smantellando le garanzie istituzionali sui diritti umani e incitando alla discriminazione nei confronti dei migranti.

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“Decreto dopo decreto, colpo dopo colpo, dal luglio 2021 il presidente Saied e il suo governo hanno gravemente compromesso il rispetto dei diritti umani. Sono state annullate libertà per le quali i tunisini e le tunisine avevano lottato duramente e si è rafforzato il clima di repressione e impunità. Le autorità tunisine devono invertire questa pericolosa traiettoria e rispettare i loro obblighi internazionali in materia di diritti umani”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

Opposizione politica soffocata

Dal febbraio 2023 le autorità hanno preso di mira oppositori politici, voci critiche e persone percepite come nemiche del presidente Saied attraverso indagini fasulle e arresti.

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In uno dei casi più noti, le autorità hanno aperto un’indagine nei confronti di almeno 21 persone – tra le quali oppositori politici, avvocati e imprenditori – per l’infondata accusa di “cospirazione contro lo stato”. Almeno sette di loro sono detenute arbitrariamente a causa del loro attivismo politico o delle opinioni espresse in pubblico, come i due esponenti politici dell’opposizione Jaouhar Ben Mbarek e Khayam Turki.

Particolarmente preso di mira è stato Ennahda, il principale partito di opposizione. Almeno 21 suoi esponenti sono sotto indagine e di essi 12 sono in carcere. Nell’aprile 2023 è stato arrestato Rached Ghannouchi, leader di Ennahda e presidente del disciolto parlamento. Accusato di “cospirazione contro lo stato” e “tentativo di cambiare la natura dello stato”, il 15 maggio 2023 è stato condannato da un tribunale antiterrorismo a un anno di carcere per un discorso fatto durante un funerale, in cui aveva definito il deceduto “un uomo coraggioso” che non aveva avuto paura “di fronte a un dominatore o a un tiranno”.

Attacchi alla libertà d’espressione

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Dal 25 luglio 2021 Amnesty International ha documentato almeno 39 casi di persone indagate o processatesolo per aver esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione. Le accuse vanno dall’“offesa alle autorità” alla “diffusione di notizie false”, che non sono reati riconosciuti dal diritto internazionale.

Nel settembre 2022 il presidente Saied ha emanato il decreto legge 54, una durissima normativa sui reati informatici, che conferisce alle autorità ampi poteri di colpire la libertà d’espressione in rete. La legge è stata usata per avviare indagini contro almeno nove persone – tra le quali giornalisti, avvocati e attivisti politici – per commenti critici nei confronti del presidente Saied e della prima ministra Najla Bouden.

Discriminazione nei confronti di migranti e rifugiati

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Nel febbraio 2023 una serie di dichiarazioni xenofobe e razziste del presidente Saied hanno provocato, nelle due settimane successive, un’ondata di violenza contro i neri, con conseguenti aggressioni, sgomberi sommari e arresti arbitrari di persone provenienti dall’Africa subsahariana. La polizia ha arrestato almeno 840 persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate.

A maggio, la tensione razziale nella città di Sfax è culminata nella morte di un migrante. A luglio, è morto anche un tunisino. Dopo questo episodio, le autorità hanno sgomberato decine di migranti e richiedenti asilo subsahariani spingendoli in Libia.

“Le autorità devono prendere provvedimenti immediati per proteggere i diritti dei cittadini stranieri subsahariani, porre fine agli arresti arbitrari e alle espulsioni senza considerare se, una volta rimpatriati, subiranno persecuzioni”, ha sottolineato Morayef.

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In pericolo le conquiste del 2011

Nel febbraio 2022 il presidente Saied ha accusato i gruppi della società civile di essere al servizio di interessi di potenze straniere e ha annunciato l’intenzione di mettere al bando “il ricevimento di fondi dall’estero”. Le autorità hanno fatto trapelare dettagli di una nuova norma restrittiva sulla costituzione di nuove associazioni che, se adottata, eliminerebbe importanti protezioni del diritto alla libertà d’associazione. Si tratterebbe di un emendamento al decreto legge 2011-80, che garantisce ai gruppi della società civile il diritto di esistere e operare liberamente.

Il presidente Saied ha compromesso l’indipendenza del potere giudiziario attraverso l’emanazione di due decreti legge che gli hanno conferito il potere di intervenire nelle carriere dei giudici e dei magistrati e anche quello di licenziarli arbitrariamente. Il 1° giugno 2022, infatti, 57 giudici sono stati licenziati per accuse vaghe e politicamente motivate di terrorismo, corruzione morale ed economica, adulterio e partecipazione a “feste a base di alcool”.

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Il 25 luglio 2022 il presidente Saied ha consolidato il suo potere dopo l’adozione, a seguito di un referendum, di un testo di Costituzione da lui proposto e redatto con procedure sommarie e senza consultare i gruppi della società civile o i partiti. La nuova carta costituzionale aumenta i poteri di Saied e indebolisce l’indipendenza del potere giudiziario, minacciando di portare indietro la Tunisia ai livelli di repressione precedenti il 2011.

“Le autorità tunisine devono immediatamente porre fine al giro di vite nei confronti dei diritti umani che sta seriamente compromettendo i risultati, ottenuti con grande fatica, della rivoluzione del 2011. Tra le prime azioni da intraprendere: la scarcerazione di tutte le persone detenute arbitrariamente, la fine delle indagini e dei processi contro gli oppositori politici, gli attivisti per i diritti umani e altre persone solo per aver esercitato i loro diritti alla libertà d’espressione e di riunione pacifica”, ha concluso Morayef.

Ecco chi è Kais Saied. Ma questo  i securisti al governo in Italia lo sanno bene. Ma non gliene frega niente. 

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Ma c’è chi dice no.

 Sono 379 i ricercatori e i membri della società civile del Sud e del Nord del mondo a firmare una lettera contro il “Memorandum d’intesa su un partenariato strategico e globale tra l’Unione europea e la Tunisia“, firmato il 16 luglio 2023, contro le politiche di esternalizzazione delle frontiere dell’UE, contro le dichiarazioni anti-migranti fatte dal presidente Kaïs Saïed, dal ministero dell’Interno, dal ministero degli Affari esteri e da diversi membri dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo.

L’opportunismo dell’Unione Europea 

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Sebbene l’allineamento della Tunisia alle politiche di esternalizzazione delle frontiere dell’UE sia stato a lungo documentato – si legge nella lettera – denunciamo ciò che oggi consideriamo un pericoloso punto di svolta nell’approvazione di queste politiche e dei presupposti razzisti che le sostengono. Le autorità tunisine hanno mostrato sempre più la loro determinazione a rafforzare un sistema di esclusione e sfruttamento dei cittadini dei paesi dell’Africa subsahariana. Invece di condannare questa escalation razzista, basata sui discorsi populisti e complottisti che caratterizzano l’attuale deriva autoritaria del Paese, i rappresentanti europei stanno strumentalizzando la cosiddetta migrazione irregolare presentandola come una “piaga condivisa”. L’UE sta quindi sostenendo opportunisticamente e irresponsabilmente le posizioni del presidente e alimentando l’odio contro i migranti e contro i neri, con la scusa di aiutare la Tunisia a proteggere i propri confini.

Le bugie sulle migrazioni

 Esprimiamo la nostra piena solidarietà alle persone in movimento e respingiamo ogni incitamento all’odio su entrambe le sponde del Mediterraneo. Come ricercatori e membri della società civile che lavorano su questi temi, desideriamo anche contrastare la disinformazione diffusa da alcuni politici, giornalisti e individui che si spacciano per accademici tunisini, i quali espongono argomenti razzisti privi di qualsiasi base fattuale. C’è un urgente bisogno di interrogarsi sui motivi per cui le popolazioni vulnerabili vengono utilizzate come capro espiatorio per mascherare i fallimenti del mantenimento dell’ordine pubblico in Tunisia. I cittadini dei paesi dell’Africa subsahariana non stanno “affliggendo” il Paese.

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I naufragi

 Il discorso del Presidente del 21 febbraio 2023 in cui ha parlato di “orde di migranti subsahariani” che minacciano la “composizione demografica” del Paese, ha scatenato violenti attacchi contro i neri, ma anche diffusi arresti arbitrari, sgomberi improvvisi e licenziamenti. Mentre diverse ambasciate organizzavano voli di rimpatrio, molte persone sono fuggite via mare: il numero di naufragi e di morti e sparizioni al largo delle coste tunisine è aumentato drammaticamente durante questo periodo. Alcune centinaia di persone stanno ancora tenendo un sit-in davanti agli uffici dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati a Tunisi, chiedendo di essere evacuate o reinsediate in Paesi sicuri.

I raid contro i migranti

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All’inizio di luglio questi attacchi si sono intensificati nella città di Sfax in seguito all’uccisione di un cittadino tunisino, attribuita a un africano sub-sahariano, preceduta dall’accoltellamento e dalla morte di un uomo del Benin. Le forze di sicurezza hanno aumentato i loro raid a Sfax, deportando almeno 1.200 cittadini subsahariani ai confini con Libia e Algeria, in zone desertiche inaccessibili e militarizzate. Abbandonati nel deserto senza acqua e cibo, dopo essere stati spesso maltrattati, molti migranti deportati con la forza hanno condiviso immagini e video angoscianti. Queste gravi violazioni sono state smentite dal Ministero dell’Interno. Almeno 20 decessi sono stati confermati da varie fonti, ma il numero effettivo è probabilmente molto maggiore.

La disumanizzazione delle persone

Dietro le categorie intrise di razzismo come “subsahariani”, “africani” o “irregolari”, ci sono studenti, lavoratori, rifugiati e richiedenti asilo, persone che hanno raggiunto la Tunisia per cure mediche, persone che aspettano da anni il permesso di soggiorno, così come ci sono persone che non hanno potuto lasciare il Paese per rinnovare il visto. Questa diversità di background e status è resa invisibile, con il risultato di un’ulteriore emarginazione e disumanizzazione delle persone. Molti cittadini stranieri in Tunisia non sono in grado di regolarizzare il proprio soggiorno a causa di un quadro giuridico obsoleto e incoerente e di procedure amministrative lente e complesse. Come accade per molti tunisini in Europa, la loro mobilità è resa irregolare da leggi e pratiche che classificano i cittadini del continente africano come “desiderabili” e “indesiderabili”, e che criminalizzano una larga fetta della sua gioventù. Al contrario, la permanenza irregolare di migranti provenienti da Paesi occidentali – piuttosto diffusa in Tunisia – non è vista come un problema di sicurezza.

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La mancanza di politiche lungimiranti

Inoltre non vi sono prove suggeriscano che i lavoratori migranti siano responsabili del deterioramento dell’economia tunisina, come invece sostengono i discorsi xenofobi di alcune autorità. Come molti tunisini, i lavoratori stranieri sono infatti spesso sfruttati ed esposti ad alti livelli di insicurezza e vulnerabilità alimentare. L’attuale crisi in Tunisia è invece radicata nella mancanza di prospettive economiche, nelle ricadute delle politiche di austerità sostenute a livello internazionale, nella gestione del debito pubblico e nell’incapacità dello Stato di affrontare le disuguaglianze socio-economiche.

L’accordo con l’UE non tutela la sovranità tunisina 

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Il presidente Kaïs Saïed dice di difendere la sovranità della Tunisia e di non volere trasformare il Paese in un luogo di “reinsediamento” per i migranti espulsi dall’Europa. Tuttavia la sua adesione al memorandum – in cui l’UE si impegna a fornire sostegno finanziario a Tunisi per la gestione delle frontiere – dimostra che la Tunisia continuerà a impegnarsi pienamente a proteggere i confini dell’UE. Il Presidente mantiene quindi la stessa linea di condotta dei suoi predecessori, e potrebbe andare anche oltre, visto che l’accordo parla di un “sistema di identificazione e rimpatrio dei migranti irregolari già presenti in Tunisia nei Paesi di origine”. Ciò suggerirebbe lo sviluppo dell’approccio degli “hotspot”, ovvero i flussi migratori sono gestiti alle frontiere esterne dell’UE in paesi come la Tunisia, impedendo così alle persone in movimento qualsiasi accesso al continente europeo. Mentre il governo sostiene di rifiutare l’insediamento di cittadini sub-sahariani in Tunisia, questa linea di condotta comporterebbe di fatto il loro confinamento nel paese.

La mancanza di trasparenza

In linea con gli accordi sulla migrazione sottoscritti prima e dopo la rivoluzione del 2011 tra la Tunisia e l’UE, questo Memorandum è stato firmato in modo non trasparente, senza alcuna consultazione preventiva con membri del parlamento, sindacati o esponenti della società civile. Non prevede né garanzie specifiche per il rispetto dei diritti fondamentali, né disposizioni di controllo sull’utilizzo degli aiuti finanziari e materiali assegnati alle forze di sicurezza tunisine. L’UE sta quindi di fatto dando alla Tunisia un assegno in bianco. Finché non si affronteranno le cause strutturali della cosiddetta migrazione irregolare e finché l’accesso alla mobilità non sarà radicalmente ripensato, questo approccio di sicurezza alla gestione delle frontiere non fa altro che rendere più mortali le migrazioni e rafforzare i trafficanti.

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Le disuguaglianze

 Il memorandum si allinea ai modelli economici che alimentano le cause della migrazione e l’ampliamento delle disuguaglianze. Gli incentivi proposti dall’Ue, come l’agevolazione dei visti per “partnership qualificate”, sono già stati promessi alla Tunisia ma non si sono mai concretizzati. L’esternalizzazione dei confini dell’Europa colpisce quindi tutti coloro che sono ritenuti “indesiderabili” dall’UE: sia tunisini che altri cittadini del continente africano. Inoltre, il presunto desiderio del Memorandum di “preservare la vita umana” è poco credibile dato che quasi 27 mila persone sono morte o sono scomparse nel Mediterraneo dal 2014 a causa delle politiche dell’UE e di vari Stati membri che criminalizzano il salvataggio in mare.

Il diritto di emigrare

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L’unico modo per difendere gli interessi e la dignità dei tunisini e di tutte le altre persone in movimento presenti nel Paese è stabilire un dialogo costruttivo con i tunisini e gli stranieri interessati da queste politiche, nonché con le organizzazioni che li rappresentano, con i membri della società civile e con i ricercatori. Questi scambi dovrebbero dar luogo a una riflessione collettiva sulle alternative politiche all’attuale regime omicida delle frontiere, riconoscendo la migrazione come un diritto e come una risorsa per tutti.

La Tunisia che non rinnega i principi della “rivoluzione dei gelsomini” esiste, resiste, non si è arresa. E’ la “nostra Tunisia. Non quella di Saied e dei suoi fan a Roma. 

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