Cimitero Mediterraneo, dove l'Europa è morta

L’Europa è morta nel Mediterraneo. I vertici multi o bilaterali ne sono solo la sanzione formale.

Cimitero Mediterraneo, dove l'Europa è morta
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Giugno 2023 - 17.07


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L’Europa è morta nel Mediterraneo. I vertici multi o bilaterali ne sono solo la sanzione formale.

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Nulla da attenderci

Scrive Simone Cosimi su Wired : “Cosa dobbiamo aspettarci dall’Unione europea sui migranti? Risposta: nulla. La finalizzazione, forse, dell’accordicchio sul Patto per le migrazioni che è del tutto sbilanciato sul fronte della (non obbligatoria) redistribuzione dei migranti, della loro identificazione e della loro espulsione verso i cosiddetti “paesi terzi sicuri” da definire a livello nazionale: ognuno deciderà in quale dei territori, di origine o transito, rispedire – proprio come un pacco – i migranti che non abbiano diritto ad alcun genere di protezione internazionale. Nel frattempo, come accaduto in Italia, restringendo proprio quei meccanismi di protezione per fare in modo che possano accedervi sempre meno persone. Un meccanismo infernale che rischia di alimentare ancora di più le partenze piuttosto che tentare di ridurle.

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La strage di Pylos, a sud del Peloponneso, in Grecia, nella quale sarebbero annegate centinaia di persone – forse 600, fra questi pare almeno un centinaio di bambini – è insieme a Cutro la manifestazione tragicamente plastica di questo sbilanciamento. I paesi dell’Unione, specialmente quelli mediterranei, si muovono in completa autonomia. Anzi: non si muovono. La Grecia era stata accusata solo poco tempo fa di aver respinto dei migranti, abbandonandoli in mare a bordo di un gommone, in assoluta violazione del diritto europeo e di quello internazionale. Lo provavano alcuni video ottenuti dal New York Times.

 Anche stavolta ci sono troppi punti oscuri sulla vicenda: il governo greco, che nega di aver ricevuto un avviso da Frontex, spiega che il barcone avrebbe rifiutato il soccorso e navigasse fino a pochi minuti prima senza problemi. “Non vogliamo altro che andare in Italia”, mettono nero su bianco le autorità greche rispetto alla ricostruzione dei contatti intrattenuti con chi era a bordo. L’ong Alarm Phone ha contestato questa ricostruzione, perché chiaramente – al netto della veridicità, assai dubbia, su tempi e condizioni del peschereccio nel corso delle ore fra 13 e 14 giugno – prescinde da alcuni elementi oggettivi che rendono la situazione a rischio. In modo automatico: dal sovraffollamento alla tipologia di imbarcazione all’equipaggiamento di soccorso. 

Nel comunicato sull’accaduto, Alarm Phone ha ricordato che in molti casi la Guardia costiera greca ha respinto, abbandonato o addirittura – alla pari della presunta guardia costiera libica – sparato verso le navi dei migranti. Che questi tentino eventualmente di evitarla non toglie ovviamente l’obbligo di soccorrere e mettere fino a questa spregevole autogestione poliziesca della zona Sar di competenza.

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Il tenore dell’approccio, tuttavia, non sembra voler cambiare neanche di fronte a centinaia di morti. Se la premier Giorgia Meloni è tornata a parlare, ricevendo il primo ministro di Malta, Robert Abela, della necessità di difendere i confini esterni, l’omologo della Valletta si è prontamente allineato alla posizione della leader di Fratelli d’Italia (salvo poi scaricarsi reciprocamente le responsabilità quando si tratta di soccorsi in mare, come visto più volte in passato). Ma, appunto, di soccorso non ne parla nessuno e nessuno ne parlerà considerando le elezioni del 2024. Di una nuova missione Mare Nostrum neanche. L’approccio dei leader nella criminalizzazione delle ong e anche di Bruxelles – lo confermano le parole della commissaria europea per la Salute, Stella Kyriakides: “Fare di più per fermare le reti criminali che ogni giorno mettono a rischio la vita” – inizia a occuparsi dei migranti solo quando questi riescano in qualche modo a mettere piede a terra. Lascia davvero sconvolti che dopo tutti questi anni e migliaia di morti l’Europa non abbia messo in piedi un sistema di soccorsi più efficace dello sgangherato scaricabarile a cui assistiamo a ogni allarme.

A cosa serve esattamente il gruppo di contatto per le attività di ricerca e salvataggio (Sar) istituito dall’esecutivo europeo? Per il momento a nulla: un guscio vuoto. Nelle mani di Bruxelles non c’è dunque che Frontex, “un’operazione europea che permette di rilevare le navi e di trasmettere le informazioni ai paesi membri, poi sono loro che gestiscono le operazioni di ricerca e salvataggio in mare”, ha detto un portavoce della commissione. “Noi facciamo e non smetteremo di fare ciò che è in nostro potere, proponiamo ai paesi iniziative per migliorare la situazione”, ha concluso. Il resto, proprio con i “paesi terzi sicuri”, è affare loro”.

Ricostruzione, e conclusioni, ineccepibili.

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Un’azione dimostrativa

 “Vi chiediamo gentilmente di smettere di uccidere”. È questo il titolo dell’azione dimostrativa in difesa dei migranti convocata dall’Ong Alarm Phone che si svolgerà davanti al Parlamento europeo dal 28 al 30 giugno, in occasione del vertice dei leader dell’Unione europea che si svolgerà nella capitale europea il 29 e 30 giugno. Gli attivisti di Alarm Phone leggeranno migliaia di e-mail da loro inviate alle autorità dei Paesi Ue dal 2014 a oggi per segnalare la presenza di imbarcazioni con migranti a bordo in difficoltà nel mar Mediterraneo.

L’azione dimostrativa verrà realizzata poche settimane dopo il tragico affidamento di un peschereccio  in Grecia costato la vita a centinaia di migranti, inclusi bambini, che ha acceso nuovamente i riflettori sui dati (drammatici) delle morti nel Mediterraneo per raggiungere la cosiddetta “Fortezza Europa”. Alarm phone è un’organizzazione creata nel 2014 da una rete di attivisti ed esponenti della società civile di Europa e Nord Africa. Costituisce un contatto di emergenza in supporto alle operazioni di salvataggio, ma non può effettuare salvataggi, dato che i suoi operatori non sono fisicamente presenti nel Mediterraneo e non dispongono di imbarcazioni né di elicotteri.

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Se le persone in viaggio si sentono in difficoltà o in pericolo, o se le autorità stanno effettuando un respingimento, possono seguire una procedura: dapprima devono chiamare la guardia costiera e comunicare la situazione di emergenza. Subito dopo possono chiamare Alarm Phone, così che i suoi operatori possano verificare che la richiesta di soccorso venga effettivamente gestita. “Quando qualcuno ci chiama da un’imbarcazione lo fa nella speranza che dall’altra parte risponda un essere umano e non una macchina. Gli attivisti di Alarm Phone prendono ogni singola voce e la convertono in un linguaggio burocratico standardizzato in modo che le autorità possano prestare attenzione”, ha spiegato l’Ong. “Trasformiamo le persone in numeri e le vite in coordinate. Eliminiamo l’angoscia, la paura, la rabbia, la speranza fino a diventare noi stessi burocrati”, spiegano gli attivisti, che registrano ciascuna chiamata per poi indirizzare tramite e-mail le richieste di aiuto. “Dichiariamo cortesemente la nostra causa, un’e-mail alla volta, 4325 e-mail all’anno”, si legge ancora nella nota.

Gli attivisti denunciano però la mancanza di reazione in tanti casi da parte delle autorità per soccorrere i migranti. Si tratta di “migliaia di ripetute e gentili richieste di soccorso, molte delle quali senza risposta”, scrivono in un comunicato, nel quale si precisa che a Bruxelles “la lettura sarà accompagnata e interrotta da un allarme in tempo reale” sulle nuove emergenze. Per l’occasione è stata organizzata anche “la prima apparizione pubblica dell’Alarmbox che riporta le situazioni di pericolo attuali e in corso nel mar Mediterraneo”. L’obiettivo dell’azione è di svegliare le coscienze dei vertici politici che, lontani dalle coste e dai confini dove avvengono i drammi dei migranti, assumono decisioni sulle vite di queste persone: “Leggeremo queste e-mail nel luogo in cui viene prodotto lo spettacolo ripetitivo e mortale della burocrazia e delle politiche di preclusione che tengono le persone in attesa in pericolo in mare”, conclude la nota. Rispetto al naufragio avvenuto nel mare Egeo l’ong Alarm Phone aveva accusato: “Le autorità greche sapevano della barca, ma non si sono mosse”. Atene ha replicato che il peschereccio, diretto verso l’Italia, avrebbe rifiutato qualsiasi assistenza.

Lutto nazionale

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Ha avuto inizio 16 giugno. Ne scrive quel giorno Alessandra Fabbretti per l’agenzia Dire: “Da stamani sono listati a nero i profili social delle Ong impegnate con navi di soccorso nel mar Mediterraneo: Sea-Watch, Open Arms, Medici Senza Frontiere, Emergency, Mediterranea Saving Humans, ResQ, Sos Mediterranee. Tutte hanno proclamato“Lutto universale per i morti in mare”. L’iniziativa giunge dopo l’ultimo, tragico naufragio di migranti nei pressi di Pylos, a poche miglia dalla Grecia ,dove le morti accertate sono 78 ma i dispersi potrebbero persino superare i 500.

La richiesta di una missione europea

In una nota congiunta, le Ong scrivono: “La tragedia avvenuta pochi giorni fa a poche miglia dalla Grecia è una delle più gravi della storia recente delle migrazioni. Per noi questi sono giorni di #luttouniversale. Mettiamo a lutto i nostri profili e vi invitiamo a fare lo stesso. Lo facciamo per chiedere una missione europea di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Per fermare le morti sulla frontiera più letale del mondo”.

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Dall’arrivo della notizia del maxi naufragio, si sono moltiplicati appelli dagli organismi della società civile, a partire da Amnesty International, che chiede di fare luce sulle dinamiche della strage: “Siamo di fronte a una tragedia di dimensioni inimmaginabili, e totalmente evitabile. Sollecitiamo un’indagine urgente, approfondita, indipendente e imparziale su cosa abbia causato questa catastrofe e chiediamo assistenza e sostegno per le persone sopravvissute” ha detto Adriana Tidona, ricercatrice di Amnesty sulle migrazioni, aggiungendo: “Ci sono molte domande che necessitano una risposta: perché un’operazione di ricerca e soccorso non è stata lanciata assai prima? Cosa ha provocato il capovolgimento dell’imbarcazione?”

La Comunità di Sant’Egidio chiede all’Ue di uscire dal suo “colpevole immobilismo e da logiche di chiusura che non favoriscono l’immigrazione regolare” e di attuare “un “piano speciale” di aiuti e di sviluppo per i paesi di provenienza dei migranti che rischiano la loro vita in viaggi della disperazione più che della speranza”. La Comunità suggerisce poi di applicare il modello dei Corridoi umanitari che funzionano perché favoriscono l’integrazione”, come i corridoi umanitari, che la nostra Comunità porta avanti insieme a diverse realtà ormai dal 2016, ma è ormai evidente a tutti – istituzioni, mondo delle imprese e famiglie – il bisogno di” e poi di “allargare le possibilità di ingresso per motivi di lavoro, di cui ha bisogno l’Italia come altri paesi europei”.

Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione di Arci nazionale, sollecita “un programma europeo di ricerca e salvataggio (Sar), uno strumento pubblico che impedisca le stragi”, convinto che “rafforzare i legami con le milizie libiche, rafforzare la cosiddetta guardia costiera, continuare a investire sull’esternalizzazione, come hanno concordato i governi UE, servirà solo ad aumentare il numero dei morti e gli affari dei trafficanti”. 

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Infine l’Unicef, denunciando che fino a cento bambini sarebbero rimasti intrappolati nella stiva, secondo i racconti dei sopravvissuti, ammonisce che “in base al diritto internazionale e alla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, i Paesi sono obbligati a proteggere i diritti e il superiore interesse dei bambini“. L’Unicef pertanto domanda “percorsi sicuri e legali per la migrazione e l’asilo nell’Unione Europea, e per operazioni di ricerca e soccorso coordinate che aiutino a prevenire le morti”.

Naufragi continui

Un barchino di 6 metri è affondato in area Sar durante la notte. I militaridella motovedetta Cp305 della Guardia costiera hanno salvato 44 migranti, fra cui 6 donne. Secondo le testimonianze dei superstiti, all’appello mancherebbero 3 compagni di viaggio.

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I naufraghi sono stati sbarcati a molo Favarolo, all’alba, e hanno riferito di essere originari di Burkina Faso, Camerun, Gambia, Costa d’Avorio, Guinea, Mali, Sudan e Algeria, d’essere salpati da Sfax, in Tunisia, alle 21 di lunedì e d’aver pagato 3mila dinari libici per la traversata. 

Oltre ai 44 naufraghi, salvati in area Sar dai militari della Guardia costiera, a Lampedusa sono sbarcati altri 38 migranti, fra cui una donna. A soccorrere, sempre in area Sar, la barca in metallo di circa 6 metri, lasciata alla deriva, è stata la motovedetta Cp305 della Capitaneria di porto.

Ieri, fino a tarda notte, sull’isola c’erano stati 14 sbarchi con un totale di 564 persone.

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Anche i due gruppi di migranti giunti all’alba sono stati portati all’hotspot di contrada Imbriacola dove ci sono, al momento, 620 ospiti. Ieri, con i due traghetti di linea per Porto Empedocle e la nave Dattilo che ha fatto rotta verso Reggio Calabria, sono stati trasferiti circa mille migranti. Per la tarda mattinata, su disposizione della Prefettura di Agrigento, altri 200 verranno imbarcati sulla motonave Galaxy che giungerà in serata a Porto Empedocle.

Cimitero-Mediterraneo, dove l’Europa è morta.

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