Crimine d'aggressione: perché quel tribunale su Putin e i suoi uomini s'ha da fare

Gli imputati di questo tribunale internazionale sarebbero quelli con potere decisionale coinvolti nel reato di aggressione all'Ucraina da parte dell'esercito russo

Crimine d'aggressione: perché quel tribunale su Putin e i suoi uomini s'ha da fare
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Dicembre 2022 - 17.38


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La Francia è il primo grande Stato occidentale a sostenere pubblicamente la creazione di un tribunale speciale per processare alti funzionari russi, tra cui potenzialmente Vladimir Putin, per il crimine di aggressione in Ucraina. Il ministero degli Esteri francese ha dichiarato che sta lavorando con i suoi partner europei alla proposta. La dichiarazione è arrivata dopo il sostegno alla creazione di un tribunale da parte della Ue e della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Gli imputati di tale tribunale sarebbero quelli con potere decisionale coinvolti nel reato di aggressione all’Ucraina da parte dell’esercito russo. Ciò significherebbe molto probabilmente solo una manciata di figure, tra cui Putin e altri nomi, come il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, e il ministro della Difesa, Sergei Shoigu.

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Chiarezza necessaria

A farla con un saggio di grande interesse pubblicato su Micromega.net del 22 luglio 2022 è Maurizio Delli Santi.

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“Le agenzie internazionali hanno tradotto con eccessiva semplificazione le dichiarazioni rese dal Presidente ucraino Zelensky alla Conferenza sulla “accountability” (responsabilità) per l’Ucraina promossa dalla Corte penale internazionale. Ecco alcuni titoli: “Serve un tribunale speciale sui crimini di guerra russi”, e poi: “Le istituzioni esistenti non sono in grado di garantire giustizia”. Lette così, sembrano palesi dichiarazioni di sfiducia nei confronti della Corte penale internazionale, che invece è parte attiva nell’accertamento dei crimini di guerra in senso lato commessi in Ucraina dal 24 febbraio. In realtà, anche in questo caso è bene verificare le fonti, ed è facile farlo consultando lo stesso sito ufficiale della Presidenza ucraina dove è riportato integralmente il discorso di Zelensky.

I passaggi introduttivi della prolusione si soffermano sull’ultimo attacco missilistico russo compiuto nella città di Vinnytsia, dove sono state colpite abitazioni civili, incluso un presidio sanitario, e vi è stata una strage di almeno 20 persone, tra cui tre bambini, e con numerosi feriti. Poi vi è il richiamo alle vicende di Mariupol e Bucha, e agli effetti dei bombardamenti che hanno “bruciato le città del Donbass”, distrutto le infrastrutture civili a Kharkiv e nel sud del paese. Zelensky ha denunciato quindi che dall’inizio dell’invasione le forze di sicurezza dell’Ucraina hanno documentato 34 mila crimini legati “all’aggressione russa”, e poi ha fatto riferimento agli esodi forzati in cui risulterebbero coinvolti oltre 200.000 bambini.

La proposta di un Tribunale speciale per l’aggressione 

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Questo è dunque il testo letterale dei passaggi cruciali sugli aspetti della giurisdizione internazionale posti in discussione da Zelensky: «Per questo crimine primario e iniziale di “aggressione armata” ci deve essere una punizione obbligatoria e di principio per tutti i criminali russi». Ancora più avanti viene bene spiegato il senso di queste osservazioni: «Le istituzioni giudiziarie esistenti per motivi giurisdizionali non possono assicurare alla giustizia tutti i colpevoli del crimine originario dell’aggressione. Ecco perché abbiamo bisogno di un Tribunale speciale per questo crimine, l’aggressione russa contro l’Ucraina. Un Tribunale che garantisca la punizione equa e giusta di coloro che hanno iniziato questa storia di disastri e tragedie, che è diventata la più grande guerra in Europa dalla seconda guerra mondiale. I nostri sforzi saranno sufficienti per documentare i crimini degli occupanti russi, raccogliere tutte le prove in modo che siano assolutamente ammissibili nei tribunali, e individuare per ciascuno i colpevoli. Tuttavia, le persone le cui decisioni hanno portato a questa serie di crimini non devono nascondersi dietro la cosiddetta “immunità dei funzionari”. Il principio dell’inevitabilità della punizione deve valere anche per queste persone. E questo può essere garantito solo da un “Tribunale speciale per l’aggressione contro l’Ucraina”».

Le questioni aperte

In questa prospettiva dunque non c’è nulla di nuovo per quello che già si sapeva sotto il profilo giuridico, e in verità la comunità dei giuristi aveva già pensato a porre dei rimedi. È certamente puntuale il riferimento alla mancanza di condizioni di procedibilità specificamenteper il crimine di aggressione, introdotto all’articolo 8 bis dello Statuto della Corte penale internazionale dopo la Conferenza di Kampala del 2010. Si tratta, in sostanza, della incriminazione sul piano della responsabilità penale individuale (la “responsabilità degli Stati” è altra cosa, ed era già prevista) del crimine contro la pace in assoluto, l’attacco illegittimo alla sovranità di uno Stato, condotto cioè al di fuori delle previsioni della Carta delle Nazioni Unite, e quando non ricorra la self-defence prevista anche dal diritto consuetudinario internazionale.

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A dire il vero, la prima condizione di non procedibilità è dovuta alla stessa Ucraina che non ha ancora ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale. Kiev ha depositato a suo tempo, dopo la prima guerra nel Donbass, una “dichiarazione di accettazione” della giurisdizione della Corte, limitatamente però ai crimini di guerra, contro l’umanità e il genocidio. Il discorso tuttavia è più articolato, perché anche se l’Ucraina accettasse ora la giurisdizione della Corte sul crimine di aggressione, vi sono alcuni caveat. Il primo è la condizione-presupposto che impone alla Corte penale internazionale di poter procedere solo con un deferimento del Consiglio di Sicurezza, in cui è noto che i 5 membri permanenti, fra cui figurano Russia e Cina, hanno potere di veto. In difetto di tale delibera del Cds, la Corte ha giurisdizione solo se uno degli Stati-parte agisce contro un altro Stato-parte. Tuttavia attualmente gli Stati che hanno ratificato l’emendamento sull’aggressione sono solo 35 su 123 facenti parte della Corte Penale Internazionale. E la Russia non ha ratificato né lo Statuto né l’emendamento. Peraltro, anche per lo Stato che ha ratificato l’emendamento c’è comunque una clausola definita di opt-out, che prevede la possibilità di non accettare nel caso concreto la competenza della Corte per il crimine di aggressione.

Interrogativi e priorità per la giustizia internazionale

Rispetto a questi presupposti, ha dunque un senso la proposta di Zelensky di prevedere nell’urgenza un Tribunale speciale ad hoc per l’aggressione all’Ucraina, che potrebbe essere attuato con un accordo fra Stati, per esempio anche in ambito Nato o UE, o con una Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Si potrebbero ipotizzare formule giurisdizionali tratte dall’ esperienza dei Tribunale per la ex Jugoslavia e/o dai c.d. tribunali “internazionalizzati” o “misti”, prevedendo collegi giudicanti costituiti da giudici ucraini, integrati da giudici designati da Stati “garanti”, ad esempio dell’UE, e dagli stessi giudici dell’Aja. La soluzione quindi non escluderebbe un ruolo di supporto, cooperazione e integrazione dei team investigativi e giudicanti della Corte penale internazionale.

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La proposta appare motivata anche dall’altro ragionamento che Zelensky fa a proposito della necessità di superare con certezza ogni eventuale riserva sulle “immunità funzionali”, riferite evidentemente anche a quelle “personali” dei Capi di Stato e di Governo, oltre che degli altri responsabili a livello politico e militare. Sul punto è infatti opportuno considerare che sebbene lo Statuto della Corte penale internazionale parli all’articolo 27 della “Irrilevanza della qualifica ufficiale” (per cui non sarebbero ammesse esclusioni di responsabilità anche per i Capi di Stato e di Governo), la norma non è considerata ancora completamente risolutiva rispetto ad altre previsioni convenzionali e a principi consolidati della giurisprudenza internazionale. In particolare l’opinione anche della International Law Commission è che ancora non possa considerarsi superato un principio di diritto consuetudinario che prevede una ampia “immunità personale” dei Capi di Stato e di Governo (sul punto controverso vi è anche un opportuno richiamo nella Relazione presentata dalla Commissione sul progetto italiano del Codice dei Crimini Internazionali, all’esame del Ministero della Giustizia), mentre, specie nelle ipotesi dei crimini di guerra, residuerebbero, secondo alcuni, anche forme di esclusione della responsabilità per l’ordine superiore.

Si tratta di temi tutti ampiamente noti nel dibattito della comunità dei giuristi che hanno a cuore il principio di effettività della giurisdizione penale internazionale, e che in ogni caso per essi non rappresentano una sconfessione del ruolo e delle conquiste fatte nel percorso della Corte penale internazionale. Si è ben consapevoli che questi limiti vanno superati perché le attuali discusse previsioni dello Statuto sono ancora il frutto di soluzioni di compromesso per raggiungere intanto una condivisione su principi fondamentali, non ultimo quello di accettare il superamento del dogma del “dominio riservato” degli Stati sulla giurisdizione penale.

Principi e regole da perfezionare

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È pacifico che lo Statuto della Corte penale internazionale richieda ancora l’affermazione di una propria giurisprudenza (importante sarà proprio quella sulle immunità), ma anche adeguamenti normativi necessari. Già si è detto che sarebbe auspicabile una nuova Conferenza Diplomatica che elimini i caveat riferiti alle competenze del Consiglio di Sicurezza specie sul crimine di aggressione. Si possono prevedere infatti norme che estendano le condizioni di procedibilità – anche nei confronti di Stati che non hanno ratificato lo Statuto – alle determinazioni della più rappresentativa Assemblea Generale o anche a più autonome decisioni collegiali della Pre Trial Chamber della Corte. Così come sarebbe necessaria la norma che più specificamente richiami espressamente l’incriminazione di Capi di Stato e di Governo per il crimine di aggressione, escludendo tassativamente residue ipotesi di “immunità”.

Soprattutto sarebbe necessaria una importante iniziativa diplomatica che porti ad una più estesa adesione al sistema della Corte penale internazionale da parte della comunità internazionale, anche per l’emendamento di Kampala sull’aggressione, soprattutto da parte delle democrazie del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti.

La proposta di Zelensky ha dunque un fondamento giuridico di cui l’UE in particolare deve tenere conto, tuttavia non escludendo in ogni caso modelli di cooperazione e integrazione con la Corte penale internazionale. E però è proprio questo il punto critico della questione. Se non viene bene declinato un modello giurisdizionale “integrato”, c’è un rischio nella proposta del presidente ucraino che probabilmente i suoi consulenti giuridici non gli hanno evidenziato a pieno. In questo momento storico sarebbe un danno esiziale al percorso della giustizia penale internazionale pensare ad un ennesimo Tribunale nato sull’emergenza, mentre sarebbe necessario valorizzare il modello permanente di giustizia della Corte penale internazionale: una nuova iniziativa di un Tribunale ad hoc, da essa distinto o sganciato, potrebbe delegittimarla. In merito va dunque affermata l’assoluta necessità di ricondurre ogni iniziativa nel “sistema della Corte”.

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L’obiettivo: consolidare il “modello” universale della Corte

Alla proposta di Zelensky non è intervenuta una replica ufficiale dalla Corte. L’intervento alla Conferenza del Procuratore della Corte dell’Aja Karim Khan non ha riguardato direttamente il punto, ma, ricordando quanto già fatto dai suoi team investigativi e con Eurojust, si è soffermato sugli “approcci innovativi alla cooperazione” sviluppati negli ultimi mesi per l’Ucraina, evidenziando che questi dovranno stabilire anche lo standard dell’azione “a livello globale”. Da qui perciò l’idea del Prosecutor di consolidare il progetto della Corte coinvolgendo gli attori della società civile, indicando con ciò evidentemente i movimenti d’opinione che propendono per una decisa estensione della giurisdizione della Corte: “La Conferenza non segna né l’inizio né la fine di un processo, ma un importante passo avanti verso la visione collaborativa che abbiamo già iniziato a sviluppare”.

In definitiva, è comprensibile la richiesta degli ucraini di vedere perseguiti i leader responsabili dell’aggressione subita, ma un’osservazione realistica va fatta rispetto alla già effettività della giurisdizione della Corte penale dell’ Aia: in verità, al di là di una giurisdizione speciale per l’aggressione, basterebbe anche l’accertamento delle sole responsabilità sui crimini di guerra, contro l’umanità e il genocidio per affermare l’effettività della giustizia penale internazionale in Ucraina, se effettivamente fossero portati a processo i responsabili. E si tratta di farlo davanti a una Corte che, pur con il suo working in progress, in ogni caso ha già un carattere universale, perché riconosciuta comunque da 123 Stati. È questo il principio da salvaguardare”.

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Così Delli Santi.

Avvertenze condivisibili. Aggiustamenti necessari. Un working in progress da proseguire e accelerare. Ma quel tribunale s’ha da fare. Perché chi si è macchiato del crimine di aggressione non rimanga impunito.  

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