Migranti, von der Leyen boccia Meloni: nella guerra alle Ong l'Italia non ha sponde a Bruxelles

Giorgia non convince Ursula. Non è il titolo di una soap opera ma la sintesi politica dell’incontro di ieri a Roma tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.

Migranti, von der Leyen boccia Meloni: nella guerra alle Ong l'Italia non ha sponde a Bruxelles
Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Gennaio 2023 - 16.20


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Giorgia non convince Ursula. Non è il titolo di una soap opera ma la sintesi politica dell’incontro di ieri a Roma tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.

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Buco nell’acqua

Efficace la sintesi dell’incontro di L.C. su Il Manifesto: “ Attenzione alle richieste italiane ma niente di più e, soprattutto, niente impegni. Se dal vertice con Ursula von der Leyen Giorgia Meloni sperava di incassare il sostegno della presidente della Commissione europea alle richieste di Roma sul tema dei migranti, c’è il rischio che sia rimasta delusa. L’argomento, caro alla premier, nei poco più di sessanta minuti in cui è durato l’incontro a palazzo Chigi è stato appena sfiorato e solo alla fine von der Leyen avrebbe concordato con la padrona di casa che sì, è vero, «bisogna distinguere tra rifugiati e migranti economici». Un po’ poco per chi solo fino a qualche settimana fa si diceva convinto di aver riportato la questione immigrazione al centro del dibattito europeo, mentre oggi distribuisce i naufraghi tratti in salvo dalle navi delle ong in porti italiani lontani centinaia di chilometri dal punto in cui sono stati soccorsi. Da parte sua Meloni avrebbe voluto spiegare le ragioni del governo: la necessità di difendere i confini nazionali e di bloccare la partenza dei barconi insieme alla richiesta di un patto sulla redistribuzione dei migranti. Ma anche i motivi che hanno spinto l’esecutivo a varare la stretta sulle navi umanitarie con un decreto sul quale l’unico commento arrivato finora da Bruxelles è stato un lapidario: «Indipendentemente da cosa l’Italia stia facendo tramite un decreto – ha spiegato il 5 gennaio scorso una portavoce della Commissione -, i Paesi membri devono rispettare la legge internazionale e la legge del mare».

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Il bivio e le bufale sul pull factor

Ne scrivono tre ottime colleghe.

Così Annalisa Cuzzocrea su La Stampa

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“Non è forse un bivio immediato, ma è un bivio. Che a Giorgia Meloni è stato posto davanti prima dal leader del Ppe Manfred Weber e poi, ieri, dalla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. Con chi vuole stare davvero in Europa la presidente del Consiglio di uno dei Paesi fondatori dell’Ue? Da chi pensa di poter ricevere più aiuto? Dal blocco di Visegrad che ha perso – si stanno autoincenerendo – i suoi punti di riferimento mondiali: Putin, Trump, Bolsonaro, o dal blocco dei popolari il cui aiuto, dal gas ai migranti, è sicuramente più spendibile ora che è al governo?  Finora Meloni non ha voluto in alcun modo rinnegare la sua vicinanza ai polacchi di Mateusz Morawiecki o agli ungheresi di Viktor Orban, tanto da far votare il suo gruppo – al Parlamento europeo – contro le sanzioni al governo di Budapest per le sue riforme illiberali e antidemocratiche. Ma è un fatto che gli amici dellapremier italiana siano, in questo momento, inservibili per il nostro Paese. Sulla questione del price cap al prezzo del gas, l’unico strumento che – ammesso che funzioni – può salvare l’Italia dalla morsa dei prezzi energetici unita a quella dell’inflazione, certo non ha aiutato Orban che resta il leader europeo più vicino a Vladimir Putin. E l’ungherese non aiuterà, così come non lo faranno Polonia, Repubblica Ceca o Slovacchia, neanche sulla questione migranti che il governo italiano sventola come fosse un’emergenza tutte le volte che ce ne sono da affrontare di reali. Tra i punti fondamentali dell’incontro con la presidente della Commissione europea ieri ci sono stati gli avanzamenti del Migration pact, il nuovo patto europeo per le migrazioni e l’asilo che promette di superare i meccanismi del regolamento di Dublino e di sancire una volta per tutte il principio della solidarietà con i Paesi di primo approdo. Quel patto però è stato bloccato fin dalla sua nascita, nel 2020, proprio dagli Stati di Visegrad e da coloro che la leader di Fratelli d’Italia considera alleati. Un giorno dopo l’annuncio di von der Leyen, che aveva detto «abbiamo bisogno di procedure eque e rapide e di un meccanismo permanente e giuridicamente vincolante che garantisca la solidarietà», il premier ungherese Orbán, il ceco Andrej Babis e il polacco Mateusz Morawiecki (lo slovacco Igor Matovič si era fatto rappresentare dalla Repubblica Ceca) sono volati a Bruxelles per dire: non se ne parla nemmeno. Quel che serve è chiudere i confini dell’Europa. Chiudere il mare. Fermare le partenze. La stessa ricetta che la destra ha portato in campagna elettorale ben sapendo quanto fosse inattuabile. L’ostruzionismo dei sovranisti è continuato in questi anni e c’è da scommettere che continuerà, anche se le istituzioni europee hanno sottoscritto una road map che dovrebbe portare a un accordo prima delle prossime elezioni europee, nella primavera del 2024. Ed anche se del patto sulle migrazioni è già previsto che si parli al Consiglio europeo straordinario del 9-10 febbraio. Del resto, che le altre soluzioni – il blocco navale e gli hotspot per dividere i migranti economici dai profughi nei paesi di partenza – siano inattuabili, lo dimostra quel che è riuscito a fare finora il governo italiano che, secondo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, è «sulla strada giusta»: un decreto anti Ong il cui unico effetto reale è lasciare sguarnito per più tempo il tratto di mare che separa le coste africane dalle nostre, assegnando di volta in volta alle navi che salvano i naufraghi porti sempre più lontani in condizioni meteo sempre più difficili. «I nostri tecnici hanno valutato che si poteva fare», ha risposto ieri Piantedosi a chi gli ha sottoposto le difficoltà della Geo Barents – con a bordo 73 persone di cui 16 minori non accompagnati – a raggiungere il porto di Ancona. Quattro giorni di navigazione per persone ferite, torturate, alcune vive per miracolo.  Non si può chiudere il mare, non si possono chiudere nemmeno i porti (il processo a Matteo Salvini è lì a dimostrarlo), allora si inventano regolamenti sempre più tortuosi per rendere i salvataggi più difficili. Di fatto, per fare in modo che d’ora in poi ce ne siano di meno. E’ questo il patto per le migrazioni in salsa italiana, ma nonostante il cinismo che lo sottende non soddisferebbe gli alleati sovranisti di Meloni ancora fermi a: non devono partire…”.

Le rotte della morte

“La bimba ivoriana di un anno e mezzo morta la mattina dell’Epifania nell’ultimo naufragio a poche decine di miglia da Lampedusa  – scrive Alessandra Ziniti su Repubblica – viaggiava con la sua mamma su uno di questi gusci di metallo: 4-5 metri, un piccolo motore fuoribordo, pronto a ribaltarsi alla prima onda o al primo movimento scomposto delle (almeno 30) persone stipate sù. Di bagnarole come queste, ormai da settimane, ogni notte dalla coste tunisine di Sfax o di Zarzis sono pronte a partirne decine per affrontare il tratto di mare più breve per attraversare il Mediterraneo, quello che punta dritto a Lampedusa. La maggior parte riesce ad arrivare, alcune si ribaltano, molte vengono intercettate dalla guardia costiera tunisina.

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Le rotte dall’Africa centrale

La novità è che a bordo non vi sono quasi mai tunisini (giovani o famiglie che sia come sempre è stato) ma migranti dell’Africa subsahariana che, pagando un prezzo fortemente ridotto rispetto alle partenze dalla Libia (intorno ai 1000 euro), accettano di salire su queste pericolosissime barchette di alluminio affrontando la lotteria della vita, visto che la stragrande maggioranza di loro non sa nuotare. A Lampedusa, in questi primi nove giorni dell’anno, ne sono arrivati 2.100, due terzi degli oltre 3.600 migranti già sbarcati in Italia, dieci volte di più dello stesso periodo dello scorso anno, un trend in grande crescita (soprattutto per il periodo invernale anche se caratterizzato da condizioni meteo favorevoli) che preoccupa non poco il Viminale. Anche perché i report degli investigatori della polizia che lavorano sulla rotta tunisina ipotizzano che, con la trasformazione dei pescatori in veri e propri trafficanti di uomini, donne e bambini provenienti direttamente dall’Africa centrale o “ceduti” dalle organizzazioni criminali libiche, i cosiddetti sbarchi autonomi dalla Tunisia, già molto numerosi, potrebbero ancora aumentare. «Gli arrivi sono senza soluzione di continuità. Abbiamo numeri stratosferici anche in pieno inverno con una media di 3-400 al giorno, l’hotspot sta scoppiando con 1300 persone a fronte di una capienza di 400, occorre una nave fissa che faccia la spola con la terraferma per consentire spostamenti rapidi», il disperato appello del sindaco di Lampedusa Filippo Mannino che negli ultimi due mesi ha dovuto recuperare anche otto bare bianche per comporre le salme di piccoli migranti morti durante la traversata.

La trasferta siciliana del ministro Piantedosi

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Da qui la trasferta in Sicilia (ad Agrigento ma non a Lampedusa), del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi accompagnato dal capo della Polizia Lamberto Giannini, e la sua promessa: «Spero di tornare presto con fatti concreti, Lampedusa è la prima frontiera d’Europa, la Sicilia e la Calabria non possono essere il campo profughi d’Europa. Le navi ong dirottate nei porti delle città a guida Pd? Io — ha risposto il ministro — ho il massimo rispetto per tutte le critiche, soprattutto quelle dell’opposizione, ma non la condivido. L’esigenza è quella di garantire un’equa distribuzione e in ogni caso la città dove avviene lo sbarco non si fa carico dell’assistenza perché i migranti vengono poi smistati sempre in altre regioni». «Quindi — ha assicurato il ministro — toccherà in maniera equa ai porti di varie regioni, quelli che non sono stati oggetto di indicazione lo saranno a breve». Genova, La Spezia, Civitavecchia, e chissà forse persino Venezia e Trieste, sono avvertite.

La rotta tunisina, ma anche quella dalla Turchia (che ha già visto sbarcare dall’inizio dell’anno circa 500 persone nei porti calabresi di Roccella Jonica e Crotone) sono in cima all’agenda di Piantedosi che ha già in programma incontri con i suoi omologhi di Tunisi e di Ankara. Ma il vero nodo resta la Libia (senza interlocutori affidabili) da dove continuano a partire pescherecci con 5-700 persone alla volta. «Abbiamo già ripreso un dialogo a livello tecnico operativo, ma il tema va oltre e c’è un diretto impegno del presidente del Consiglio dei ministri e del ministro degli Esteri», annuncia Piantedosi. Il tentativo è quello di porre un freno alle partenze dalla Cirenaica, da dove — ormai da mesi — i trafficanti mettono in acqua i grandi barconi che quasi sempre riescono a oltrepassare Malta e ad entrare in zona di ricerca e soccorso italiana. Una volta lì è fatta, basta aspettare l’arrivo delle motovedette e della navi della Guardia costiera e della Guardia di finanza: l’ultimo il 3 gennaio aveva ben 700 persone, tutte portate a terra in gran silenzio nei porti di Siracusa, Catania e Roccella Jonica, proprio quelli di solito più gravati dagli sbarchi.

Ma evidentemente «l’equa distribuzione» di Piantedosi in tutti i porti italiani vale solo per le poche decine di migranti soccorse dalle Ong. Gli ultimi, quelli salvati da Ocean Viking e Geo Barents, arriveranno ad Ancona tra questa sera e domani dopo aver affrontato un viaggio di quattro giorni con onde alte due metri. Piantedosi minimizza: «Sono navi di stazza importante in passato si sono trattenute in mare anche per 2-3 settimane consecutive, in condizioni meteo simili a queste. Non sono proibitive, non c’è nulla di eccezionale».

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Le verità scomode per un governo “securitario”

Ne tratta Federica Olivo per Huffington Post. Scrive tra l’altro Oliva: “Nel 2016 – spiega ad HuffPost Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi che studia giornalmente i dati dell’immigrazione – circa il 45% dei migranti che arrivavano in Italia era stato soccorso da un’Ong. A partire dal 2018 il dato è sceso di molto e si è attestato intorno al 15″. Negli ultimi mesi, che coincidono con l’insediamento del governo Meloni, addirittura la percentuale è ancora scesa: “Da ottobre 2022 ad oggi meno del 10% dei migranti arrivati in Italia è approdato sulle nostre coste grazie a un’Ong”, spiega ancora Villa. In numeri, si traduce in circa 10mila persone tratte in salvo dalle Ong nel 2022. Le altre sono approdate autonomamente sulle nostre coste o sono state salvate in mare dalle navi militari italiane.

“Questo vuol dire – tiene a sottolineare il ricercatore – che il contrasto alle Ong non fa diminuire gli sbarchi. Non a caso, nel solo mese di dicembre 2022 gli sbarchi sono più che raddoppiati rispetto allo stesso mese del 2021”. Allo stesso modo, la famosa teoria del pull factor, secondo la quale le navi delle Ong sono un fattore di attrazione per gli scafisti che fanno partire le imbarcazioni con i migranti, è assolutamente smentita dai dati. “Dal 2018 – chiosa Villa – analizziamo le partenze quotidiane dalla rotta libica. Sono dati forniti dall’Unhcr, che elaboriamo tenendo presente una serie di fattori. Tra questi includiamo anche la presenza o l’assenza di navi Ong a largo delle coste libiche. Bene, il risultato? Ci siano o non ci siano le navi delle Ong, il numero di migranti in partenza è assolutamente identico. Questo accade perché le persone vogliono partire a prescindere e, in secondo luogo, anche perché le imbarcazioni sono migliori rispetto a quelle utilizzate negli anni scorsi”. 

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Sbarchi diminuiti con il governo Meloni? No. Sono aumentati: ecco i dati

Ma andiamo a vedere i dati nel dettaglio. Perché sono dati che ci raccontano quanto gli sbarchi siano in crescita negli ultimi mesi. E quanto la retorica anti immigrazione, senza una strategia vera, produca solo polemiche e nessun frutto. Il governo che tanto agitava lo spauracchio dell’immigrazione è riuscito ad arginare i flussi? Basterebbero le cronache quotidiane a farci rispondere con un secco “no”, ma i dati del Viminale sono ancora più chiari. Partendo dal presupposto che, come abbiamo visto, nel 2022 sono arrivati quasi 40mila migranti in più del 2021, andiamo a vedere cosa è successo a partire da settembre dell’anno appena concluso. Dal mese, cioè, in cui si sono svolte le elezioni. Nel solo mese di settembre 2022 in Italia sono arrivate 13.533 persone, circa il doppio delle 6.919 giunte a settembre 2021. Trend identico nel mese di ottobre: 13.493 arrivi contro i 7.097 del 2021. A novembre non ci sono state grosse oscillazioni: nel 2022 sono arrivati 9.058 migranti, un po’ di meno del 2021, quando erano stati 9.517. Situazione ribaltata, come accennava Villa, a dicembre: gli arrivi nel 2022 sono stati 10.799. Nel 2021 4.534.

Sono cifre che raccontano quanto corposo sia il fenomeno migratorio. E quanto sia importante trovare una strategia per gestire l’accoglienza di chi attraversa il Mediterraneo e arriva nei nostri porti. Al di là della retorica anti immigrazione. Che, lo abbiamo visto, non porta alcun frutto”.

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Così stanno le cose. Globalist non è solo a denunciarlo, come dimostrano i tre articoli riportati. E questo non può che farci piacere, perché rafforza una battaglia di civiltà che passa anche per una informazione corretta, documentata, dalla schiena dritta.  

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