Tunisia: il "contabile" di morti e deportazioni si chiama Kamel Feki, ministro dell'Interno

E’ il “contabile della morte”. Formalmente è il ministro dell’Interno, ma il suo compito è quello di smentire ciò che smentibile non è, con l’aggiunta di numeri inverificabili.

Tunisia: il "contabile" di morti e deportazioni si chiama Kamel Feki, ministro dell'Interno
Kamel Feki, ministro dell'interno della Tunisia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Agosto 2023 - 20.02


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E’ il “contabile della morte”. Formalmente è il ministro dell’Interno, ma il suo compito è quello di smentire ciò che smentibile non è, con l’aggiunta di numeri inverificabili.

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Sono 80.000 i migranti subsahariani presenti attualmente in Tunisia, di cui 17.000 nella città di Sfax, principale punto di partenza dei migranti verso le coste italiane.

Lo ha detto il ministro dell’Interno Kamel Feki alla tv Al Hadath Tunisia aggiungendo che 1.057 migranti africani irregolari hanno lasciato la Tunisia volontariamente per far ritorno nei loro paesi di origine.  Durante la prima metà del 2023, circa 2.200 di loro sono stati respinti dalle autorità ai valichi di frontiera, ha detto ancora. Le autorità tunisine hanno salvato più di 15.000 migranti irregolari al largo delle coste del paese, la maggior parte provenienti da paesi dell’Africa sub-sahariana, tra gennaio e il 29 luglio di quest’anno, ha dichiarato Feki, sottolineando che nello stesso periodo sono stati rinvenuti circa 900 corpi di migranti irregolari, la maggior parte dell’Africa sub-sahariana. Il ministro dell’Interno ha anche smentito le notizie di aggressioni ai migranti. 

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Altri due cadaveri non identificati appartenenti a migranti dell’Africa subsahariana sono stati trovati ieri nel deserto libico, al confine con la Tunisia: lo ha reso noto su Facebook il ministero dell’Interno di Tripoli. “Il 31 luglio alle 2:15 le pattuglie della Guardia di frontiera hanno trovato i corpi di due migranti illegali africani, la cui identità non è nota. Il primo corpo è stato rinvenuto ad Ain Naqah, il secondo ad Abu Ashraf”, si legge in un comunicato delle Guardie di frontiera dipendenti dal ministero dell’Interno di Tripoli. 

Lo “Stalin” di Tunisi

Lo racconta mirabilmente su La Stampa, da Tunisi, Matteo Garavoglia: “Seduto in prima fila in uno degli scranni dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo, il ministro degli Interni tunisino Kamel Feki ha il volto sereno ed è pronto a rispondere alle domande del parlamento sulla situazione migratoria nel Paese. È il 27 luglio scorso e al centro dell’attenzione ci sono le immagini provenienti dal confine con la Libia e l’Algeria, dove da quasi un mese si registrano deportazioni di massa nei confronti della popolazione subsahariana e del Sudan. Persone che vengono arrestate a Sfax, seconda città della Tunisia e uno dei punti principali delle partenze lungo il Mediterraneo, e lasciate a loro stesse senza acqua e cibo in zone militari e inaccessibili dopo essere state picchiate o avere subito violenze di ogni tipo da parte delle forze di sicurezza locali. Le ricostruzioni più recenti parlano di 1200 persone espulse verso la frontiera algerina e libica Soprannominato Stalin in patria solo per una netta somiglianza fisica con l’ex Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, le parole del ministro sono precise e puntuali: «Quelle immagini sono false. Lo dico e lo ripeto perché abbiamo le prove. È stato tutto fabbricato a monte e gli autori di quelle foto sono sorvegliati con audio e video». 

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Tuttavia sono parole che oggi possono essere smentite facilmente. In collaborazione con PlaceMarks, un progetto specializzato in ricerca e analisi di immagini satellitari, La Stampa ha ricostruito quanto sta avvenendo al confine con la Libia grazie a una serie di foto risalenti al 14 luglio. Due giorni prima della firma del memorandum d’intesa da un miliardo di euro tra Tunisia e Unione europea alla presenza della Commissaria Ue Ursula von der Leyen, la premier Giorgia Meloni e il primo ministro olandese Mark Rutte. Nelle stesse ore in cui in vista della visita del 16 luglio a Tunisi la portavoce di Bruxelles Dana Spinant affermava che «la gestione dei migranti deve essere sempre svolta nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani».

Le immagini parlano chiaro. Si vedono almeno tre accampamenti di fortuna, di cui uno sembra essere costruito con una gabbia di ferro per gli allevamenti ittici, e un grande assembramento di persone, almeno 300, controllate a vista da alcuni mezzi militari tunisini e libici. A poche centinaia di metri di distanza si possono notare altri quattro mezzi della guardia di frontiera tunisina. Posizionati lungo un fossato costruito fra il 2014 e il 2018 per delimitare in maniera ancora più netta il confine, uno di questi è dotato di un mitragliatore o un cannone. «Da un’analisi storica dell’area si può affermare che lo scenario al confine tra Tunisia e Libia è qualcosa di completamente nuovo. Gli assembramenti e gli accampamenti prima non esistevano, mentre la presenza di militari in assetto di pattugliamento non è mai stata registrata in nessuna delle immagini disponibili, dal 2006 a marzo 2023», spiega Federico Monica di Placemarks.


Da queste istantanee prendono ancora più forza le testimonianze di chi in quella terra di nessuno ha vissuto per giorni senza acqua e cibo. Un limbo accessibile solo alla Croce rossa tunisina, impegnata in questi giorni a prelevare le persone per portarle in altri luoghi della Tunisia. Altri salvataggi sono stati compiuti dalle cosiddette autorità libiche, interessate a mostrare il volto più accogliente al netto di numerose denunce internazionali sul mancato rispetto dei diritti umani. 

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Sono testimonianze che raccontano di migranti, studenti, lavoratori, donne incinte, bambini e neonati che si sono visti privare tutto con la violenza; picchiati dalle autorità con mazze di ferro e bastoni, caricati su dei pullman e gettati senza risposte verso la Libia e l’Algeria. Per chi tentava di rientrare in Tunisia, ad attenderlo c’erano gas lacrimogeni e proiettili. Se l’Oim e l’Unhcr hanno emanato un comunicato per sollecitare un intervento a tutela di queste persone, Bruxelles  – conclude Garavoglia -sembra più concentrata sui numeri dei migranti in arrivo dal piccolo Stato nordafricano”.

 Un rapper coraggioso

Il seguitissimo rapper e produttore di origini congolesi Maitre Gims ha così denunciato  – ne dà conto Negrizia – con una story sul suo profilo Instagram  la terribile situazione di centinaia di migranti subsahariani scaricati dal regime tunisino nel deserto, sotto il sole senza cibo né acqua.

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Il musicista ha aggiunto di non poter tacere di fronte a questa “insopportabile estrema angoscia” e di aver deciso quindi di annullare la sua prevista esibizione dell’11 agosto come headliner dello Urban Music Fest di Gerba.  

Il suo intervento riaccende l’attenzione su una tragedia che da settimane si sta consumando nell’indifferenza dell’Europa e dell’Italia, complici, a causa dei finanziamenti e delle pressioni per il blocco dei flussi in partenza dalle sue coste, delle politiche xenofobe e repressive del presidente Saied nei confronti delle persone migranti.

Che negli ultimi mesi hanno subito attacchi violenti, scatenati dalle dichiarazioni dello stesso capo dello Stato che li ha accusati di essere parte di un “complotto” di “traditori che lavorano per paesi stranieri” per attuare una “sostituzione etnica”.

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I racconti di quanto sta avvenendo sono fatti dalle guardie di frontiera libiche e dagli africani portati in salvo dalla Mezzaluna Rossa e raccolte e  nei giorni scorsi anche da inviati dell’agenzia Afp.

Dozzine di migranti sono stati trovati morti e le immagini dei loro corpi, diffuse sui social network, sollevano l’indignazione del mondo intero.

Tra queste quella di una giovane madre rinvenuta sulla sabbia, abbracciata alla figlia ai piedi di un piccolo cespuglio.

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Molti altri restano tra la vita e la morte nel rovente deserto tunisino-libico. Ma anche lungo l’altra frontiera, quella con l’Algeria.

Sarebbero tra le 600 e i 700 le persone trasportate lì con la forza dalla città di Sfax, nell’ambito di una feroce repressione dell’immigrazione irregolare che colpisce in particolare gli africani con la pelle nera.

Human Rights Watch parla di circa 1.200 africani “espulsi o trasferiti con la forza dalle forze di sicurezza tunisine” dall’inizio di luglio.

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E le deportazioni stanno proseguendo quotidianamente.

«Siamo sulla linea di demarcazione tra Libia e Tunisia e ogni giorno vediamo arrivare sempre più migranti», ha detto all’AFP Ali Wali, portavoce del Battaglione 19, unità libica che pattuglia 15 chilometri di confine intorno ad Al-Assah.

A seconda dei giorni, racconta, «possiamo trovare 150, 200, 350, a volte anche 400 o 500 migranti irregolari». Tra questi donne – anche incinte – e bambini.

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Pochi giorni fa le Nazioni Unite hanno chiesto al regime tunisino “soluzioni urgenti”, ma le autorità continuano a negare. Anche davanti all’evidenza.

Testimonianze dall’inferno

Human Rights Watch ha raccolto in un nuovo report decine di testimonianze, che documentano come la Tunisia non sia un Paese sicuro per i migranti subsahariani: arresti arbitrari, violenze, torture, espulsioni collettive, furti di soldi e telefoni.

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Nel Memorandum firmato tra Bruxelles e Tunisi si parla di una generica clausola di rispetto dei diritti umani, senza però alcun riferimento a quando documentato dalle associazioni umanitarie. Secondo Human Rights Watch la polizia tunisina, così come i militari e la Guardia costiera, avrebbero commesso seri abusi nei confronti dei migranti provenienti dall’Africa subsahariana, che si trovano in Tunisia nel tentativo di riuscire a salpare verso l’Europa. Ma per queste persone la Tunisia non è un porto sicuro, in cui riportare i migranti intercettati in mare, o dove stazionarle nell’attesa di esaminare le domande di asilo.

Secondo Lauren Seibert, di Hrw, le autorità tunisine sono responsabili non solo in prima persona degli abusi contro i migranti nel Paese, ma anche di aver alimentato razzismo e xenofobia contro queste persone. Del resto lo stesso presidente tunisino Kaïs Saïed ha parlato di un complotto di sostituzione etnica nel Paese, avallando attacchi e discriminazioni. E adesso l’Unione europea, finanziando chi sta commettendo queste violenze, sta diventando allo stesso modo responsabile della sofferenza dei richiedenti asilo che si trovano in Tunisia, dove i loro diritti non vengono garantiti.

Tra le persone intervistate da Human Rights Watch, alcune hanno raccontato di essere state picchiate e torturate con l’elettroshock mentre erano in detenzione. Altre hanno detto di essere state derubate di tutti i loro beni dalla polizia, che le ha arrestate solo in base al colore della loro pelle, senza nemmeno controllare i loro documenti.

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Nelle ultime settimane oltre mille persone sono state espulse dalle autorità tunisine e trasferite al confine con la Libia o l’Algeria. Moltissime sono state semplicemente abbandonate nel deserto, senza cibo o acqua. Diverse donne hanno raccontato di essere state violentate mentre venivano portate in queste zone remote. I loro cellulari sono stati rubati, rendendo praticamente impossibile chiedere aiuto o denunciare quanto stesse accadendo. Alcuni sono riusciti a conservare il telefono e condividere la propria posizione Gps. Una volta che si è scaricata la batteria, però, sono rimasti isolati. Il presidente Saied, da parte sua, ha detto che le accuse di abusi e violenze nei confronti delle autorità e delle forze di sicurezza sono solo bugie e fake news.

Razzismo di Stato

Da Sfax sono numerose le testimonianze di persone che hanno visto le loro case violate e distrutte, vittime anche di furti di denaro e oggetti personali: hanno distrutto tutto, hanno distrutto tutto”ripetono sconvolte le vittime di queste violenze attraverso le testimonianze video. “Ci vogliono mortigrida Fatou in una videochiamata in cui ci racconta la tragedia che stanno vivendo le persone nere: “siamo in grave pericolo, non c’è sicurezza per noi in Tunisia”. 

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“Siamo bagnati di sanguegrida Mariam in una telefonata in cui racconta sotto choc il soccorso che ha dovuto prestare ad alcuni suoi compagni pestati con violenza sulla strada di casa sua. Un giovane studente congolese è stato gravemente colpito con un bastone al volto e sulle braccia mentre si recava nel suo istituto di ricerca. Gli attacchi contro le persone di origine subsahariana sono arrivati infatti anche in un’università tunisina, provocando un clima di terrore tra le persone che si erano recate in uno spazio pubblico che consideravano sicuro e protetto.

Quello in atto, fomentato dall’alto, è razzismo di Stato. Quelli che si stanno perpetrando nel deserto ai confini con la Libia, sono crimini di Stato. I mandanti sono noti. Lo sanno a Roma come a Bruxelles. Ma con i criminali che guidano la Tunisia si fanno accordi, si stilano memorandum, li si riceve in pompa magna a Palazzo Chigi e al Quirinale. Si stringe loro la mano. Una mano insanguinata. 

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