Kabul 15 agosto 2021-2023: il prezzo del tradimento pagato dal popolo afghano

Ricorda Amnesty International: “Dal 15 agosto 2021, quando hanno preso il potere in Afghanistan, i talebani hanno avviato una nuova era di violenze e violazioni dei diritti umani. Oggi, due anni dopo, il paese è sull’orlo di una rovina irreversibile.

Kabul 15 agosto 2021-2023: il prezzo del tradimento pagato dal popolo afghano
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Agosto 2023 - 18.59


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Afghanistan, 15 agosto 2021-15 agosto 2023.

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Il prezzo di un tradimento pagato dal popolo afghano

Ricorda Amnesty International: “Dal 15 agosto 2021, quando hanno preso il potere in Afghanistan, i talebani hanno avviato una nuova era di violenze e violazioni dei diritti umani. Oggi, due anni dopo, il paese è sull’orlo di una rovina irreversibile.

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I talebani, che sono le autorità di fatto del paese, hanno commesso un’infinità di violenze e violazioni dei diritti umani in totale impunità. 

In due anni, hanno sistematicamente smantellato le istituzioni chiave per la protezione dei diritti umani e represso la libertà di espressione, associazione, il diritto a un processo equo e altri diritti umani.

I diritti fondamentali delle donne e delle ragazze sono stati soppressi. Migliaia di persone sono state arbitrariamente arrestate, torturate, rapite e persino uccise: esponenti del giornalismo, dello sport e dell’arte, attiviste, difensori dei diritti umani, accademici e accademiche, minoranze religiose ed etniche restano particolarmente a rischio.

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I diritti umani sono sotto attacco su tutti i fronti. Mentre la popolazione afgana continua a sfidare questa tempesta, noi dobbiamo essere al suo fianco e difendere il suo diritto a vivere in libertà, dignità e uguaglianza.

«In due anni l’Afghanistan è diventato il paese più repressivo al mondo nei confronti delle donne. Anche le voci libere, le minoranze etniche e religiose, la comunità Lgbtqia+ vivono una realtà sempre più difficile». Lo scrive su Twitter Amnesty International Italia, pubblicando un approfondimento sulla situazione nel Paese asiatico a due anni dal ritorno al potere dei talebani. «Da quando hanno preso il potere in Afghanistan, i talebani hanno gettato il paese in una gravissima crisi dei diritti – spiega l’organizzazione nel Report – Era il 15 agosto del 2021 e da quel giorno la vita di donne, voci libere, minoranze etniche e religiose, persone della comunità Lgbtqia+ è diventata sempre più difficile».

Il report prosegue: «I talebani, che sono le autorità di fatto del paese, hanno commesso un’infinità di violenze e violazioni dei diritti umani in totale impunità. In due anni hanno sistematicamente smantellato le istituzioni chiave per la protezione dei diritti umani e represso la libertà di espressione, associazione, il diritto a un processo equo e altri diritti umani. I diritti fondamentali delle donne e delle ragazze sono stati soppressi. Migliaia di persone sono state arbitrariamente arrestate, torturate, rapite e persino uccise: esponenti del giornalismo, dello sport e dell’arte, attiviste, difensori dei diritti umani, accademici e accademiche, minoranze religiose ed etniche restano particolarmente a rischio. I diritti umani sono sotto attacco su tutti i fronti. Mentre la popolazione afgana continua a sfidare questa tempesta, noi dobbiamo essere al suo fianco e difendere il suo diritto a vivere in libertà, dignità e uguaglianza». Dal 17 settembre 2021le ragazze sopra i 12 anni non possono più studiare. «Molte donne non possono più uscire di casa o viaggiare senza la supervisione di un uomo. Nel 2022 le restrizioni aumentano a dismisura: le donne non possono più frequentare l’università, i parchi, le palestre, persino i bagni femminili. Alle giornaliste viene imposto il divieto di mostrare il volto, le donne non possono più lavorare nelle Ong locali o internazionali. Nel 2023 chiudono anche i saloni di bellezza: viene così chiuso uno dei pochi settori lavorativi rimasti accessibili alle donne».

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La libertà di stampa: un diritto inesistente

Nel 2023, l’Afghanistan è stato classificato al 156° posto su 180 paesi nell’Indice mondiale della libertà di stampa di Reporter senza frontiere. 

Molti giornalisti sono stati arrestati, picchiati e torturati, solo per aver cercato di raccontare quello che stava succedendo nel paese. 

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“Sono stato trattenuto per diversi giorni. Sono stato picchiato e frustato così forte sulle gambe che non riuscivo a stare in piedi. La mia famiglia aveva sentito da passanti che ero stato rapito dai talebani ma non avevano idea di dove fossi.” – Yunis (pseudonimo), giornalista e attivista della società civile. Uno dei primi casi di violenza contro i media si è verificato contro due giornalisti del quotidiano Etilaat Roz che stavano coprendo le proteste delle donne a Kabul il 9 settembre 2021. Nonostante lo scandalo internazionale che ne è derivato, le violenze non si sono fermate e fare giornalismo nel paese è più pericoloso che mai.

“I media erano la voce della democrazia e della libertà di parola in Afghanistan, ma questa voce è stata spezzata sotto la legge dei talebani”, Khatera Nejat, giornalista in esilio. 

Molti giornalisti sono stati arrestati, picchiati e torturati, solo per aver cercato di raccontare quello che stava succedendo nel paese». Il racconto di un giornalista e attivista della società civile è emblematico sulla situazione: «Sono stato trattenuto per diversi giorni. Sono stato picchiato e frustato così forte sulle gambe che non riuscivo a stare in piedi. La mia famiglia aveva sentito da passanti che ero stato rapito dai talebani ma non avevano idea di dove fossi». Amnesty ricorda che uno dei primi casi di violenza contro i media si è verificato contro due giornalisti del quotidiano Etilaat Roz che stavano coprendo le proteste delle donne a Kabul il 9 settembre 2021. Nonostante lo scandalo internazionale che ne è derivato, le violenze non si sono fermate e fare giornalismo nel paese è più pericoloso che mai.

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Un Report dall’inferno

A inizio 2023 l’Ufficio per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite aveva stimato che sarebbero stati 28.3 milioni gli afgani bisognosi di aiuto umanitario. Ora quel numero ha quasi raggiunto i 29 milioni; il 77% sono donne e bambini.

A marzo 2023 Emergency insieme a Crimedim ha pubblicato il report “Accesso alle cure in Afghanistan: la voce degli afghani in 10 province”  che scatta una fotografia della situazione sanitaria nel Paese dopo il cambio di governo ad agosto 2021.
La ricerca è stata effettuata in 20 delle sue strutture nelle 10 province in cui opera, attraverso la somministrazione di questionari e interviste a oltre 1.800 persone tra pazienti e staff sanitario di Emergency e degli ospedali pubblici.

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Tra i dati emersi dalla ricerca: un afghano su due non può acquistare i medicinali necessari per curarsi. 1 su 5 ha perso un parente o un amico che non è riuscito ad accedere alle cure di cui aveva bisogno. 5 su 10 hanno dovuto risparmiare su cibo e abbigliamentoper poter pagare delle prestazioni sanitarie. 9 su 10 hanno chiesto denaro in prestito. Non ci sono ambulanze in caso di emergenza. Le strutture sono inadeguate, sprovviste di personale specializzato, macchinari, elettricità e acqua, soprattutto nelle zone rurali. ll sistema sanitario non è adeguato a rispondere ai bisogni della popolazione perché strutturalmente sarebbero necessarie più risorse di quelle disponibili.Le donne rappresentano una delle fasce più vulnerabili, in particolare nella gestione della gravidanza: la mancanza di mezzi di trasporto sicuri ed efficienti, l’assenza di cliniche che offrano cure ostetriche per le future mamme nelle zone rurali e la diminuzione del potere d’acquisto, rende la possibilità di accedere a cure tempestive ed efficaci per le afgane ancora più precaria.

In un Paese che dipendeva da aiuti internazionali per il 75% della sua spesa pubblica l’Ufficio per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite ha stimato che 17.6 milioni di afgani avranno necessità sanitarie gravi o estreme.

Avverte Stefano Sozza, Country Director di emergency in Afghanistan: “C’è il rischio che l’anno prossimo l’Afghanistan non venga più considerato un’emergenza prioritaria e, di conseguenza diminuirebbero anche i fondi per il Paese, non ci aspettiamo quindi che la situazione migliorerà, anzi rischieremo di dimenticare ancora di più quella che il Segretario generale delle Nazioni Unite ha definito ‘la crisi umanitaria più grave del mondo’. Oggi più che mai è importante non dimenticare questo Paese e la sua popolazione: non possiamo sapere cosa accadrà in futuro, ma lasciare gli afgani da soli e isolare l’Afghanistan non aiuterà di certo a ricostruire ciò che è stato distrutto in 20 anni di guerra”. 

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Storie dai Centri di Emergency

Mohammad Reza ha 60 anni, stava raccogliendo a terra vecchi oggetti metallici da rivendere. Ha toccato una mina; ha perso due dita. È stato portato in un ospedale dove ha ricevuto alcune cure, ma lì ha trascorso solo una notte perché i trattamenti e il ricovero costavano troppo per lui. Poi ha scoperto il Centro chirurgico per vittime di guerra di Emergency a Kabul. “Mi avevano detto che avrei ricevuto cure senza pagare nulla. Ero dubbioso, ma ci sono andato. Sono davvero felice, mi sento a mio agio e al sicuro, ‘come un bambino nella pancia della mamma’”, racconta sorridente. L’unica cosa che lo preoccupa è il suo futuro: “Sono povero e non potrò ricominciare a lavorare, come tornerò alla vita normale?”.

Bibi Hajar è stata ricoverata nel Centro di maternità di Emergency ad Anabah con una diagnosi di acidosi metabolica a termine di gravidanza. Ha 40 anni e vive a Parian (2500 metri sopra al livello del mare). Ha tre figli maschi e 4 figlie femmine. Ha sposato suo marito quando aveva 11 anni ed è subito diventata madre. Lei si occupa degli animali e suo marito guadagna trasportando pietre. A causa della crisi economica non hanno molti soldi, e quindi poco da mangiare. Bibi perciò non ha mangiato per molti giorni fino a sviluppare la patologia che l’ha portata a farsi ricoverare. Dopo tanti sforzi sia economici che fisici è riuscita a raggiungere il Centro dove ha partorito il suo bambino ed è stata curata.

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Farah è un’ostetrica, ha 25 anni e lavora nel Centro di maternità di Emergency ad Anabah da 5 anni. Nonostante la giovane età è una delle capoturno della maternità. Ha sulle proprie spalle la responsabilità di tutto quello che succede nel suo turno. Farah ha due fratelli e due sorelle e quando il padre le ha chiesto se nella vita si volesse sposare o volesse continuare a studiare lei ha risposto con fermezza di voler continuare a studiare. Dopo le scuole si è laureata in ostetricia ma non le è bastato e ha continuato a studiare. Si è laureata in medicina ed ora vorrebbe entrare alla scuola di specialità in ostetricia e ginecologia del Centro di maternità di Emergency in Panshir. A chi le chiede se è stanca risponde: “Non si è mai stanchi per aiutare le persone”.

Nel suo staff Emergency conta 377 donne afgane, in particolare il Centro di Maternità e neonatologia ad Anabah, nella Valle del Panshir, è completamente gestito da donne: 187 tra ostetriche, ginecologhe, pediatre, infermiere e non sanitarie.

In questi due anni Emergency non ha smesso di lavorare alla formazione dello staff locale, anche femminile, con corsi di specializzazione nelle proprie strutture; al momento sono attivi residency program in chirurgia, anestesia e rianimazione, ginecologia e pediatria grazie ai quali potranno essere formati nuovi specialisti.

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Afghanistan due anni dopo. Per non dimenticare. E sostenere il lavoro di quante e quanti non hanno voltato le spalle al popolo afghano. 

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