E' un uomo il primo giustiziato per le manifestazioni in Iran. Un giovane che si è battuto per i diritti delle donne
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E' un uomo il primo giustiziato per le manifestazioni in Iran. Un giovane che si è battuto per i diritti delle donne

La magistratura della Repubblica islamica ha annunciato che Mohsen Shekar, arrestato durante le proteste, è stato giustiziato.

E' un uomo il primo giustiziato per le manifestazioni in Iran. Un giovane che si è battuto per i diritti delle donne
Mohsen Shekar
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8 Dicembre 2022 - 11.09


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La magistratura della Repubblica islamica ha annunciato che il 23enne Mohsen Shekar, arrestato durante le proteste a settembre, è stato giustiziato. Il giovane era accusato di aver bloccato una strada, di aver provocato disordini, di aver estratto un’arma con l’intenzione di uccidere nonché di aver ferito intenzionalmente un ufficiale durante il servizio. La magistratura ha detto che l’udienza si è tenuta il 10 novembre e che l’imputato ha confessato le sue accuse.

Shekari è stato impiccato giovedì mattina dopo essere stato giudicato colpevole da un tribunale rivoluzionario di “inimicizia contro Dio”, hanno riferito i media statali, citati dalla Bbc. Era accusato di essere un “rivoltoso” che il 25 settembre bloccò una strada principale a Teheran e ferì con un coltello un membro delle forze paramilitari Basij. Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore di Iran Human Rights con sede in Norvegia, ha twittato che le esecuzioni dei manifestanti inizieranno a verificarsi quotidianamente a meno che le autorità iraniane non siano messe di fronte a “rapide conseguenze pratiche a livello internazionale”.

La magistratura iraniana ha annunciato che finora 11 persone sono state condannate a morte per le proteste iniziate a metà settembre dopo la morte – mentre era sotto la custodia della polizia morale – di Mahsa Amini, arrestata per aver indossato il suo hijab “impropriamente”. Le proteste guidate dalle donne si sono estese a 160 città in tutte le 31 province del Paese e sono viste come una delle sfide più serie per la Repubblica islamica dalla rivoluzione del 1979. I leader iraniani le hanno descritte come “rivolte” istigate dai nemici stranieri del Paese e hanno ordinato alle forze di sicurezza di “affrontarle con decisione”.

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Finora, almeno 475 manifestanti sono stati uccisi e 18.240 sono stati arrestati, secondo l’agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani Hrana, che ha anche riferito la morte di 61 membri del personale di sicurezza.

La magistratura della Repubblica islamica ha annunciato che Mohsen Shekar, arrestato durante le proteste, è stato giustiziato: è la prima sentenza di morte eseguita per un manifestante, come riporta Bbc Persia.

Shekari è stato accusato di aver bloccato una strada, di disordini, di aver estratto un’arma con l’intenzione di uccidere nonché di aver ferito intenzionalmente un ufficiale durante il servizio.

La magistratura ha detto che l’udienza si è tenuta il 10 novembre e l’imputato ha confessato le sue accuse. 

   “L’esecuzione di Mohsen deve incontrare una forte reazione altrimenti corriamo il rischio di aver esecuzioni di manifestanti ogni giorno, questa esecuzione deve portare rapidamente a conseguenze pratiche a livello internazionale”. È l’appello lanciato da Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore della ong ‘Iran Human Rights’ con sede ad Oslo, dopo che la magistratura della Repubblica islamica ha annunciato che è stata eseguita la prima condanna a morte per una delle persone arrestate durante le dimostrazioni in corso da quasi tre mesi nel Paese

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   La Stampa pubblica oggi una lettera aperta di Badri Hossein Khamenei, sorella della Guida suprema della Repubblica islamica, Ali Khamenei, nella quale dichiara che “il popolo iraniano merita libertà e prosperità, e la sua rivolta è legittima e necessaria per realizzare i suoi diritti”. “Spero di vedere presto la vittoria del popolo e il rovesciamento di questa tirannia che governa l’Iran. Che la giusta lotta del popolo per raggiungere la libertà e la democrazia si realizzi il prima possibile”, aggiunge nel testo.

   “Nel nome di Dio – scrive Khamenei – Perdere un figlio ed essere lontano da tuo figlio è una grande tristezza per ogni madre. Molte madri sono
rimaste in lutto negli ultimi quattro decenni. Penso che sia opportuno ora dichiarare che mi oppongo alle azioni di mio fratello ed esprimo la mia simpatia per tutte le madri che piangono i crimini del regime della Repubblica islamica, dai tempi di Khomeini all’attuale era del despotico califfato di Ali Khamenei”. La sorella del leader iraniano racconta nella lettera: “L’opposizione e la lotta della nostra famiglia contro questo sistema criminale sono iniziate pochi mesi dopo la rivoluzione. I crimini di questo sistema, la soppressione di qualsiasi voce dissenziente, l’imprigionamento dei giovani più istruiti e ispirati di questa terra, le punizioni più severe e le esecuzioni su larga scala iniziarono fin da subito”.

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   “Come tutte le madri in lutto iraniane – sottolinea -, sono anche triste per il fatto di esser lontana da mia figlia. Quando arrestano mia figlia con violenza, è chiaro che applicano migliaia di volte più violenza ad altri ragazzi e ragazze oppressi che sono sottoposti a crudeltà disumana. 

   Inoltre, secondo fonti diplomatiche occidentali citate da Iran International English, che ha rilanciato la notizia su Twitter, la Repubblica islamica ha avviato trattative con i suoi alleati venezuelani per organizzare l’asilo per i funzionari del regime e le loro famiglie nel caso in cui la situazione si aggravi e aumenti la possibilità di un cambio di regime.  Quattro alti funzionari iraniani – viene riferito – si sono recati in Venezuela a metà ottobre per assicurarsi che il governo di Caracas conceda asilo agli alti funzionari del regime e alle loro famiglie e li lasci entrare nel Paese in caso di “sfortunato incidente”. 

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