Palestina, a chi importa del piccolo Tamimi?

Il 2 giugno, le forze israeliane hanno fatto irruzione nel villaggio di Nabi Saleh, vicino a Ramallah, prendendosela in particolare con la storica famiglia Tamimi

Palestina, a chi importa del piccolo Tamimi?
Mohammed Tamini ucciso a 3 anni dai militari israeliani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Giugno 2023 - 19.45


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A chi importa del piccolo Tamimi? 

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La storia

La racconta la newsletter dell’Ambasciata di Palestina in Italia (a scriverne su Haaretz è anche Gideon Levy). Il 2 giugno, le forze israeliane hanno fatto irruzione nel villaggio di Nabi Saleh, vicino a Ramallah, prendendosela in particolare con la storica famiglia Tamimi, simbolo della resistenza non violenta di quel villaggio sotto occupazione.

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In questa occasione, come in molte altre, oltre ad usare l’abituale violenza fisica fatta di calci e pugni, i militari hanno anche usato le armi e sparato, colpendo alla testa un bimbetto di soli 3 anni. Il suo nome era Mohammad, ed è morto dopo tre giorni di cure e preghiere. Al momento dell’aggressione, il piccolo Tamimi si trovava in macchina con la madre e con il padre, rimasto anche lui ferito. Con Mohammad diventano 28 i bambini uccisi dal fuoco israeliano dall’inizio dell’anno, compresi i 7 morti a Gaza.


Migliaia di cittadini del governatorato di Ramallah hanno partecipato al funerale del piccolo, ma i cortei funebri sono diventati uno dei bersagli preferiti delle forze di occupazione, che anche questa volta non hanno esitato a sparare pallottole d’acciaio rivestite di gomma, mandando in ospedale due giovani colpiti rispettivamente al volto e a un piede, mentre il resto del villaggio veniva investito da una pioggia di granate assordanti e  da gas lacrimogeni che hanno causato problemi respiratori a decine di persone. Il Ministero degli Affari Esteri della Palestina ha chiesto  un’indagine internazionale urgente su questo e sugli altri omicidi di bambini palestinesi, invitando la Commissione che sta indagando sui crimini di Israele per conto della Corte Penale Internazionale ad assumersi le proprie responsabilità al riguardo, dato che eventuali indagini interne israeliane, quand’anche fossero avviate, sarebbero prive di valore e si concluderebbero come al solito con l’assoluzione dell’assassino e l’occultamento della verità in cui sono implicati i vertici politici e militari del Paese occupante. 

Il Presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, ha chiamato il padre di Mohammad per esprimere le sue più sentite condoglianze alla famiglia, augurando a tutti di avere la forza di resistere a tanto  dolore.

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Anche il Segretariato Generale dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (Oic) ha condannato questo assassinio, che prosegue la lunga scia di crimini odiosi perpetrati dalle forze di occupazione israeliane; mentre Il Rappresentante Speciale degli Stati Uniti per gli Affari Palestinesi, Hady Amr, si è recato in visita dalla famiglia Tamimi e ha dichiarato che “nessun genitore dovrebbe seppellire il proprio figlio in questo modo. Per creare un futuro migliore, occorre fare di più per ridurre al minimo le vittime civili”. 

Il coraggio della denuncia

Michal Fruchtman è psicologo dell’educazione, supervisore, terapeuta familiare e di coppia, membro di PsychoActive e di Parents Against Child Detention.
Così su Haaretz:
Tra le centinaia di migliaia di israeliani che hanno preso parte alla massiccia protesta in corso contro la revisione giudiziaria del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, le migliaia di operatori della salute mentale che hanno lasciato le loro cliniche per manifestare potrebbero essere il gruppo più inaspettato.
Per questi operatori, abituati alla neutralità e a proteggere i confini del loro ambito professionale, si tratta di un significativo cambiamento di prospettiva. Ci vuole coraggio per esprimere un’opinione professionale al di là dei confini familiari della loro zona di comfort. Si tratta di una responsabilità professionale che mette in guardia da misure che potrebbero peggiorare la salute mentale nel Paese.
Ma questo coraggio non dovrebbe essere limitato solo alla salvaguardia della separazione dei poteri e dell’indipendenza della Corte Suprema. Sebbene questi siano elementi fondamentali di un sistema democratico, non assicurano un quadro che promuova i valori di uguaglianza, libertà e dignità umana – un quadro che si preoccupi del benessere di tutti i cittadini.

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Il movimento di protesta, che ora afferma che le minacce alla democrazia sono direttamente collegate alla salute mentale, deve ampliare la sua portata. Deve affrontare l’assenza di democrazia per intere comunità che vivono sotto questo governo.
Molti professionisti della salute mentale esitano ancora a protestare contro l’impatto negativo sulla salute mentale dei gruppi minoritari provocato da politiche deliberate di discriminazione e privazione dei diritti. Rimangono in silenzio nonostante i danni causati a milioni di palestinesi in Cisgiordania dalla negazione dei loro diritti personali e collettivi per 56 anni.
Soprattutto, questo silenzio testimonia le catene psicologiche che intrappolano le istituzioni di salute mentale, molti professionisti e il pubblico in generale. In un ambiente di oppressione, la salute mentale di ogni persona è limitata e minata.


Dato l’allarmante approccio ai diritti umani delle proposte di legge in esame alla Knesset, è fondamentale che i professionisti della salute mentale diano l’allarme. Questi devono richiamare l’attenzione sulle dinamiche psicologiche personali e sociali che hanno portato a un Israele dominato dall’aggressività e dalla xenofobia.
Devono condividere con il pubblico la loro profonda comprensione di come le emozioni represse e proiettate possano portare al razzismo e a una dinamica di supremazia, sia a livello individuale che sociale. Devono trasmettere la facilità con cui tali emozioni possono essere innescate e sfruttate. E la loro comprensione di come il rimanere in silenzio e il mettere a tacere gli altri spinga a dinamiche sociali distruttive dovrebbe, a sua volta, stimolare ulteriormente la protesta.


Particolarmente allarmante è il silenzio dei terapeuti della salute mentale di fronte ai gravi danni subiti dai bambini palestinesi. Questi bambini vivono sotto l’occupazione, sapendo che in qualsiasi momento, di giorno o di notte, potrebbero essere messi in prigione. Ogni anno le forze di sicurezza israeliane arrestano circa 1.000 bambini palestinesi della Cisgiordania e altri 1.000 di Gerusalemme Est. I bambini vengono prelevati dalla strada, dalle scuole e persino dai loro letti. I metodi utilizzati per queste detenzioni sono estremamente dannosi per i bambini e i giovani, sia fisicamente che mentalmente. Infatti, sono vietati sia dalla legge israeliana che dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, che Israele ha firmato.

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Questi metodi includono detenzioni notturne, strattoni ai bambini “ricercati” dai loro letti, detenzioni senza un ordine del tribunale o una spiegazione, ammanettamento e bendaggio, divieto di accompagnare i bambini da parte di genitori, parenti o avvocati, percosse, imprecazioni e altro ancora, che causano ai bambini dolore fisico e stress emotivo. Sperimentano una dura solitudine, un’intensa paura, disorientamento, umiliazione, impotenza e spesso la sensazione che la loro vita sia in pericolo.


Si tratta di esperienze traumatiche che rimangono impresse nella memoria e influenzano la personalità, con il rischio di malattie mentali per i bambini, le loro famiglie e l’intera comunità. Queste esperienze possono danneggiare gravemente e irreversibilmente lo sviluppo dei bambini e la loro capacità di adattarsi in seguito e di vivere con un senso di sicurezza di base.


Molti di questi bambini riportano gravi sintomi di disturbo da stress post-traumatico che persistono anche dopo il loro rilascio. I professionisti della salute mentale che trattano i danni psicologici nell’infanzia lo capiscono meglio di chiunque altro. I dettagli di queste detenzioni sono noti e ora sono riportati anche dai media israeliani. È tempo che le istituzioni e i professionisti della salute mentale si esprimano contro di loro in nome della loro professione.

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Sono cresciuto negli Stati Uniti quando l’opposizione al coinvolgimento dell’America nella maledetta guerra del Vietnam veniva espressa come “Se non sei parte della soluzione, sei parte del problema”. In effetti, il silenzio dei professionisti della salute mentale e delle istituzioni, di fronte a tutti i danni subiti da ragazze e ragazzi, riflette la spaccatura in cui è scivolato Israele e il potere di mettere a tacere le voci contrarie. Tutto ciò costituisce un grave pericolo sia per la democrazia che per la salute mentale.


Sono proprio i professionisti, che comprendono il potere del represso di scatenare forze distruttive, a dover affrontare la paura, il dolore e la vergogna che ci paralizzano come individui e come nazione. Devono porre fine al tacito assenso ai danni dei diritti umani, e quindi dell’anima delle persone.


Due organizzazioni – Parents Against Child Detention e PsychoActive: PsychoActive: Mental Health Professionals for Human Rights – hanno ottenuto le firme di 300 professionisti della salute mentale che chiedono di porre fine alle detenzioni a tappeto dei bambini palestinesi e di onorare il diritto alla dignità dall’infanzia alla vecchiaia per tutti coloro che si trovano tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.
Possiamo solo sperare che la pubblicazione di questo appello risvegli migliaia di altri professionisti che hanno protestato negli ultimi mesi. Speriamo che ascoltino le loro voci interiori e professionali e gridino all’unisono contro queste politiche che danneggiano l’anima”.

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Una tragedia senza fine

“Ridurre la tensione in Cisgiordania, Gerusalemme Est, e nella Striscia di Gaza e proteggere le infrastrutture civili”: è quanto chiede Save the Children davanti all’ennesima escalation di violenza in corso tra Forze israeliane e miliziani palestinesi. I bambini della Striscia di Gaza, afferma l’organizzazione umanitaria, stanno vivendo nel terrore, cercando un rifugio, mentre tutte le scuole sono chiuse a seguito di un’altra escalation di violenza. “Ancora una volta, i bambini di Gaza stanno pagando il prezzo più alto per quest’ennesima violenza. Uccidere o mutilare i bambini è una grave violazione e i responsabili dovrebbero essere chiamati a rispondere delle loro azioni”, ha dichiarato Jason Lee, direttore di Save the Children per il Territorio Palestinese Occupato, attualmente a Gaza, in seguito alle notizie di attacchi aerei israeliani “Per molti di loro, questa nuova ondata di violenza riporterà alla mente ricordi traumatici di precedenti episodi. Solo due anni fa, proprio a maggio, in 11 giorni sono stati uccisi 261 palestinesi, tra cui 67 bambini.  Ad ogni attacco aereo, il senso di sicurezza dei bambini viene distrutto, con conseguenze terribili per il loro benessere a lungo termine”. “Il nostro team a Gaza e le loro famiglie – prosegue la nota – ci dicono che non c’è un posto sicuro dove stare in questo momento. Tutti sono impauriti e cercano un riparo, le scuole sono state chiuse, mentre si consuma un altro giorno di terrore e incertezza. Se la violenza continuerà ad intensificarsi, la vita e il benessere dei bambini palestinesi e israeliani saranno minacciati. L’unico modo per proteggerli è fermare questa brutalità e che tutte le parti facciano quanto in loro potere per ridurre la tensione e proteggere le infrastrutture civili dagli attacchi, in conformità con il diritto internazionale umanitario”.

Trattamento disumano

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Ci sono 43 bambini palestinesi detenuti dall’autorità israeliana nel carcere di Damon, che soffrono di condizioni di carcerazione dure e disumane, riferisce la Commissione palestinese per gli affari dei detenuti e degli ex detenuti.

In una dichiarazione rilasciata mercoledì, la Commissione ha affermato che i bambini sono detenuti in celle sporche e infestate da insetti che mancano anche di ventilazione e illuminazione adeguate, mentre il cibo servito loro è molto scarso e di pessima qualità. Sono anche privati ​​di ricevere assistenza sanitaria e di vedere le loro famiglie, e sono esposti ad abusi verbali e fisici  durante la detenzione, oltre a misure punitive collettive e intimidazioni durante i raid nelle loro celle.

Ci sono 170 bambini palestinesi detenuti in diverse carceri israeliane, 43 dei quali nel carcere di Damon.

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“Ogni anno, le forze di sicurezza israeliane arrestano circa 1.000 bambini palestinesi dalla Cisgiordania e altri 1.000 da Gerusalemme est. I bambini vengono presi dalla strada, nelle scuole e persino nei loro letti”. Così Michael Fruchtmann in un durissimo j’accuse pubblicato da Haaretz dal titolo “Chi proteggerà le migliaia di bambini palestinesi detenuti da Israele?”.

Bambini braccati

 “I metodi utilizzati in queste operazioni sono estremamente dannosi per i bambini e i giovani, sia a livello fisico che mentale. E sono proibiti sia dalla legge israeliana che dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, che Israele ha ratificato”.

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“Tali metodi comprendono arresti notturni, bambini “ricercati” strappati dai loro letti; arresti senza un mandato o una giustificazione giudiziaria; vengono ammanettati e i loro occhi bendati; ai genitori, parenti o avvocati è vietato accompagnare i minori; inoltre, percosse e minacce e altro ancora, che causano ai bambini dolore fisico e stress emotivo. Sperimentano una dura solitudine, una grande paura, un senso di disorientamento, l’umiliazione, l’impotenza e spesso la sensazione che le loro vite siano in pericolo”.

La denuncia di Fruchtmann si allarga ad ampio spettro, annotando con gratitudine come gli esperti in salute mentale israeliani si siano uniti alle proteste contro la riforma giudiziaria di Netanyahu, sostenendo che la riforma liberticida avrebbe avuto un forte impatto sulla salute mentale dei cittadini.

Rompere il muro del silenzio

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Eppure, continua Fruchtmann, “molti esperti del settore della salute mentale esitano ancora a protestare contro l’impatto negativo sulla salute mentale dei gruppi minoritari provocato da deliberate politiche di discriminazione e privazione dei diritti. Rimangono in silenzio nonostante il danno causato a milioni di palestinesi in Cisgiordania dalla negazione dei loro diritti personali e collettivi da 56 anni”.

“Particolarmente allarmante è il silenzio” di questi “di fronte ai gravi danni subiti dai bambini palestinesi. Questi bambini vivono le loro vite sotto occupazione, consci che in qualsiasi momento del giorno e della notte potrebbero essere messi in prigione”.

Fruchtmann annota che due Ong hanno reso pubblico un appello di 300 esperti in salute mentale per chiedere “che cessino le detenzioni estremamente dure dei bambini palestinesi e il rispetto del diritto alla dignità, dall’infanzia alla vecchiaia, per tutti, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo”.

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E termina augurandosi “che la pubblicazione di questo appello sia accolto dalle migliaia di altri professionisti [del settore] che hanno protestato negli ultimi mesi. Si spera che diano ascolto alle loro voci interiori e attingano alla loro professionalità per alzare all’unisono le loro voci contro queste politiche dannose per l’anima”.

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