Sudan un mese dopo, orrore senza fine

Ad un mese dall’inizio degli scontri che finora ha causato 800 vittime tra i civili, solo a Khartoum, migliaia di feriti e quasi un milione di sfollati, giungono notizie che nella giornata di lunedì 15 maggio 2023 sono state assaltate diverse sedi diploma

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16 Maggio 2023 - 18.57


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Sudan, un mese dopo. L’orrore non ha fine.

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Da un report di Agenzia Fides: “Combattimenti e saccheggi continuano ad ostacolare i gruppi umanitari a lavorare per sostenere la popolazione sudanese ridotta allo stremo dopo un mese di conflitti armati. La situazione nel Paese sembra non arrestarsi nonostante i diversi accordi di tregua concordati tra le parti e rapidamente violati. Le agenzie si sono concentrate sull’evacuazione del proprio personale internazionale e sul trasferimento anche di parte del personale nazionale. La maggior parte dei sudanesi rimane nel paese, insieme a tanti sacerdoti e suore missionari. Alcuni sperano che le cose tornino alla normalità, mentre altri non possono partire perché non hanno i soldi per il trasporto o la capacità fisica di muoversi.


Dall’attuale contesto sembrano non esserci speranze che si possa arrivare ad una soluzione politica imminente tra i due generali golpisti, il capo dell’esercito federale Abdel Fattah al-Burhan e il suo ex vice Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, che guida le forze paramilitari di supporto rapido (Rsf), e la popolazione è a rischio fame. La situazione per i civili è sempre più grave. La settimana scorsa è stato allestito un ponte aereo umanitario dell’Unione Europea che ha trasportato i suoi primi aiuti umanitari.

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Ad un mese dall’inizio degli scontri che finora ha causato 800 vittime tra i civili, solo a Khartoum, migliaia di feriti e quasi un milione di sfollati, giungono notizie che nella giornata di lunedì 15 maggio 2023 sono state assaltate diverse sedi diplomatiche. Dopo quella somala, anche l’ambasciata della Giordania è stata invasa e saccheggiata. Nei giorni scorsi era stato devastato il centro culturale saudita. Scontri armati sono avvenuti anche nei pressi di un ospedale nella zona Bahri, a nord di Khartoum. L’ospedale non è funzionante, i malati ed il personale erano stati evacuati dall’inizio della guerra. Attualmente la struttura, che ha subito danni ingenti a causa del bombardamento dell’esercito, è usata dalle forze di pronto intervento come rifugio e nel suo cortile sono state installate le unità della difesa antiaerea.  Con Khartoum ancora sotto assedio, le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali stanno allestendo nuove basi operative a Port Sudan, lungo il Mar Rosso, anche se la città è lontana da molte zone che necessitano di soccorso.

In memoria di Shaden

Ne scrive su Repubblica Antonella Napoli, che la realtà sudanese conosce come pochi altri in Italia. .«Shaden era terrorizzata, come tutti noi che viviamo barricati in casa. Dall’inizio dei bombardamenti non usciva più e passava le giornate con suo figlio Hamoudy, sua sorella e sua madre, che vivevano con lei a Omdurman. Ma non abbandonava la speranza».
A raccontare gli ultimi giorni di vita di Shaden Gardood, musicista e cantante sudanese uccisa venerdì scorso da un colpo di mortaio, è una delle sue più care amiche, Dalia al-Ruby, esponente di spicco dell’alta società del Sudan.

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«Shaden era coraggiosa, e sprizzava vitalità con i suoi 37 anni.  Era diventata una delle cantanti più popolari del Paese. Era una cantautrice dei diritti umani in una realtà che fatica ad avviarsi verso la democrazia dopo 30 anni di dittatura» la ricorda Dalia, consulente del governo del premier Abdalla Hamdok, costretto alle dimissioni con un golpe militare il 25 ottobre del 2021.
Grazie a lei chi scrive aveva avuto modo di incontrare Shaden Gardood a una cena nella capitale sudanese nel novembre di due anni fa. Era bella, Shaden, con un sorriso radioso che conquistava tutti coloro a cui lo rivolgeva con estrema naturalezza e un po’ di timidezza.
L’artista trentasettenne è tra le oltre 800 vittime del fuoco incrociato tra l’esercito sudanese e le Forze di supporto rapido paramilitari che da un mese si combattono senza esclusione di colpi.
Da settimane violenti scontri hanno attanagliato Omdurman,  città gemella di Khartoum situata dall’altra parte del Nilo, con lancio di granate e armamenti pesanti che si sono abbattuti sul quartiere di Hashmab e sull’abitazione, situata poco distante dall’edificio della televisione e della radio nazionale pubblica, in cui viveva la famiglia della Gardood. Incolumi gli altri componenti del nucleo familiare della donna, anche se sotto shock. A dare la notizia della sua morte la nipote Habab con un post su Facebook in cui aveva scritto che Shaden “era come una madre” e una persona che amava moltissimo.
Con la sua musica la Gardood promuoveva la pace e la sicurezza nella sua regione, nel Sudan occidentale, in particolare il sud del Kordofan per anni vessato da un conflitto civile.
L’artista portava in tutto il Paese la cultura della sua comunità, a lungo emarginata, i Baggara. Attiva sui social fino a pochi giorni prima della sua morte, Shaden utilizzava il suo profilo su Facebook per condannare la guerra e incoraggiare tutti i civili intrappolati nei combattimenti come lei. In uno dei suoi ultimi post aveva scritto: “Siamo rinchiusi nelle nostre case da 25 giorni… abbiamo fame e viviamo in una paura enorme, ma non perdiamo la nostra etica e i nostri valori”.


Omdurman, come tutto il Sudan, ha visto estendere i pesanti combattimenti dall’inizio della guerra, il 15 aprile, nonostante i continui “cessate il fuoco” annunciati dalle due parti che  non hanno però mostrato concretamente alcun segno di volontà di scendere a compromessi. E la fuga della popolazione civile non si ferma.
Centinaia di persone sono arrivate negli ultimi giorni al confine con l’Egitto nella speranza di poter sfuggire al violento conflitto in atto nella nazione africana. Quotidianamente decine di famiglie scappano da Khartoum, epicentro della guerra civile.


Chi ha raggiunto la frontiera egiziana ha dovuto viaggiare per oltre mille chilometri attraverso zone desertiche e in condizioni spesso drammatiche. Nel frattempo, nella capitale sudanese continuano incessanti i bombardamenti dell’aviazione e risuonano i colpi delle artiglierie. Colpite anche alcune chiese cristiane con il frumento di decine di fedeli. Gli scontri tra l’esercito guidato da Abdel Fattah al-Burhane e le milizie paramilitari delle Forze di sostegno rapido, agli ordini di Mohammed Hamdan Dagalo, proseguono anche dopo l’ennesima tregua invocata nei “colloqui di pace” in corso in Arabia Saudita”..

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Apocalisse umanitaria

Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite sostiene che 19 milioni di persone – ovvero il 41% della popolazione totale, che conta 46 milioni di persone – potrebbero presto piombare nella malnutrizione se non si riuscirà a fermare il conflitto. Manca lo stretto necessario, spiega Mathilde Vu, dell’organizzazione no-profit Norwegian Refugee Aid. “È un inferno: la gente fatica ogni giorno a trovare l’acqua perché non c’è più acqua corrente, e muoversi è sempre un rischio perché si può cadere nel fuoco incrociato anche solo andando a comprare del cibo”, racconta Vu.

I prezzi nel Paese sono alle stelle, le banche sono chiuse e non erogano contanti. “Ogni singolo pezzo di vita che può esistere è ora distrutto o in pericolo, ecco perché ci sono molte persone che sono fuggite e stanno correndo verso il confine a Nord, in Egitto, o a Sud, nel Sud Sudan, o a volte nelle città vicine a Est”, dice Vu. Sadeia Alrasheed Ali Hamid, un’attivista sudanese che attualmente vive in Arabia Saudita, ha raccontato a Euronews di “corpi lasciati per strada per essere mangiati dai cani”.

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“Ci sono bambini che non possono andare in ospedale, tutti hanno paura di uscire anche solo per andare a comprare cibo”, ha spiegato. I bombardamenti condotti dall’aeronautica sudanese su Khartoum hanno in gran parte distrutto l’East Nile Hospital,  le parti in conflitto si sono reciprocamente attribuite la responsabilità di un attacco condotto alla periferia di Khartoum in una chiesa copta, del quale non è chiaro il bilancio.

Tutto questo a distanza da pochi giorni dall’accordo tra l’esercito e le forze paramilitari con cui si impegnano a proteggere i civili sudanesi, a far entrare l’assistenza umanitaria, a consentire il ripristino dell’elettricità, dell’acqua e di altri servizi di base, a ritirare le forze di sicurezza dagli ospedali e a organizzare una “sepoltura rispettosa” dei morti.

L’allarme di Save the Children

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“I bambini e le bambine in fuga dagli scontri in Sudan stanno arrivando in Sud Sudan e in Egitto mostrando segni di grave angoscia e shock: alcuni non parlano, altri sono arrabbiati e altri ancora aggressivi.

Dall’inizio dei combattimenti, il 15 aprile, più di 700.000 persone sono fuggite dalle loro case in Sudan. 

Micah Yakani, coordinatore per la protezione dei bambini e dei giovani di Save the Children in Sud Sudan, ha affermato che molti bambini erano provati quando sono arrivati e ha segnalato un aumento della fame e della malnutrizione a causa della carenza di cibo alla frontiera.

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“Alcuni minori manifestano chiari segni di trauma e la maggior parte delle famiglie sta sotto il sole cocente senza ombra o riparo. Il poco che abbiamo non può soddisfare tutti. La carenza d’acqua sta portando a violenti disordini tra le donne al centro di transito e temiamo che la situazione possa peggiorare poiché è già sovraffollato e molte famiglie si stanno rifugiando sul ciglio della strada”.

I nostri operatori stanno fornendo tutto il supporto psicologico possibile per la salute mentale, nonché forniture essenziali alle famiglie che arrivano ai valichi di frontiera in Sud Sudan ed Egitto, spesso dopo aver viaggiato fino a 15 giorni in situazioni pericolose e affrontato ingenti costi per cercare sicurezza.

Si stima che fino a 45.000 persone siano tornate dal Sudan al Sud Sudan, alcuni rimpatriati dopo che avevano lasciato il Sud Sudan in precedenza per sfuggire al conflitto.

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La situazione di chi fugge in Egitto

Almeno 60.000 persone sono fuggite in Egitto dal Sudan, e la maggior parte delle famiglie ha raggiunto Wadi Karkar, una stazione degli autobus vicino ad Assuan, nel sud dell’Egitto, dove sosteniamo i rifugiati prima che si trasferiscano in altre località del Paese.

“Sentiamo molte storie durante queste attività, soprattutto dai bambini. Ad esempio, ci dicono che associano il rumore a sparatorie ed esplosioni avvenute vicino a loro, quando erano in Sudan. Un bambino mi ha detto che era ansioso perché i membri della sua famiglia non erano presenti durante questi eventi. Mi ha anche riferito che sua sorella è una studentessa universitaria, che i suoi amici sono stati uccisi e che ha perso alcuni membri della famiglia” ha affermato Ahmed Adel, facilitatore per la salute mentale e il supporto psicosociale di Save the Children in Egitto.

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Nell’ultimo mese, secondo le Nazioni Unite, più di 150.000 persone sono entrate in Egitto, Sud Sudan, Etiopia e Ciad, con lunghe attese ai valichi, scarsità di cibo, acqua e servizi igienici.

In collaborazione con la Mezzaluna Rossa Egiziana, abbiamo distribuito pacchi alimentari a 10.000 persone alla frontiera, 1.000 kit di pronto soccorso e 4.000 kit igienici contenenti prodotti di prima necessità per l’igiene personale. Sono state inoltre distribuite 2.000 buste per attività di sostegno psicologico ai bambini che comprendono giochi e attività.

Chiediamo alla comunità internazionale di impegnare i fondi e le risorse per preparare una risposta su larga scala per soddisfare i bisogni critici sia in Sudan che nei Paesi vicini, e per supportare le organizzazioni locali e nazionali che forniscono una risposta in prima linea”.

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