Libia: la denuncia dell'Onu e il silenzio di Roma

La commissione indipendente Onu sui diritti umani accusa la cosiddetta guardia costiera libica di essere parte attiva nella filiera del traffico di esseri umani

Libia: la denuncia dell'Onu e il silenzio di Roma
Guardia Costiera libica
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Marzo 2023 - 12.46


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Il dossier sulla Libia è arrivato sul tavolo degli inquirenti dell’Aa. Le accuse all’Italia sono pubbliche, documentate, gravissime. Eppure coloro che governano il Belpaese tace. Come se la cosa non li riguardasse. Un misto di arroganza e irresponsabilità. Tace Palazzo Chigi. Tace la Farnesina. Tace il Viminale. 

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Quel silenzio assordante

Al silenzio governativo fa da contraltare il risalto che a questa vicenda viene dedicato dal mondo cattolico e da alcuni giornali di riferimento di assoluta autorevolezza.

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Scrive su Avvenire, il giornale della Cei, Nello Scavo: “Il dossier sulla Libia su cui indaga la Corte penale Internazionale nelle ultime ore ha visto arrivare sul tavolo degli inquirenti dell’Aja un nuovo atto d’accusa contro le autorità di Tripoli. Lo firma la Commissione indipendente Onu sui diritti umani, che accusa la cosiddetta guardia costiera libica di essere parte attiva nella filiera del traffico di esseri umani.  «Centinaia di migranti e rifugiati intercettati o salvati in mare dalla Guardia Costiera e da altri enti sono scomparsi dopo essere stati sbarcati nei porti libici. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) – si legge nel report visionato da Avvenire – ha riferito che questi individui sono esposti al sequestro da parte di gruppi armati impegnati nel traffico di esseri umani o nel contrabbando ». 

Il testo di 46 pagine è stato trasmesso al Consiglio di sicurezza Onu e acquisito dalla Corte penale dell’Aja, che sta esaminando le richieste di mandato di cattura internazionale depositate dal procuratore Karim Khan. I nomi degli esponenti libici indagati sono ancora coperti da segreto istruttorio, in attesa che il tribunale si pronunci sulla convalida delle richieste d’arresto in campo internazionale. 

La Commissione indipendente ha raccolto anche la denuncia del “panel of expert”, il gruppo di esperti nominato dal Consiglio di sicurezza e che da anni indaga sulle violazioni dei diritti umani, i crimini di guerra e i traffici illeciti in tutta la Libia. Gli specialisti «nell’ambito della loro indagine sugli incidenti di naufragio hanno segnalato che il Centro di coordinamento e salvataggio marittimo (di Tripoli, ndr), l’autorità governativa responsabile, ha violato il diritto alla vita di circa 130 migranti e rifugiati non avendo adottato misure appropriate». 

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Si tratta solo di uno degli episodi ricostruiti, a cui seguono abusi ampiamente provati. 

La centrale di coordinamento libica è stata finanziata e attrezzata dall’Italia, che chiede alle organizzazioni del soccorso civile di rivolgersi al centralino dei guardacoste libici. Nonostante anche secondo l’Onu i funzionari di Tripoli non garantiscano neanche i minimi standard operativi e di rispetto dei diritti fondamentali. 

«Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia ha documentato che le guardie del Dcim (Il Dipartimento del governo per il contrasto dell’immigrazione illegale, ndr), così come i membri di gruppi armati non statali, commettono abitualmente violenze sessuali per controllare e umiliare i migranti. Gli osservatori hanno riferito che lo stupro è stato spesso usato come forma di tortura e in alcuni casi ha portato alla morte». 

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A confermare che le sevizie siano una regola di gestione dei campi di prigionia statali ci sono prove definite «schiaccianti». L’agenzia Onu per i diritti umani (Ohchr) e la Missione Onu in Libia (Unsmil), hanno infatti «ottenuto video e fotografie delle torture subite» da migranti e profughi «e del fatto che alle loro famiglie è stato chiesto di pagare un riscatto». In uno dei video «un uomo viene torturato a morte». Secondo l’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani Onu «le donne migranti nei centri di detenzione sono trattenute in strutture prive di guardie femminili e sottoposte a “perquisizioni” da parte di agenti uomini». Donne adulte e ragazze minorenni migranti «sono costrette a praticare sesso a scopo di lucro (gli introiti vanno ai capi delle strutture, ndr) in centri di detenzione sia ufficiali che non ufficiali, in condizioni che a volte sono assimilate alla schiavitù sessuale». Molte donne migranti vittime di abusi «non sono potute tornare nei loro Paesi d’origine a causa della stigmatizzazione».

La Santa Sede non chiude gli occhi

Scrive l’Osservatore romano: “I migranti ridotti a schiavi. Non ci sono altri termini per indicare le atrocità denunciate dall’Onu che, in un rapporto della missione d’inchiesta presentato ieri a Ginevra, parla di crimini «contro l’umanità» nei confronti di «libici e migranti in tutta la Libia», perpetrati nei centri di detenzione. Quegli stessi luoghi che Papa Francesco, a proposito della sofferenza sperimentata da chi, in fuga da guerre, instabilità, conseguenze disastrose dei cambiamenti climatici, tenta di arrivare in terra europea, non ha esitato a definire «lager». 

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La missione internazionale, incaricata dell’indagine a metà 2020 dal Palazzo di Vetro, si è detta profondamente preoccupata per il deterioramento della situazione dei diritti umani nel Paese nordafricano, concludendo come ci sia «motivo di credere» che crimini di guerra e contro l’umanità «siano stati commessi dalle forze di sicurezza dello Stato e dalle milizie armate», in un quadro generale di instabilità per oltre un decennio di grave crisi politica. La Libia è infatti ancora lacerata da profonde divisioni, complicate da interferenze straniere, tra il governo di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e l’esecutivo con sede a Sirte guidato dal premier Fathi Bashagha, nominato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk, con la Cirenaica di fatto controllata dal generale Khalifa Haftar.

Il documento dell’Onu sottolinea in particolare «motivi ragionevoli per ritenere che la schiavitù sessuale» sia stata inflitta ai migranti, in particolare donne, provenienti perlopiù dall’Africa subsahariana, riferendo di aver documentato al contempo numerosi casi «di detenzione arbitraria, omicidio, tortura, stupro», come pure di «esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate». 

La missione si è inoltre soffermata sui rimpatri forzati in Libia di migranti intercettati nel Mediterraneo. Il documento cita in particolare la Guardia costiera libica, sostenuta dall’Unione europea nel corso degli anni. «Le persone non possono essere riportate in aree non sicure», ha spiegato in conferenza stampa un membro del team delle Nazioni Unite, Chaloka Beyani, precisando che «il sostegno fornito ha aiutato e favorito la commissione dei crimini» stessi.

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Tutte le informazioni raccolte, è stato inoltre annunciato, saranno condivise con la Corte penale internazionale, compresa una lista di individui indicati come possibili autori dei crimini. Per un altro capitolo dell’impegno comune contro quella «brutalità della migrazione» che il Pontefice auspica lasci il posto a un amore capace di rendere «liberi». 

Da Mediterranea Saving Humans

“Pubblichiamo volentieri in italiano sul nostro sito il comunicato ufficiale, diffuso lunedì 27 marzo 2023, con cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite riassume i risultati dell’attività d’inchiesta svolta dal 2016 a oggi dagli investigatori della Missione indipendente di accertamento dei fatti sulla Libia.

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In un mondo normale, e non dai valori ribaltati come quello in cui viviamo, questo Rapporto (che presto tradurremo e pubblicheremo nella sua versione integrale) avrebbe provocato una immediata reazione dell’opinione pubblica globale, uno scandalo politico-diplomatico internazionale ed effetti conseguenti. 

Infatti, a essere direttamente accusate, con prove schiaccianti e circostanziate, dalle Nazioni Unite di gravissimi crimini contro l’umanità che comprendono “detenzioni arbitrarie, omicidi, torture, stupri, riduzione in schiavitù (anche sessuale) e sparizioni forzate”, sono le Istituzioni libiche fino ai massimi livelli e le milizie che operano per loro conto. Sì, esattamente quelle Istituzioni con cui l’Italia e l’Unione Europea collaborano, quei politici a cui i nostri governanti stringono la mano in incontri ufficiali a Tripoli e a Roma.

Per quanto riguarda nello specifico la condizione delle e dei migranti, gli investigatori delle Nazione Unite nominano esplicitamente tra i responsabili dei crimini contro l’umanità le diverse articolazioni del Direttorato per il Contrasto all’Immigrazione Illegale (Dcim) del Ministero dell’Interno di Tripoli, l’Ssa (Apparato di Sicurezza per la Stabilità) e la cosiddetta Guardia costiera libica. Cioè quegli organismi a cui, grazie a cospicui finanziamenti e la regolare fornitura di mezzi, i Governi italiani dal 2017 a oggi e l’Unione Europea hanno affidato la gestione in terra (con i campi di detenzione denunciati dall’Onu) e in mare (con l’assegnazione della zona SAR di competenza) del fenomeno migratorio.

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In un Paese normale, e non condizionato dalla propaganda razzista, questo Rapporto avrebbe già provocato le dimissioni di tutti i Presidenti e Ministri che hanno stretto le mani di questi criminali, inchieste giudiziarie e parlamentari sulle complicità con i crimini provati e denunciati dalle Nazioni Unite, e soprattutto l’immediata interruzione di ogni forma di collaborazione con le Istituzioni e le persone che ne sono responsabili.

È quanto – come Mediterranea Saving Humans – chiediamo si faccia subito. Per porre fine alla vergogna assoluta della complicità in crimini contro l’umanità”.

L’instancabile ministro

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Il Decreto sicurezza e la guerra alle Ong che ha certificato, non gli sono bastati. Matteo Piantedosi non si ferma. Anzi, rilancia. Ed ha già in canna in suo “Piano d’azione”.

Di cosa si tratti lo chiarisce molto bene Linkiesta: “È stato lo stesso ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a lanciare l’allarme sull’aumento dei flussi di migranti sulle nostre coste. In consiglio dei ministri, davanti agli altri colleghi, ha annunciato che si prevede l’arrivo di oltre 400mila persone entro la fine dell’anno. Per questo ha presentato un “Piano d’azione”. L’ulteriore piano per gestire in forma emergenziale un fenomeno che non è più un’emergenza. Il tutto scritto nello stile burocratese del funzionario Piantedosi. Secondo quanto riporta La Stampa, il piano Piantedosi prevede l’attuazione di una serie di attività che riducano le partenze e aumentino i rimpatri. A fronte del fatto che il flusso di migranti è aumentato del 303%, dal 1 gennaio al 28 marzo, rispetto allo stesso periodo del 2022. E con l’arrivo dell’estate i numeri continueranno a crescere.

Il progetto del Viminale stabilisce quindi gli interventi prioritari. Come «il controllo delle frontiere marittime tunisine attraverso pattugliamenti congiunti in mare e a terra e il potenziamento nell’area del porto di Sfax dell’attività di intelligence diretta a contrastare la costruzione e l’allestimento di navi e barchini da parte di organizzazioni criminali». Importante sarà, inoltre la collaborazione con i Paesi di origine dei migranti e la dichiarazione dello Stato di emergenza per l’isola di Lampedusa «che consentirebbe nell’immediato l’adozione di misure extra ordinem finalizzate a consentire il noleggio di assetti aerei e navali per il trasferimento dei migranti e la gestione dell’hotspot in deroga alla normativa vigente». Si punta, inoltre, a creare nuovi centri di accoglienza sia a Lampedusa, sia a Pantelleria.

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L’attenzione principale del Viminale è concentrata su Tunisia e Cirenaica, parte orientale della Libia dove domina la politica di Khalifa Haftar, che non controlla in alcun modo l’esodo dei migranti. Dal 1 gennaio al 28 marzo sono infatti arrivate 27.219 persone per la maggioranza provenienti proprio dalla Tunisia (15.537 ) e dalla Cirenaica (4.556). Le nazionalità più ricorrenti dichiarate dai migranti sono al momento dello sbarco sono ivoriana, guineana, pakistana, bengalese, tunisina, egiziana, camerunense. La Sicilia, con 22.148 arrivi, si conferma la principale regione di sbarco seguita dalla Calabria con 3.405 arrivi.

Mentre il governo è impegnato «a rilanciare il dialogo strategico, di livello politico e operativo, con le autorità tunisine, anche attraverso il coinvolgimento della Commissione europea» il piano Piantedosi chiede quindi di potenziare il pattugliamento delle coste tunisine e l’impegno degli 007 per ostacolare la costruzione di navi e barchini. Sul fronte libico, scrive, occorre «raggiungere intese con le autorità che controllano la Cirenaica da cui si registra un incremento degli arrivi (da 2.891 nel 2022 a 4.556 nei primi tre mesi di marzo 2023) per un rafforzamento delle azione di prevenzione delle partenze».

Per individuare altre aree da destinare alla primissima accoglienza dei migranti «è stato attivato un tavolo operativo con l’Agenzia del demanio e con lo Stato maggiore della Difesa». E per la vigilanza dei migranti si potrebbe «coinvolgere un contingente di militari dell’operazione “Strade sicure”». È ipotizzato, inoltre, «un contributo economico di accompagnamento di 500 euro alternativo all’accoglienza per i richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta». Verrà, infine, ampliata la rete dei Cpr – Centri per il rimpatrio – per i migranti irregolari”..

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Il PdAP: Piano d’azione Piantedosi. Altra nefandezza securitaria in arrivo.

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