Migranti, ripartono i barchini dalla Libia: ditelo al generale Haftar e Giorgia Meloni

Il generale Khalifa Haftar, ricevuto in pompa magna nei giorni scorsi a Palazzo Chigi dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è uno dei “push factor” della Cirenaica. 

Migranti, ripartono i barchini dalla Libia: ditelo al generale Haftar e Giorgia Meloni
Giorgia Meloni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Maggio 2023 - 19.49


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Alla faccia della “convergenza d’interessi” sul fronte migranti. Come scritto a più riprese da Globalist, il generale Khalifa Haftar, ricevuto in pompa magna nei giorni scorsi a Palazzo Chigi dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è uno dei “push factor” della Cirenaica. 

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Il tempo dell’incontro, delle strette di mano e poi…

Da un lancio Ansa: “Ben 499, dei 1.326 migranti arrivati ieri a Lampedusa, sono partiti con 7 barconi dalla Libia: da Zuara, Sabrathra, Tripoli e Tagiura. Le prime avvisaglie del fatto che anche il fronte libico delle partenze illegali si fosse riaperto si erano avute lo scorso 28 aprile, quando con tre barconi sono giunti in 256. Ieri la conferma. E non soltanto perché i migranti soccorsi hanno dichiarato di essere partiti dalla Libia, ma anche per il tipo di natante usato per le traversate. Se dalla Tunisia i migranti salpano con piccoli barchini di metallo (6 o 7 metri) elettrosaldato che faticano a stare a galla, e su ogni natante vengono imbarcati al massimo una cinquantina di persone, dalla Libia si parte con barconi di legno di almeno 10 o 12 metri sui quali vengono sistemati, come dimostrato dagli sbarchi di ieri, fino ad un massimo di 130 persone. Cambiano inoltre le nazionalità: dalla Libia partono più egiziani, marocchini, siriani, etiopi e palestinesi. Dalla Tunisia invece salpano più persone originarie di Costa d’Avorio, Ghana, Gambia, Mali e Sudan. 

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Il “chi è” del generale

Lo ricorda Giulio Cavalli su Left: “ Per comprendere quali siano i programmi del governo italiano per aiutarli “a casa loro” basta ripercorrere la giornata di ieri,  quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni s’è intrattenuta per stringere le mani lordate di sangue di Khalifa Haftar, fresco di condanna come criminale di guerra  l’anno scorso in un tribunale della Virginia.

È lo stesso Haftar che fu braccio armato di Gheddafi nel Ciad. Fatto prigioniero dai ciadiani prima di essere liberato dagli Usa dove si trattene giusto il tempo di aspettare la caduta del “dittatore libico” (qui da noi si diventa dittatori solo quando si diventa inutili) per tornare in Libia a tentare golpe a ripetizione.

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Il curriculum sanguinario non ha impedito a Haftar di varcare le soglie di Palazzo Chigi. Per il governo italiano “l’uomo forte della Cirenaica” è un “tappo”. Chiedono a lui di bloccare le partenze dalla regione (10mila su 17mila nel 2023 secondo i dati ufficiali del governo). Non è troppo difficile immaginare quali siano i metodi che Haftar sia disposto a utilizzare. Ma questo non conta. Ci si affida alla memoria molle degli italiani che dal 2017 digeriscono il memorandum libico firmato dall’ex ministro del’Interno Minniti. Non sarà difficile firmarne un altro anche con lui.

Non è nemmeno difficile immaginare quali potrebbero essere i dettagli dell’accordo. Al ras libico interessano i soldi e i mesi per “contenere le partenze”, che è la formula diplomatica per condonare le illegittime detenzioni e le violenze. Giorgia Meloni penserà di avere trovato un alleato fedele – lo pensano da anni della cosiddetta Guardia costiera libica – e invece sta semplicemente legittimando l’ennesimo signorotto di una Libia che è una polveriera di autocrati locali che cercano un equilibrio nazionale.

Haftar però non ha nessun interesse nel bloccare le partenze. Haftar, come tutti gli autocrati a cui l’Europa prova ad appaltare il controllo delle frontiere, esiste ed è potente proprio grazie alle partenze. I migranti sono la leva con cui ha potuto fregiarsi di un incontro ufficiale con la presidente del Consiglio italiana e con il ministro degli Esteri italiano.

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Può bastare un particolare. Ieri Giorgia Meloni ha stretto le mani insanguinate di Haftar per chiedergli di bloccare le partenze dalla Cirenaica che secondo diverse fonti locali è gestita da Saddam Haftar, figlio del generale. Eccoci qui”.

Lo “stabilizzatore” inventato

Da un report di agenzia Nova: “Una delegazione di sicurezza dell’Egitto ha visitato nei giorni scorsi la Libia e ha incontrato il comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), generale Khalifa Haftar, per trasmettere un avvertimento: l’uomo forte della Cirenaica non sostenga le Forze di supporto rapido (Rsf), le milizie paramilitari guidate dal generale Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo coinvolte nel conflitto in Sudan. Lo ha riferito il sito web dell’emittente televisiva qatariota “Al Araby”. Haftar avrebbe risposto alla delegazione egiziana – in una riunione nel quartier generale dell’Lna nella base di Ar Rajma, vicino Bengasi – che non è responsabile di alcun sostegno fornito dal gruppo paramilitare russo Wagner, di cui si avvale anche il generale libico, alle milizie sudanesi di Hemeti. “Al Araby” ha aggiunto che il Cairo ha espresso preoccupazione per questo dossier ai governi occidentali, fornendo loro i dettagli sui trasferimenti dei mercenari affiliati a Wagner dalla Libia al Sudan. In particolare, l’Egitto avrebbe condiviso con i funzionari occidentali informazioni di intelligence riguardanti l’arrivo di un gruppo di combattenti siriani provenienti da uno dei campi del gruppo Wagner presenti in Siria. Secondo il network qatariota, le informazioni trasmesse dal Cairo includevano anche il trasferimento di “equipaggiamento militare qualitativo” in possesso di Wagner in Libia alle Forze di supporto rapido in Sudan, compreso uno dei sistemi di difesa aerea Pantsir”.

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L’ambasciatore Michele Valansise è una figura storica della diplomazia italiana (è stato segretario generale della Farnesina). Di certo non si può definirlo un pericoloso estremista di sinistra. Di seguito il titolo della sua analisi su HuffPost: “Torna l’Italia dei due forni in Libia. Ma oggi Haftar è più impresentabile di prima”.

E questa è la sintesi-sommario: Il generale della Cirenaica vicino ai russi della Wagner e alleato dei ribelli sudanesi tiene incontri a Roma con Tajani, Meloni e Crosetto, che chiedono una mano per fermare i flussi di migranti verso l’Europa. Mentre la premier promette il sostegno all’Onu per elezioni in Libia entro il 2023

C’è un giudice a Roma

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Non può essere automaticamente respinta la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro in caso di condanna dello straniero per alcuni fatti di lieve entità. La decisione sul rinnovo spetta al questore, che dovrà valutare la pericolosità sociale del richiedente prima di negare il permesso.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 88 (relatrice Maria Rosaria San Giorgio), depositata oggi, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. numero 286 del 1998 (Testo Unico Stranieri) nella parte in  cui ricomprendono, tra le ipotesi di condanna che impediscono automaticamente il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle per il reato di cui all’articolo 73, comma 5, del d.P.R. numero 309 del 1990 (Testo Unico Stupefacenti) (cd “piccolo spaccio”) e per il reato di cui all’articolo 474, secondo comma, del codice penale (vendita di merci contraffatte), senza prevedere che l’autorità competente verifichi in  concreto la pericolosità sociale del richiedente. Le questioni di costituzionalità erano state sollevate dal Consiglio di Stato nell’ambito di due giudizi originati da ricorsi presentati da stranieri, la cui richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro era stata respinta per effetto delle condanne per i predetti reati.
In linea con svariate pronunce – in cui erano state dichiarate illegittime disposizioni legislative che, nella materia dell’immigrazione, introducevano automatismi tali da incidere in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali degli stranieri – e in sintonia con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte costituzionale ha chiarito, in motivazione, che il legislatore è bensì titolare di un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, tuttavia entro il limite di un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diritti e degli interessi coinvolti. A fronte della minore entità dei fatti di reato considerati (in un caso, illecita detenzione di grammi 19  e cessione di grammi 1,50 di hascisc, nell’altro vendita di prodotti con segni falsi), l’automatismo del diniego è stato ritenuto “manifestamente irragionevole”, sotto diverse prospettive: “sia perché, per le stesse condanne, nell’ambito della disciplina dell’emersione del lavoro irregolare, volta al medesimo scopo del rilascio del permesso di soggiorno, quest’ultimo non è automaticamente escluso, ma implica una valutazione in concreto della pericolosità dello straniero – si legge in una nota – sia perché l’automatismo del diniego, riferito a stranieri già presenti regolarmente sul territorio nazionale (e che hanno iniziato un processo di integrazione sociale),  è in contrasto con il principio di proporzionalità, come declinato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’art. 8 CEDU”. Dunque, ha osservato la Corte, come riportato nella nota, “ben può verificarsi che la condanna, nei casi considerati, non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo, e ciò per varie ragioni: la lieve entità e le circostanze del fatto, il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, il livello di integrazione sociale nel frattempo raggiunto. Risulta, pertanto, necessario che, nell’ esaminare la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, l’autorità amministrativa apprezzi tali elementi, al fine di evitare che la sua valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall’art. 8 CEDU”.
La Corte ha inoltre sottolineato che “l’interesse dello Stato alla sicurezza e all’ordine pubblico non subisce alcun pregiudizio dalla sola circostanza che l’autorità amministrativa competente operi, in presenza di una condanna per i reati di cui si tratta, un apprezzamento concreto della situazione personale dell’interessato, a sua volta soggetto ad eventuale sindacato di legittimità del giudice”.

Il ministro Piantedosi non ne sarà contento. 

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