Petrolio e respingimenti, la Libia che piace a Giorgia Meloni: la denuncia delle Ong

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha incontrato ieri a Palazzo Chigi il primo ministro della Libia, Abdulhameed Mohamed Dbeibeh

Petrolio e respingimenti, la Libia che piace a Giorgia Meloni: la denuncia delle Ong
Giorgia Meloni e il primo ministro della Libia, Abdulhameed Mohamed Dbeibeh
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Giugno 2023 - 19.23


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La Libia che piace ai securisti al governo. E la Libia denunciata da quelli che la conoscono per quella che è. 

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Alla ricerca di un “gendarme” a Tripoli

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha incontrato ieri a Palazzo Chigi il primo ministro della Libia, Abdulhameed Mohamed Dbeibeh. Nell’incontro, secondo quanto riferito da fonti di governo, Meloni ha affermato di apprezzare le attività libiche di “contenimento delle partenze irregolari”, ma si è detta preoccupata per l’arrivo dell’estate, che porterà un aumento dei viaggi nel Mediterraneo. Per questo, ha chiesto al primo ministro di “intensificare gli sforzi in materia di contrasto” alle partenze.

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“L’Italia”, si legge in una nota di Chigi, “rimane determinata a confermare il suo costante impegno a supporto delle autorità libiche”. Non solo: è stata firmata anche una nuova Dichiarazione di intenti, tra il ministro degli Interni Matteo Piantedosi e il suo omologo libico, che prevede una collaborazione tra i due Paesi in tema di sicurezza.

Petrolio e respingimenti. Non c’è spazio per i diritti umani

Le Ong in Parlamento: “Italia complice di crimini, basta accordi con la Libia”

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“L’Europa e l’Italia continuano a rendersi complici di aberranti crimini e aumentano fondi e risorse a sostegno del traffico di esseri umani, che si può smantellare solo garantendo vie di accesso legali e sicure all’Europa”. La presidente di Emergency, Rossella Miccio, non ha usato mezzi termini nell’audizione che si è tenuta ieri  alla Camera: davanti alle commissioni Esteri e Difesa, numerose Ong che si occupano del soccorso di persone migranti in pericolo nel Mediterraneo hanno descritto il loro operato e chiesto all’Italia di non rinnovare il memorandum d’intesa con la Libia.

“La Libia non può essere considerata in alcun modo un ‘place of safety’ per lo sbarco di naufraghi. Chiediamo pertanto di abbandonare immediatamente ogni forma di collaborazione nel Mediterraneo centrale che abbia tale finalità”, ha detto Miccio. Il memorandum Italia-Libia, che prevede che l’Italia finanzi direttamente la cosiddetta Guardia costiera libica, è stato stilato nel 2017 e si è rinnovato di nuovo, senza che il governo Meloni intervenisse, a novembre 2022. “Chiediamo al Parlamento e al governo di revocarlo”, e di usare invece i fondi per “una missione navale di soccorso europea con il chiaro compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare”, incalza la presidente di Emergency, in video collegamento dal Sudan.

Dal Mediterraneo, anche se più spesso dal versante turco, partono anche profughi afghani che pure avrebbero diritto automatico allo status di rifugiato, come drammaticamente ha messo in luce la tragedia di Cutro dello scorso 26 febbraio. l’Afghanistan è stato il cuore dell’audizione di Miccio. Nel Paese ormai tornato nelle mani dei talebani, la Ong italiana mantiene tuttora 3 centri chirurgici, un centro pediatrico e un centro di maternità, quest’ultimo interamente gestito da personale femminile, e collegati a questi ospedali, più di 40 centri di salute e posti di primo soccorso nelle zone rurali del Paese. Aver concentrato risorse ingenti su 20 anni di intervento militare piuttosto che su politiche di sviluppo e di institution building – spiega la presidente di Emergency –  ha fatto sì che il Paese non si emancipasse dagli aiuti internazionali, che assicuravano la copertura del 75% della spesa pubblica e costituivano il 40% del Pil , e non costruisse un sistema efficace di protezione dei diritti fondamentali”. Secondo Emergency, “da anni ormai sentiamo parlare del nesso emergenza-sviluppo-pace: non si può risolvere una crisi complessa intervenendo militarmente e destinando risorse irrisorie per garantire aiuti umanitari e servizi minimi. L’assistenza umanitaria deve rappresentare il primo e fondamentale passo di una risposta integrata che guarda a soluzioni di lungo periodo che nulla hanno a che vedere con la militarizzazione degli aiuti”.

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“La Libia è un Paese in cui migranti, rifugiati e richiedenti asilo si trovano costantemente a rischio di abusi”, ha aggiunto Stefano Di Carlo, direttore generale di Medici Senza Frontiere. “Nessuno è all’oscuro di quanto accade. Ci sono circa 3.280 persone nei centri di detenzione. Le condizioni sono a dir poco disumane: in alcune celle si superano le 550 persone. Negli ultimi mesi abbiamo visitato 22 donne che avevano segni di violenza sessuale. La situazione fuori dai centri non è migliore”.

Era presente anche Sea-Watch Italy, che con la sua portavoce Giorgia Linardi ha affermato di aver documentato, nelle sue missioni, “tre pratiche” delle autorità italiane ed europee. Scrive Linardi su La Stampa: “L’ennesima contraddizione: le Ong impegnate nel soccorso in mare sono state ascoltate ieri dalle commissioni Esteri e Difesa riunite a Montecitorio, nell’ambito della partecipazione dell’Italia a missioni militari internazionali, mentre a Palazzo Chigi si è tenuto l’incontro del nostro esecutivo con una delegazione di ministri del governo di Tripoli. Al centro la discussione e la sigla di una nuova intesa sulla cooperazione in materia di sicurezza e lotta alla migrazione irregolare.  L’accordo impegnerebbe le due parti ad avviare iniziative di cooperazione per ridurre l’afflusso di migranti irregolari, oltre a fornire i mezzi necessari per le “operazioni di salvataggio in mare” – in realtà vere e proprie operazioni di cattura, spesso violente, come testimoniato dalle immagini divulgate dagli aerei di monitoraggio civile di Sea-Watch. Questi guardiani dei diritti calpestati nel Mediterraneo hanno visto la sedicente guardia costiera libica speronare pericolosamente navi cariche di persone in pericolo, frustarle e bastonarle durante quelle che non possono ipocritamente chiamarsi operazioni di soccorso, lanciare patate – sì, patate – contro gli equipaggi delle Ong durante le delicate operazioni di soccorso con persone in acqua, minacciare di sparare contro le navi di soccorso civili e di abbattere i nostri aerei: testimoni scomodi dei crimini contro l’umanità commessi davanti alle nostre coste nella più totale impunità. Insomma, il governo stringe di nuovo la mano ai libici per rivendicare e rafforzare ulteriormente lo stesso approccio criminale, nonostante le evidenze esposte ancora una volta ieri dalla società civile in Parlamento sul feroce ciclo di abusi alimentato dagli accordi con la Libia nei confronti di chi, anche se riportato indietro, non ha alternativa se non ritentare la fuga via mare.

Di questi abusi ha parlato – per la prima volta accanto alle Ong in un contesto di audizione parlamentare – David Yambio, arrivato circa un anno fa da Tripoli con un volo umanitario dopo essere stato ricercato dai libici per aver guidato la protesta delle persone migranti attraverso il movimento «Refugees in Libya». Bambino-soldato a cui in Sud-Sudan hanno messo un fucile in mano a 12 anni: «Ho sparato alla mia gente», ha raccontato – senza aver avuto scelta, se non quella di fuggire. In Libia è stato in 17 luoghi di detenzione e tortura, dove ha vissuto e testimoniato le sevizie in cui i trafficanti sahariani sono veri e propri maestri. «L’ho vissuto sulla mia pelle» – ha commentato David in riferimento alle conseguenze degli accordi tra Italia e Libia. 

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Ma nulla sembra poter fermare la corsa dell’Italia alla creazione di un cordone di sicurezza nel Canale di Sicilia, alla vigilia dell’estate e del voto odierno a Bruxelles sul Patto europeo su migrazione e asilo. L’incontro con il premier libico, infatti, è stato preceduto da un incontro in Tunisia martedì con l’autoritario presidente Saied. La società civile tunisina, a rischio di ritorsioni e arresti arbitrari, ha risposto unendosi in protesta e definendo Meloni «persona non grata». 

Intanto l’inesorabile conta dei dispersi nel Mediterraneo sale a oltre 1150 persone (fonte Oim) e ha una nuova, tragica foto-simbolo che mostra il corpicino galleggiante di una bambina di pochi mesi, imbottita di acqua e infagottata in una tutina da neve rosa, alla deriva senza vita e senza madre, inghiottita anch’essa dal mare, davanti alle coste tunisine. Le immagini di protesta da Tunisi mostrano donne che chiedono giustizia per i propri figli scomparsi in mare, stringendo un cartellone con una scritta in italiano che così commenta la visita della premier Meloni: «Meglio porco che fascista».

Nicola Fratoianni, deputato e segretario di Sinistra italiana, ha commentato così il confronto: “Riteniamo utile che il Parlamento ascolti le testimonianze di coloro che vedono ogni giorno le sofferenze dei migranti nel Mediterraneo e nei lager libici. È un punto di vista particolarmente rilevante a prescindere da come la si pensa sulla gestione dei flussi migratori. Il punto è cosa diciamo al governo di Tripoli o alle varie milizie, cosa diciamo al dittatore tunisino quando lo incontriamo in queste ore: il governo italiano è in grado di condizionare questi soggetti affinché vengano rispettati i fondamentali diritti umani delle persone?”.

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Una testimonianza

“Il giorno del mio arrivo in Libia sono stato imprigionato dalle milizie locali. Mi hanno chiesto un riscatto di 800 dollari Sono riuscito a pagare e poi a imbarcarmi, ma i libici ci hanno cercato in mare, riportato a terra e messo nuovamente in carcere. Questo si è ripetuto altre tre volte: ogni volta che mi imbarcavo, venivo riportato indietro e imprigionato”. Lo ha detto un eritreo di 25 anni, tra i 29 migranti sbarcati a Marina di Carrara dalla nave Life Support di Emergency. I tentativi di partire per l’Europa, spiega il giovane, “hanno fruttato ai trafficanti 13.000 dollari: è quello che ho speso per pagare quattro volte il riscatto e poi la traversata in mare. Quando ho visto la vostra nave, ho pianto dal sollievo. Ora sogno di arrivare in Francia e di non vivere mai più nel terrore”. 

“I naufraghi – commenta Albert Mayordomo, capomissione della Life Support – sono finalmente in un Paese sicuro, ma per ogni persona soccorsa non sappiamo quante ne annegano nel Mediterraneo o quante continuano a soffrire perché riportate in Libia. Anche durante questa missione abbiamo toccato con mano quanto sia diffusa la pratica dei respingimenti. Solo in due settimane, siamo stati testimoni indiretti di almeno cinque respingimenti per un totale di oltre 800 persone riportate in Libia contro la propria volontà”. 

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L’amico della Cirenaica

Quello ricevuto in pompa magna pochi giorni fa a Palazzo Chigi: il generale Khalifa Haftar.

Da un report, sempre ben documentato, di Agenzia Nova: “Le forze dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) affiliate al generale libico Khalifa Haftar hanno espulso migliaia di egiziani e li hanno rimpatriati nel loro Paese a piedi, attraverso i valichi di frontiera terrestri tra i due Paesi. Lo ha riferito il quotidiano panarabo edito a Londra “Al Arab”, ipotizzando una crisi tra il generale libico ed il governo dell’Egitto, causata probabilmente dal riavvicinamento tra Egitto e Turchia. Fonti libiche hanno riferito ad “Al Arab” che gli uomini dell’Lna hanno trovato 4.000 migranti durante le ultime retate contro i trafficanti di esseri umani, spiegando che tutti sono stati rimpatriati. Una fonte della sicurezza egiziana, inoltre, ha detto che dei 4.000 egiziani rimpatriati, solo 2.200 erano entrati illegalmente in Libia.

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Le unità affiliate all’Lna hanno arrestato nei giorni scorsi migliaia di presunti migranti irregolari a Tobruk e Musaid, nell’est del Paese. Lo ha riferito l’ufficio stampa dell’Lna, specificando che il rastrellamento è avvenuto dopo l’invio nella zona di unità militari e di sicurezza aggiuntive a sostegno delle forze di stanza nell’area di Tobruk-Musaid, vicino al confine con l’Egitto. Secondo un comunicato stampa dell’Lna diffuso la scorsa settimana, gli uomini del generale Haftar hanno arrestato “più di 1.000 immigrati clandestini di diverse nazionalità, trovati nelle fattorie e nelle case dei trafficanti nella città di Musaid”. In questi stessi luoghi sono state trovate anche delle “officine per la fabbricazione di barche di legno per le partenze irregolari” via mare verso l’Italia. L’Lna fa sapere che sono ancora in corso le operazioni delle unità militari e di sicurezza per arrestare “trafficanti e spacciatori di droga nella zona”, ha aggiunto la stessa fonte.

Violenti scontri sono esplosi la scorsa settimana al valico di terra di Musaid, tra la Libia e l’Egitto, tra un gruppo di persone provenienti della città di Tobruk e le guardie di frontiera dell’Lna. Le violenze sono esplose dopo la morte di un bambino della tribù degli Al Haboun, ucciso da colpi di arma da fuoco esplosi dalle guardie di frontiera contro un’automobile sospettata di trasportare un presunto contrabbandiere appartenente alla tribù degli Awlad Ali. Le immagini pubblicate sui social media libici mostrano veicoli fuoristrada appartenenti alle guardie di frontiera in fiamme. L’Lna ha inviato sul posto unità militari aggiuntive per cercare di riportare la situazione sotto controllo. In seguito è giunta la notizia degli oltre 1.000 arresti e della stretta contro i trafficanti di esseri umani.

Considerano i primi cinque mesi del 2023, la rotta libica figura al secondo posto per quanto riguarda gli sbarchi in Italia, dietro la Tunisia, con 22.662 arrivi al primo giugno, doppiando il dato di 10.986 migranti sbarcati nello stesso periodo del 2022. Più della metà dei nuovi arrivi dalla Libia giunge dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia dominata da Haftar, a sua volta sostenuto dai mercenari del gruppo russo Wagner. Dai barconi salpati dalle coste libiche della Tripolitania sono sbarcati dall’inizio dell’anno a oggi 8.923 migranti, mentre da quelle della Cirenaica 13.506, secondo i dati del Viminale visti da “Agenzia Nova”.

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Da Haftar al tunisino Saied. A Roma piacciono criminali e autocrati nella sponda Sud del Mediterraneo. Da sostenere, finanziare, basta che facciano il lavoro sporco a posto nostro. Una vergogna senza fine.

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