Alessia Piperno, il ricordo della compagna condannata a morte: "Cosa serve per fermare tutto ciò?"

"Ho cercato il suo nome ogni giorno da quando sono tornata, per controllare se avessero liberato anche lei. Invece mi sono trovata davanti a un articolo con il suo volto con scritto “condannata a morte”. Cosa serve per fermare tutto questo? "

Alessia Piperno, il ricordo della compagna condannata a morte: "Cosa serve per fermare tutto ciò?"
Fahimeh Karimi e Alessia Piperno
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globalist Modifica articolo

6 Dicembre 2022 - 09.33


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Alessia Piperno, la travel blogger italiana che ha trascorso settimane di prigionia a Teheran dopo esser stata fermata nel corso delle proteste di piazza dalla polizia iraniana, ha pubblicato su instagram un ricordo per la sua compagna di cella Fahimeh, condannata a morte. Un racconto struggente sulla condizioni delle donne e di tutti coloro che protestano in Iran.

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“Sei bianca come quel muro, sarà che a forza di guardarlo, ha mangiato i tuoi respiri.
Siamo nascoste in un punto cieco qui, le tue urla sono come il silenzio, fai a pugni con la porta e calpesti le tue stesse lacrime. “AZADI! AZADI!”
Ti canto Bella ciao, e tu ti metti a piangere, altre volte mi batti le mani.
Vorrei dirti di più, ma che ti dico?
Ho paura, anche io.”

“Fatimah, Athena, Mohammed.
Continui a gridare i nomi dei tuoi figli,
avranno sentito il tuo eco o l’amore non viaggia attraverso le sbarre? 
Aprono quella porta perché fai troppo rumore, ma siamo carne senza vita noi, e ci schiacciano come foglie secche, ascolta, loro non hanno cuore.
Ti butti a terra con la testa tra le mani, premi con le dita contro le tue tempie, vuoi strappare i tuoi pensieri, farli uscire dalle tue orecchie, sono sabbie mobili, lo so bene.
Domani è un giorno nuovo, magari saremo libere, anche se si, hai ragione, te l’ho detto anche ieri.
Arriva la pasticca che ci canterà la ninna nonna, ti prendo la mano, è quel poco che posso fare, metti la testa sotto la coperta, almeno lì le luci sono spente, guarda il cielo, le vedi anche tu le stelle? 
Buona notte Fahimeh”.

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“Fahimeh è stata la mia compagna di cella per 34 giorni. 
Un giorno è uscita dalla cella per andare in infermeria, e non è più tornata. 
Tra di noi non ci sono state grandi conversazioni, dal momento che io non parlavo farsi e lei non parlava inglese.
Ma eravamo unite dallo stesso dolore e dalle stesse paure.
Ho cercato il suo nome ogni giorno da quando sono tornata, per controllare se avessero liberato anche lei.
Invece mi sono trovata davanti a un articolo con il suo volto con scritto “condannata a morte”.
Cosa serve per fermare tutto questo? 
Cosa cazzo serve?”.

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