Il genocidio degli armeni che i turchi ancora negano

Le vittime furono circa 1 milione e 300 mila mentre per l turchi i morti furono tra i 250.000 e i 500.000.

Il genocidio degli armeni che i turchi ancora negano
Il genocidio armeno
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

24 Aprile 2023 - 09.34


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Se si potesse dare un colore a un’epoca, io al novecento darei il rosso. Il secolo più moderno, dove con una velocità sorprendente l’umanità ha fatto passi da gigante, migliorando le proprie condizioni di vita e allungando la stessa esistenza almeno a coloro che sono nati nella parte giusta del pianeta, sarà ricordato per delle tragedie immani.

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Il secolo trascorso è rosso per il sangue versato in tutti i genocidi compiuti. Nel 1915, cominciavano nell’impero ottomano i massacri e le deportazioni della popolazione armena. Pochi lo sanno, a scuola non si studia. In soli tre anni sono morte 1,3 milioni persone, secondo gli armeni, ma anche secondo la generalità degli storici. I turchi hanno ancora il coraggio di sminuire quanto accaduto riducendo la cifra tra le 250.000 e 500.000 vittime.

A Erevan, la capitale dell’Armenia il genocidio viene ricordato ogni anno il 24 aprile, anniversario dell’arresto di migliaia di leader della comunità sospettati di essere ostili a Costantinopoli, dove spadroneggiavano i famosi Giovani Turchi, che volevano creare uno stato nazionalista turco.

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In un certo senso il Nocecento è stato il secolo del nemico a tutti i costi, da trovare e annientare, un nemico che spesso era interno, un capro espiatorio da usare per cercare di offrire un’alibi ai governi, uno sfogo al popolo. Sterminare una minoranza è stato il diversivo politico più usato in tutto il vecchio continente. Un modo come un’altro per incanalare la rabbia in momenti di crisi e di passaggio.


Nel febbraio 1914 gli ottomani, per le pressione dei paesi occidentali, si impegnarono ad avviare riforme per tutelare le minoranze etniche e religiose. Ma scoppiata la prima guerra mondiale, a fianco della Germania e dell’impero austro-ungarico, tutte queste promesse furono smentite dai fatti. Dopo gli arresti dei leader armeni, nel maggio 1915 “una legge speciale autorizzò le deportazioni per motivi di sicurezza interna di tutti i gruppi sospetti”.

Gli armeni dell’Anatolia e di Cilicia, furono deportati verso i deserti della Mesopotamia. L’esodo fu forzato, la maggior parte morì di stenti e malattie durante il tragitto stesso. Gli altri morirono come mosche nei campi di confine. Una sorta di anello temporale che ha unito le riserve degli indiani d’america ai lager nazisti.

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Siamo di fronte alla prima “pulizia etnica” della storia del secolo. L’ obiettivo era quello di occupare le terre appartenenti agli armeni, situate tra la Turchia e il Caucaso, e togliere alla minoranza che era di religione cristiana qualsiasi illusione su eventuali riforme. Con la fine della Grande guerra e la pesantissima sconfitta dell’impero ottomano, venne istituito uno Stato armeno, che venne a far parte dell’Unione sovietica.


La Turchia non ha mai ammesso che si trattò di genocidio: Ankara ha sempre giustificato l’accaduto sostenendo che si trattò di repressione contro una popolazione che collaborava con la Russia.

Anche la comunità internazionale fu tardiva nel riconoscere che fu genocidio. Era il 1985, il primo via libera venne dalla sottocommissione dei diritti umani dell’Onu, e nel 1987 dal Parlamento europeo. I Paesi che riconoscono il genocidio sono 20, tra cui il nostro Paese. Oggi nel mondo vivono 8 milioni e mezzo di armeni, soprattutto in Russia, Stati Uniti, Canada, Medio Oriente e Francia.

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